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C ANDELIERI DI SASSARICANDELORE DI CATANIACERI DI GUBBIOGIGLI DI NOLA ed altri …(QUEL CHE TUTTI SANNO MA ANCHE QUANTO NESSUNO HA MAI OSATO RIVELARE)RICERCHE STORICHELETTERARIE ED ETNOGRAFICHEA CURA DI BERTO VENTURA E ANTONIO (NINO) MANCACopyright Ventura Berto & Manca AntonioProprietà letteraria e artistica riservataRiproduzione e traduzione anche parziali vietateGli Autori ringrazianoGli scrittori delle opereStampate e on lineFondamentaliPer il compimentoDi questo saggio.PRESENTAZIONENon è facile la presentazione di un libro con il contenuto e le caratteristiche di quello che propongono gli Autori.Il tema “Candelieri”“Ceri”“Gigli”“Candelore”“Cilii” ed altriè stato trattato più voltedai più diversi Autori (CostaGianniniPittalisTolaQuesadaSpaneddaPaisAtzoriBrigagliaEspaMircea EliadeGimbutasPerliconePrincipatoTodescoTringaniBarbieroGaspariCecePozzoSannipolietc.)ma nessuno aveva avuto l’ardire di proporlo nel modo insolito e quasi provocante degli AA.Si trattaquindidi una “prima volta” e l’ecole probabili e scontate critichei parerile discussioni che potrà suscitare saranno motivi sufficienti e forse opportuni per approfondire gli studi e le ricerchema gli Autori pongono quasi le mani avanti e propongono una loro opinione sull’avvio del falloforismovocabolo insolitoalmeno in tema di processioni e religiosità. Èinfattievidente che ogni processione con statue di Deidi Santi e simili è una Teoforiain altre parole un’espressione di fede con larga partecipazione popolare ed ostentazione solenne di simulacritalora gigantiportati a spalle tra il tripudio generale e contorno di cantimusicadanze e quant’altro rende gioiosa la solennità o la kermesse che si vuole celebrare.Si chiedono perciò gli AA.: nell’età primitivaquando iniziava ad aversi una vera idea del divinoche cosa poteva offrire l’uomo a Dioraro e povero anch’eglise non la sua parte più evidenteappariscente e … funzionale che era legata al sesso e che allora non ostentava niente di licenzioso od osceno?L’animail cuore e i sentimenti e … le candele verranno dopo.La prima scopertal’uomo la fece su se stessopoi intorno a se: il fuocola luceil clanl’aggregazione e socializzazionela cacciala danzale processioni falloforiche di propiziazione o di ringraziamentoetc..Il devoto invito del Sacerdote al solenne: “Sursum corda”verrà millenni dopofrutto della progressiva crescita dell’uomoche incominciava a scoprire e comprendere se stesso e quanto lo circondavaesaltava od atterriva.L’uomoche allora ignorava cuore e sentimentioffriva a Dio quell’altra parte di se che s’imponeva predominante e si identificava nel vigore vitale e nell’avvenire del singolo e della collettività. Il simbolo era anche espressione di salutedi benessere fisico al quale il primitivo associava quello morale poiché coesisteva veramente la “mens sana in corpore sano”.Inoltrenon fu forse l’idea del divino e dei miti che si formarono ed affermavano e che presentavano gli innumerevoli Dei e Dee (GioveEraIsideOsirideDemetraPersefoneErmesDionisoErcolePanBaccoSaturno etc.) con le identiche passioni e pulsioni umanele stesse azioni amorose e concupiscenze nelle soddisfazioni carnalia rendere imperante e diffuso l’iniziale falloforismo dei primitiviaffascinati adoratori della fiamma e della luce?Allora perché meravigliarsi che proprio il simbolo della fecondità sia stato scelto come oggetto d’offerta e ringraziamento e simbolo vitalecome gli Autori propongono e segnalano che fu Erodoto fra il 454 ed il 447 A.C. (ErodotoStorie II47-508) a descrivere e documentare quanto aveva osservato viaggiando nella fertile valle del Nilo e in pratica molte e frequenti processioni molto partecipatedurante le quali i fedeli portavano alte colonne di cera illuminate da fuochi che bruciavano all’estremità superiorequella rivolta al cieloforse chiaramente simboliche e che luiespressamentechiama fallo.Gli Autoriinfinepongono in evidenza che ai tempi d’Erodoto il rito falloforico era già praticato e diffuso in IndiaOceaniaAmericada tempo immemorabile e che tali riti continuarono a celebrarsi ancora per molto tempo raggiungendo la loro massima diffusione ed intensità nelle celebrazioni in onore di Iside e Dionisoeil loro simbolismopurificato e santificato dal cristianesimocon differenti espressioni e modificazioni localisi è tramandato fino ai nostri giorni nelle celebrazioni delle sagre delle quali si tratta: CandelieriCeriGigliCiliietc. e di altre sagre caratterizzate da forte partecipazione popolare ed intensa devozionema non ravvicinabili alle sagre tipicamente ed “ab origine” falloforiche. Rimanendo intenso ed intatto l’assetto devozionale è diversa la simbologia perché la ristretta visione primitiva è stata sovrastata dall’avvento della tecnicache ha prodotto apparecchiature gigantescheespressione della fede immensa; la vituperata originalità e primitività del simbolo è stata superata dalla tecnologianell’intento di richiamare crescente folla osannanteche la forte fede ubriaca ed esalta.I primitivi godevano della grandiosità e partecipazione ai loro riti e siamo noi ad attribuire significato allusivo a quei grossi ceri portati a spalle ed in processione a scopo propiziatoriodi ringraziamento od apotropaico.Identico simbolismo manifestava i menhiri betilie cilindri troncoconici di pietratalora lavoratiiscritti e decorati con attributi maschili e femminili diffusi in tutto il mondo antico e che si possono ancora ammirare in FranciaGran BretagnaSardegna (diffusamente)a Maltaetc. e fino in Perù; per chi è stato a Lourdes sarà facile ricordare che accanto a ceri del peso di un quintale e più sono diffusissime candele e candeline e recentemente nel marzo del 2003la TV ha diffuso immaginida Baghdaddel Tigri illuminato da innumerevoli fiammelle affidate alla corrente del fiume e che esprimevano la preghierarivolta al cieloalla Divinità immanente affinché fossero evitate temute sciagure.Ogni religione ha valutato ed adottato la simbologia della luce e della fiamma ed ha ridimensionatoriproposto e reso universale il ritomantenendogli le implicazioni pagane e l’arcaica processione falloforica è diventatamondata e variamente modificata e santificataper allontanare ogni sospetto di profanazione o banalizzazionela processione dei Candelieridei CeriGigliCiliiCandelore etc. etc. … e le immancabili candele sono presenti in tutte le feste e manifestazioni di fedecon pari dignità e forte richiamoin quanto simbolo di fede ed immortalità.PREMESSAFrugando nelle tante conoscenze che alloggiano nella mente di uno degli AA.in relazione ad un’originale e forse bizzarra teoriasi è fatto tesoro d’inconfutabili e dotte citazioni ed adottato la massima accuratezza ed il più severo rigore nel proporre e sviluppare quanto andremo esponendotemendo che forse susciteremo fiere contestazioni mariteniamo anche lusinghieri apprezzamentiricordando che … “contra factum non valet argumentum …” e chesecondo una dimostrata legge di chimica … “in natura niente si crea e niente si distruggema tutto si trasforma …”.Proponiamo un’utopia e suggestioni forti che richiama l’attenzione e forse il consenso e da ora in avanti riteniamo che lo schermo sul quale siamo abituati a vedere l’immagine dei Candelieri diventa diafana e lascia intravedere come un’ombraun’altra storiasempre intuita ma non proposta ed approfondita eforse l’unica logica e vera.Faremo ripensare molte certezzeprocedendo anche in modo antidogmaticoincrociando la storia dei miti e delle religioni con la tradizione e con la letteratura.Per giungere a tale affermazione è stato però necessario ripercorrere tutto il cammino dei riti paganicon le loro estrinsecazioni d’ordine simbolico e pratico.Coraggio e cultura sono stati messi in conto dagli AA che hanno proposto la non facile ricerca sui Miti e riti dei Candelieri a Sassaridei Ceri a Gubbiodei Gigli a Nola e altri.Gli AA sono partiti da molto lontanodai tempi preistoriciquando l’uomo errava ancora nei boschiassediato dalla natura e dalle necessità immediatesenza possibilità di socializzazione.L’uomoallorainiziava a guardarsi attorno ed a ragionarerendendosi conto di quanto lo circondavaintimoriva o esaltava. Dipendeval’uomo di alloracompletamente dalla natura e fra mille paure aveva la teologia del terrore ed il solo culto era qualche cenno d’amicizia con i rari consimili e l’offertaeccezionalead esseri intuiti più cattivi di lui e feroci come e anche più di luima poveri al punto che ancora nessuno s’era offerto a fare da tramite fra l’uomo stesso e la divinità: in quei tempi non esistevano ancora altari né sacerdoti ai quali affidare povere offerte per gli ignoti ma temuti dei. L’unico dogma praticato era la legge della sopravvivenza e la religioneidea arbitrarianon possedeva influenza nei rapporti degli uomini fra di loro ed altro non erache un vano omaggio reso alle potenze visibili della natura: solelunafuocoacquaecc. ….In questa fase dell’evoluzione l’uomo era soprattutto osservatore della volta celesteche incombevaed il sole fu il primo dioma anche un capoun re e la lunauna reginacompagna del sole; i pianeti erano pensati come messaggeri e servitori e la moltitudine di stelleun popolomagari d’eroiincaricato di proteggere e salvare il mondo. Lentamente cresceva e s’imponeva l’idea di un Dioche poteva agire nel bene e nel malein altre parole procurare gioia o dolore.Tutto questo avveniva 10.000 – 5.000 anni or sono come dimostrano reperti fossili e monumenti e conferma l’astronomianella fertile valle del Niloin Egittodove tutte le circostanze confluivano per fare esplodere la civiltà: vicinanza ai tropicima lontano dal sole feroce del desertosenza le piogge equatoriali e le brume gelate del Nord; un clima salubre sulle rive di un fiume immenso e maestoso che rendeva fertile e ricca la terra ed affrancava dalle ricorrenti carestie. Le popolazioni che lì abitavano si dedicavano all’agricolturaallo studio del cieloai commercialle conquiste e altro.Fu quindi sulle sponde del Nilo che si avviò la civiltàsi sviluppò il culto degli astriadorati come apparivano nei loro attributi naturali e tali ritidalle rive del Niloportati da luogo a luogo a causa del commercio e le guerresi diffusero nel mondo emodificati dai tempidalle circostanze e dai pregiudizisono ancora presenti e sopravvivono come base intima e di solito segreta della teologia anche di coloro che li rifiutavano e disprezzavano e che li hanno prima sviliti epoibeatificati e glorificati.Forse s’è scritto troppo sull’origine della civiltàma era necessario per capire anche l’iter percorso dai CandelieriCeri e Gigli e similiche sono giunti fino a noi ammantati di mistero ed accreditati di significati e simbolismi che ne documentano l’arcaicitàcelata sotto la fantasmagorica celebrazione attualeimpreziosita dal sovrapporsi e predominare della simbologia e sacralità attribuitagli dalla religione cristianache dei CandelieriCeriGigli e simili ha fatto feste di fede e solennità volute per elevare l’anima a Dioalla Madonna ed ai Santidimenticando deità antiche (IsideOsirideDionisoBacco e altri) ma mantenendo il mito e il ritoconfermando che è sempre vero che il mito non muore mai ma è ripropostoaggiornato e né resta imperitura memoria enel caso dei Candelieri di SassariCeri di GubbioGigli di Nola ed altriconferma quanto aveva descritto Erodoto sulla celebrazione di riti già nel 454 – 447 A. C ed in seguito diffusisi su tutte le terre allora popolate e dei qualiresta il ricordo nei mitoleghimi e nel simbolismo delle celebrazioni comuni a tutti i popoliche noi possiamo definire anche falloforicima che per gli antichi Egiziani tali non erano.PREFAZIONECandelieriCandeloreCeriCiliiGigli etc.: la verità su una diffusa festa di popolo.“In omni re vincit imitationem veritas” (CiceroneDe Orat. 357215).È sempre avvenuto e avverrà: la verità si manifesteràlampantecondivisibilerivelata senza timori!I Candelieri di SassariNulvi (SS)Ozieri (SS)Ploaghe (SS)la Processione di ceri di Siurgus Donigala (CA)le Candelore di Cataniai Ceri di Gubbio (PG)i Gigli di Nola (NA)i Cilii di Noto (SR)il Carnevale di Bosa (SS)la Festa dei Giudei di S. Fratello (ME)La Festa del “Muzzuni” d’Alcara Li Fusi (ME)la Festa di S. Sebastiano di Tortorici (ME) con la Processione dell’alloro e dei Nudila Festa di San Giacomo a Capizzi (ME) con l’abbattimento di un muro con la varia del santoed altre celebrazioni gioiose e ludiche sono di chiaro simbolismo falloforico; le ormai universali feste di S. Giovanni Battistahanno un passato misterioso ed affineche si perde nella notte dei tempi ma invocava luce e gli AA ritengono di proporre una parola nuova nella “vexata quaestio” dell’origine e del reale significato dei tanto ammirati ritie feste pagane sapientemente e con significato traghettate dal cristianesimo dalla sponda profana a quella cristiana ammantandole di dovuta e apprezzata sacralità.Suscitava meraviglia che feste tanto partecipate e celebrate nell’universo preistoricoaffini per origine e simbologia e che ancora si praticano presso tribù primitive in IndiaAfricaOceaniaforeste AmazzonicheAmerica Centrale e altrovenon possedessero un proprio significato che con il cristianesimopure ricchissimo di riferimenti biblici a feste di popolo: PasquaPentecostedella mietituradel raccolto della luna nuovadel Purimdel Kippur ecc. non avevano niente da spartire per originesimbologiapartecipazioneuniversalità.Il falloforismo non era ignorato dal popolo d’Israele: la simbologia del serpente tentatoredi quello di bronzodel vitello d’oro e altri lo dimostra eper quanti lo praticavano nella preistoria e lo praticano ancora ogginon era mai oscenogiacchél’uomo primitivo ignora il significato dell’oscenità ed anzi il falloforismo è simbolo di fecondità (Fascinus deus a RomaDioniso in Grecia e Medio OrienteSiwa in IndiaMin in Egitto e altri); il fallo era luce che rischiarava le tenebre della nottedell’ignoranza e del dubbio del domanima era anche infusione di nuova speranza negli animi che attendevano la vittoria del Sole/Dio/Natura sulle tenebre e sul male.Partendo dalle accennate premesse è logico che con l’avvento del cristianesimo s’arrivasse non all’abolizione della festa voluta e goduta dal popolo ma alla sua cristianizzazionecome oggi documenta la quasi separazione della festa dei CandelieriCandeloreCeriGigliCilii e altri in due parti: la prima profana di tipo ludicodi puro godimento festaiolo; la seconda di natura religiosache si sovrapponenobilita e dà impronta cristiana al ritoemendata da ogni manifestazione ritenuta indecorosa.Intelligentemente il cristianesimo vincitore non ha voluto infierire sul paganesimo vinto né abolire quelle feste tanto care e tradizionali ai pagani.È quanto sta succedendo anche oggiai nostri giorni per contrastare taluni riti pagani anche orgiasticima non sempre falloforici: MacumbaWoodoSanteriaLukumi e altri ed è quanto operarono i sacerdoti cristianiche si sovrapposero agli sciamani e stregoniche avevano governato le tante fedi religiose degli indiani nell’America Precolombianai quali praticavano riti d’iniziazione e d’offertaspesso sanguinari.I Candelierile Candelorei Cerii Giglii Ciliietc. e altri oggetti votividevozionaliletti e visti come propongono gli AA assumono tutt’altro aspetto e significatopiù completo e verosimile di quello finora conosciuto.Miti e Riti: sogni e segni senza tempoRitorneremo a trattare dei miti e dei ritiper adesso affermiamo che di solito il mito non è mai locale ma è universalesebbene esistano miti di popoli lontani e diversiche non fanno parte delle conoscenze culturali universali: i miti di Odinodi Sigfridodelle AmazzoniFaustSalomoneDavide e GoliaKrisnha e altri.In tutti i casi e quando non è universale il mito s’attenua e dilegua nel tempo fino a scomparire perché per durare il mito deve avere una struttura di base religiosaaltrimenti è degradato a favolaleggenda o romanzo popolare e nulla più; così come sono poco noti i miti di Perseo e delle Gorgonedi Medeadi OrfeoUlisseGiasoneIcaroDianaPrometeoArtù e altri.Per conoscere la reale incidenza del mito nel ricordo della storia e della gentepuò essere utile ricorrere alla considerazione della persistenza dei modi di dire che da esso traggono origine; così è facile valutare la diffusione del mito di Ercole ricordando la “forza erculea” … del viso sorridenteche definiamo “gioviale” … del “vai all’inferno” … “dell’aspetto marziale” … “della fatica di Sisifo” … “della serenità olimpica” e via dicendo.L’accettata diffusa terminologia pagana non è solo comune ai modi di dire ma anche all’elencazione dei giorni della settimana. Dei mesidegli annidell’enumerazione dei pianeti che caratterizzano la volta celeste; ciò conferma l’arcaicità ed universalità del mitocontro il quale niente ha potuto l’oblio del tempo e l’opposizione delle religioniche sono stati costretti a tenerne conto da sempre.I giorni della settimana hanno chiaro riferimento pagano:· Lunedìgiorno dedicato alla Luna· Martedì“ “ a Marte· Mercoledì“ “ a Mercurio· Giovedì“ “ a Giove· Venerdìgiorno dedicato a Venere· Sabatoda sabathnome ebreo del giorno di riposo· Domenicagiorno dedicato al Signoresostituì il “dies solis” romano.Ancora il culto e ricordo pagano riportano i nomi dei mesi:§ Gennaiomese dedicato a Giano§ Febbraio“ “ alla purificazionefebruus§ Marzo“ “ a Marte§ Aprilemese che chiude e apre un nuovo tempo o nuova stagione§ Maggiomese dedicato a Majamadre di Ermesil Mercurio romano§ GiugnoLuglioAgostodi chiara origine romana (Giunio BrutoGiulio CesareOttaviano Augusto§ SettembreOttobreNovembre e Dicembre; indicano la numerazione progressiva dei mesida Agosto in poi.… Se gli annii mesii giorni ci ricordano la presenza del ricordo pagano in ogni tempo ed anche attualmentecome meravigliarsi che anche usanze e feste di quei tempi siano state adottate e siano vissute gioiosamente in tante ricorrenze e nell’occasione del mezzo agosto in particolareattribuendo alla Madonna la Celebrazione dei Candelieri?Il modo di direderivato dal mito al quale riporta ha superato la prova dei millenni e dimostra la soliditàuniversalità e arcaicità del mito originarioconfermando che si tratta di vero e insuperato mito arrivato fino a noi attraverso la tradizione e non declassato a puro ricordo e leggenda.Chiaro ed esplicitocontinuo richiamo al paganesimo è anche la volta celesteche i primitivi scrutavano e caratterizzavano attribuendo ai pianeti i nomi dell’olimpo pagano: NettunoGioveSaturnoMercurioMarteUranoPlutoneVenereetc… Quali ogginoi li conosciamoa conferma del reale rapporto fra le credenze pagane e i relativi miti; come meravigliarsi che anche usanze e feste popolari di quei lontani tempisiano stati adottati e vissuti in tante ricorrenze ed in occasione del mezz’agosto e in particolarequando i simbolici CandelieriCeriGigli etc.oggetto di festa e di ringraziamentosi vuole onorare la Madonnala Dea più amata e più grandela Madre di Dio e anche la Madre di tutti.Il mitosempre e dovunque riproposto dai modi di dire dei nomi dei giorni della settimanadei mesidall’osservazione e caratterizzazione della volta celeste etc… ha superato la prova dei millenni e dimostra la sua soliditàuniversalitàarcaicità d’origine eche è arrivato a noi attraverso la tradizione e non originato da pura leggenda e ricordo collettivo.FALLOFORIA E RELATIVI RITIEspressione simbolica di vigore e vita.Parlare di falloforia è piuttosto azzardato.A prescindere dal fatto che il termine pur essendo poco o nulla diffusostante la sua etimologia e la morale comuneil primo pericolo che si corre è quello che s’intenda trattare d’argomenti se non proprio oscenial minimo di copiosa ambiguità che rimanda a richiami decadentinon del tutto fuori posto e ciò può anche essere veroma non come questo lo s’intendeva qualche secolo oforse millennio or è: in altri termini nella sua naturale funzione e nonalle voltequelle depravatedall’abbrutimento verificatosi nell’Uomo nel corso dei secoli.Qualcunocome noisarà tentato di trovare la definizione del vocabolo su qualche dizionario enciclopedico e vi troverà la seguente: “Nome di una processione presso gli antichi Greci in cui era portato in giro il fallosimbolo della fertilità”. Ciò però è troppo sintetico e non indica che una delle tante estrinsecazioni pratiche della falloforia e dei suoi molto più profondi significati.Iniziamo perciò con l’affermare che essa è nata contemporaneamente alla stessa “necessità” dell’Uomoforse per fornirgli anche una risposta ai tanti quesiti esistenziali che si sarà posto esoddisfare l’esigenza di non sentirsi solo nell’universo creandosi così i miticome già si è detto in premessa al testo.I riti falloforici hanno un’originee quando questa non è evidente è perché è troppo arcaicapersa nella notte dei tempi; ma a bene vedere e cercare qualcosa resta: tutto sta nell’individuarla e non avere preconcetti.Si tratta di riti arcaiciche hanno resistito al trascorrere dei millenni ed hanno sonnecchiato fino ad esplodere in festa e speranza di popolo in occasione d’invocazione o ringraziamento che coinvolge tutti e fa dimenticare un triste e recente malessere individuale o collettivoaccendendo la fiammella (candele e candelieri) della fede in un domani migliore.Grande è il merito della religione cristiana che ha salvato il mito ed il ritodirottandoli dal paganesimo al più castigato cristianesimochetuttaviaha rispettato il carattere ludico-godibilemoderatamente orgiastico della festaaggiungendovi quello tradizionalesantificato.La sua cullaperciòè stata la stessa della civiltà: le ubertose terre solcate dal favoloso Nilosede del pluri millenario flusso della civiltà egizia. Ce ne fornisce notizia Erodoto attorno al 454-447 a. C.(ErodotoStorievol. IIRizzoli Milano1984) ma processioni falloforiche erano praticate in Egitto già dal 2000-1500 a. C. come appare su certe ostrakatavolette di calcare del Museo Egizio che mostrano un brulicare di vita e pulsioni sessuali a Deir el Medinavillaggio di fronte a Tebesulla riva occidentale del Nilo e poiché l’essere umanosin dal suo esistere ha subito imperioso il fascino di viaggiarescoprire nuove terre e genticommerciare eessendo pur sempre un animale anche se ragionevoledall’istinto di sopravvivenza pronto all’eliminazione di chi gliela minacciavaben subito con se recò usi e costumi esoprattutto i cultiche tosto si diffusero in tutte le terre allora conosciute.Tentiamo ora di giungere ad una razionale spiegazione del perché sia nata la falloforia.Indubbiamente l’Uomo sin da quando si è affacciato sulla terraoltre la solitudine ha sentito possente la sua precarietà per l’ineluttabilità della morte dai mille volti che avrebbe anche potuto causare l’estinzione della specie. Ecco quindi la necessitànon soltanto di compensare le perdite (morti) ma di superarle con i nuovi incrementi (nascite)garantendo cosìcon congrue “scorte”la perpetuità del “branco umano”eventualmente decimato da guerre e carestie. Indubbiamente un’esigenza sommamente sentita e molto preoccupanteper il soddisfacimento della quale con certezza non contava sulle sue sole possibilità. Ecco quindi nascere spontaneo il ricorso alla divinità affinché concedesse alla razza umananon soltanto la fertilità della terra per nutrirsi(sono noti i miti di Persefone)ma la fecondità del seme umano per riprodursiil cui simbolo dispensatore non poteva essere che il fallo.Ecco perciò con i culti in onore della Madre Terranascere anche la falloforia come celebrazione ritualeche è rito d’aggregazionedi pace fra i singoli e fra i clantesi al godere dell’occasione orgiastica voluta da un dioprevalentemente Dionisoma anche SiwaErmetePriapoMinetc. etc.. La falloforia era festa di pace durante la quale i sensi restavano eccitati per propiziarsi l’intervento del dio fecondatore e delle forze generatrici della naturascacciare l’invernol’oscuritàla sofferenzaanche unitamente a canti e danze apotropaichee favorire la fertilità e l’abbondanza.Detti culti assunsero diversi aspetticon cerimonie tutte tese a stimolare ed incrementare l’aumento demografico che per orasi citeranno soltantoper descriverle in seguito dettagliatamente.Dall’Egitto il rito si trasferì in Mesopotamiadove era solennemente celebrato anche in particolari templi a terrazza detti ziqqurat (la famosa Torre di Babele)i resti di uno dei quali si è rintracciato in Sardegnafra le località di Sassari e Portotorresstranamente prossimo alla primadove si celebra la Festa dei Candelieri che ormai senz’alcun dubbioanche se profondamente trasformata dal cristianesimoconserva l’antico retaggio falloforico.Nei luoghi dove non esistevano templiquesti erano sostituiti dalle selve e il simbolo fallico era rappresentato da un tronco d’albero o da una pietra verticale infissa nel terreno: i non più misteriosi menhirpresso i quali in qualche località della Sardegnasi compivano dei particolari riti di deflorazione femminile. Ciòforse per significarequanto fosse importante per la societàla capacità di procreare eforse affinché non vi fossero remore o timori per le giovani donnead unirsi carnalmente col maschio. Nella Gallura di Sardegnain alcune festività erano favoritecon particolari festele circostanze per la deflorazione dai giovani paesani. Similmente all’antica Mesopotamianella qualeerano addirittura pagati dei forestieri per la deflorazione delle giovani donne da maritooppure presso altri popoli dove vigeva l’obbligo per i candidati al matrimonio di diverso sessodi praticare forsennatamente lo stesso per alcuni giornial fine d’essere iniziati e capaci d’adempiere la funzione maggiormente importante per l’uomoquella della procreazione.Probabilmente con l’intento d’iniziare e rendere esperto l’uomo nella copulazionesempre a fini riproduttiviesistevano le ierodule omeglio le prostitute che erano considerate sacreassolvendo così anche alla funzione d’incrementare gli introiti del tempio presso il quale operavano e dei sacerdoti dai quali dipendevanoIl rito si diffuse in Greciadove per merito dell’uomo-dioDionisoconobbe il massimo fulgore e fu arricchitocome narreremod’altri significati ed espressioni (morterisurrezionesbranamentomisterimenadi che con vino annullavano la loro volontà per immedesimarsi totalmente in Dioniso al fine di potersi dedicare senza nessun’inibizione a quel che era il sublime atto dell’accoppiamento con l’uomo).Dai riti di Dioniso nei quali i suoi rapitori s’imbrattavano il volto di polvere e ceneretrae origine il mascheramento nelle feste del carnevale e gli altri eccessi di natura alimentarequasi a voler ripetere le orge che in quei frangenti si consumavanocome avveniva variamente nell’universo allora conosciuto eper esempio si ricorda quanto avviene a Bosain Sardegna e in altre località.Tale rito si trasferì poi a Romadove Dioniso diventò Bacco e le sue seguacibaccanti e forse uno di tali riti servì ai Romanida esca ad attrarre le - non completamente - vittime di rattole Sabineche assicurarono ai rapitori una buona quota di discendenti.Con i baccanalisi celebravano i lupercalidai qualiafferma un eminente studioso (Irnerio Gnudi)trassero origini i sardi mammuthones e insoccatores.Le feste delle feconditàdalle quali derivano quelle dei Ceri di GubbioGigli di NolaCilii di Noto e altre che si descriverannoeranoevidentemente appannaggio del popolo che in quelle occasioni scaricava tutte le ansie e le incertezze maturate sin’allora e dava stura all’allegria più sfrenata con danze e canti. Il falloforismo èsoprattutto festa di gioventùesuberanzagioiatendenza verso l’altocreativitàsicurezza in se stessi e certezza del domani e nello stesso tempofestività di ringraziamento e di vototalmente radicate negli animi che invanocome vedremoil cristianesimo tentò di cancellare del tutto la loro origine pagana e soprattutto il carattere falloforico.In merito ai Candelieri di Sassaridiscorrendo con uno straniero che da qualche tempo risiede in città e quindi in grado d’esprimere dei giudizi spassionatisi è avuta la conferma checontrariamente a quanto si credela vera festa dei sassaresinon è quella cosiddetta della “cavalcata”ma proprio “La Faradda”considerato l’entusiasmoil calore con il quale partecipa il popolonella parte profana che la compone anche se era e rimane di natura falloforicaintesa nell’originario significato di questo termine e bene ha fatto il cristianesimo a purificarlasantificarla e tramandarla ai posteri.D’altronde perché sopprimere il falloforismo quando lo stesso è soltanto un continuo inno alla vitaresa di grazie e richiamo alla religionequella che non preferisce benedire le armima predica l’Amore in tutte le sue espressioni e consiglia soltanto: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”.Sinchéperòi principi che hanno ispirato le feste della feconditàprofondamente radicati nell’animo umano (e già si è accennato a quali e quanti sforzi inanicompì il cristianesimo per annullarlisottostandocome vedremoa dei compromessi non ortodossi)i riti della falloforia continueranno a celebrarsiin modo esplicito o mascherato nelle più insolite od impreviste varianti: da quelli istintivi delle tribù dell’Africa nera a quelle delle Foreste amazzonichedelle popolazioni dei Caraibipersino dell’Oceania e pare anche in FinlandiaPerù e Giappone.Sappiamo quanto erano sentiti detti principi specialmente durante le guerrequando forse per tentare di compensare le perdite umanegli individui alla presenza del pericolovivevano con la massima intensità possibile il sentimento dell’Amore. Senza contarepoile esplosioni di gioia della fine dei conflittiaccompagnate oltre che da danze e canti che duravano anche lunghi periodi e seguiti da eccezionali incrementi demografici.Il popoloperònon desidera subire tanto dolore e danno per poi vivere la sua gioia e l’amore: desidera che ciò avvenga in un clima di paceserenità e spensieratezzail culmine delle quali raggiunge in occasione di festività particolaricome la “Festha Manna” (Gran Festa) dei Candeliericonsentiamogli di viverlasalvo le limitazioni imposte dai nuovi dogmicome le hanno sempre vissutepuò affermarsi dai primordi del mondo.Condividiamoinoltre l’aspirazione a continuare ad “infiocchettare” CandelieriCandeloreCeriGigli e Varerealizzando quella tanto bene espressa dalle canzoni popolari: “Fate l’Amore e non la guerra”.Procedendo nella lettura del librotutti gli avvenimenti e i principi che hanno portato alla nascita e allo sviluppo della falloforia saranno maggiormente noti e più comprensibilie verrà meno la sensazione di falso pudore che può suscitare tale termine. Il seguito della lettura costituisce senza dubbio una piacevole sorpresa e forse continuerà anche di svelare qualche imprevedibile misteronon disgiunto dalla possibilità di rivisitare e conoscere un mondo arcaico sin’oggi sconosciutomolto interessantee perché no? anche affascinante.Abbiamo tentato spiegare che la falloforia nelle sue multiformi espressioni è festa di sempre e di tutti; è stataforsela prima occasione di socializzazione: è nata con l’uomo ed è sempre esistita (ed esiste ancoracom’è stato accennato) e si è adattata ai tempi nuoviammantandosi di mistero ed invitando gli studiosi a riscoprire gli antichi riti nelle forme più varieimprevistemutevoli da luogo a luogonelle quali si presentano come CandeloreCandelieriCeriGigliSegavecchia di Forlimpopoli e il Sacro Sacramentoetc. etc.che se sono espressioni dell’abbandono del simbolismo primitivosuperato dal pragmatismo coreografico popolare che per onorare degnamente la Madre di Dio e di tuttiimmagina e crea strutture d’eccezionale complessità che attraggono il popolo e lo eccitano a partecipare a qualcosa d’inimmaginabile e solenneeccezionalesenza le pruderie della falloforia.Concludendo. Possiamo definire la falloforia la festa del “carpe diem”all’insegna dell’amore e d’ogni annessa simbologiache è la prima via di sopravvivenza per gli individui e la società.Origine e diffusione del falloforismo.È fondamentale premettere che dai tempi preistorici si è cercato di conservare e proteggere l’unità e lo sviluppo del clan o del gruppo tribale (da sempre l’unione fa la forza) e l’unico modo per conseguirla era l’amoreche è stato il primo fattore di sopravvivenza; bisogna indagare non soltanto nella demopsicologia dei soli Sardi antichima dei popoli primitivi in generaleessendo la falloforia costume diffuso ancora oggi presso le sempre più rare popolazioni primitiveche vogliono mantenere una propria identitàsempre pericolante ed in forse fra essere e non essere.La società primitiva era impostata su sfondo feticistico animistico ove i fatti della riproduzione evocavano poteri sovrannaturaliil mito della forza e immanenti e reali poteri. Al centro della concezione primitiva della vita e della morte stava la Dea Madrevariamente denominata nelle diverse rappresentazioni: IsideIstharInannaDemetraCerereetc. etc. Accanto alla Dea Madregenitricevivificatrice e continuatrice della vitastava una credenza e figurazione di un dio maschiotalora simile o al toro o ad altri espressi iconograficamente e senza infingimentinella forma di “fallo”caratteristica dei “menhir” a tronco di conosuggestionate d’erotismospesso uniti alle “pietre fitte”puri simboli fallici “ante litteram” che incarnano significativamente il principio attivo maschile tendente all’insùpronto all’azionealla lottaalla guerraetc. e la fertilità agraria con cui è connessa per il lato economicoa donare feconditàabbondanzabenessere. Sotto la frequenza del simbolo “colonna”“pilastro”tronco di conopuò nascondersi anche quel fallicoincipit visivo e magari visionario di un prossimo intimo gaudiodi un incanto esplosivocome testimoniano le religioniegiziana e minoica (simbolo taurino). Restiamoperòin Sardegna; cerimonie a sfondo magico e religioso dovevano svolgersi presso le “pedras fittas” e i menhir di pietra al naturalee le giovani spose dovevano scivolare nude sul pilastrounto per l’occasionesfregare il ventre osemplicemente arrampicarsiperché il genio della pietra non negasse al grembo femminile la fertilità e la prole.L’abbondanza di colonnepilastrimenhirbetili (in altre parole pietre grezze o lavorate) d’indubbia simbologia “fallica”fa pensare all’attività fecondatrice della divinità(soletoro o altro)poiché dietro il simbolo del “fallo” si cela la potenza dell’essere superioretrascendenteil dio maschio.Non devequindisorprendere il falloforismoossia le cerimonie e processioni con simboli fallici che infondono e diffondono gioia ed esuberanza giovanileimmediata e beneaugurante per il futuro anche se per i primitivi ciò che conta e solo l’oggi e vivono e godono ogni giorno sempre senza pensare che potrebbero morire il domani.In un periodo di fervore religiosomotivato dall’attesa d’intervento soprannaturale per cause accidentali(epidemiepestecarestiaguerre e altro) si è ricorso ai noti e partecipati e mai sopiti riti del passatotradizionalitrasformandoli e santificandoliriproponendoli anche come originali e tuttavia conservandorinnovato e sempre godibile l’elemento profanoludicopiacevolesprofondati nei recessi reconditi della memoria e della tradizione.Dal voluto sincretismo fra passato e presente nasce e s’afferma una nuova festache mantiene connotazioni profane meno orgiastichevolutamente temperate dall’avvento e sovrapporsi del sacroimposto dal cristianesimo imperantema una domanda noi possiamo porci e chiede risposta: come mai è trascorso tanto tempo fra gli ultimi ricordi e manifestazioni falloforiche dei riti pagani ed il riaffacciarsi sulla scena della manifestazione ludico- simbolica di cui trattiamo?Ci pare corretto e sufficiente rispondere e pensare che il rito falloforico nella sua manifestazione orgiasticapopolare e profananon poteva più essere celebrato a causa dell’imperante e severo divieto imposto dal cristianesimo e le gravi punizioni comminate; ma in forma clandestinalimitatail rito falloforico è sempre stato goduto e celebrato in ogni tempo e fino ai nostri giorni.Non altrimenti si spiega la comunanza del rito ludico-falloforico fra genti tanto diverse e lontanein Italianel bacino mediterraneo ma anche in AfricaOceaniaAmerica e altrove. Popolazioni diverselontanesenza alcun legame apparente fra lorocon differente grado di civiltà e che tuttavia condividonovariamente dissimulatoil rito falloforico che ricorre in molte fra le innumerevoli feste pagane e cristianevariamente denominato e presentato (candelierecandeloracerogigliovaracilio e altri).Forse è vero quanto Barry Feel ed altri vanno ripetendocon supporto di prove archeologiche ed etnograficheche contrariamente a quanto si crede i traffici marittimi attraverso gli oceani erano più frequenti del pensabile fra le popolazioni dell’EgittoLibiaCartagine e altri luoghied altrettanto gli scambi culturali e rituali (Barry Feel A. Ipubblicato in Americada Pocket Books)È incredibile il numero di feste di tutti i popoli ed in buona parte di esse è frequente l’aspetto ludico licenzioso che ha provocatoin tempi storicil’opposizione del cristianesimo; ricordiamo che feste a carattere orgiastico sono state tollerate fino al 600 d. C. ediscretamentesono sempre esistiteperché il cristianesimo ha intelligentemente saputo dividere le feste in due tronconi: uno iniziale e profano ed il secondoa seguiresolenne e sacroda celebrare in apposito tempio consacrato.Concludendoil mito e il rito non sono mai andati persi ma in modo inapparente hanno continuato a celebrarsi fino ai nostri giornidifferenti da un luogo all’altroma sempre aderenti ad uno schema precostituito e comune.* * *Il Mito ha originetrasformazione ed adeguamento ai tempi ed alle regole religiose attualima contiene e resta sempre un segno della natura pagana iniziale.Ricordi di culto falloforico esistono un poco ovunquenon soltanto in Italia ma nel mondocome pratica antichissima di rispetto per la natura e riconoscimento della funzione sacrale del sesso: GubbioNolaSassariMessinaViterboNoto e altrima sono più frequenti nell’Italia Meridionale ed Insulare (SiciliaSardegnaCalabria e altre) che hanno avuto maggiori contatti e rapporti culturali e commerciali con la Grecia e il confinante Medio Orienteda dove sono partiti. Riti chepoiil cristianesimo non ha abolitoma offerto in versione emendata e castigataanzi santificata con l’attribuzione di capacità miracolose a quei ceri simbolici e imponentiai quali gli antichi avevano attribuito capacità eccezionali di fertilizzazione e fecondazione della Madre Terrafaccendone un simbolo d’abbondanzafertilitàpacificazioneesaltazione ludicaorgiasticaGiunti a questo puntoalla luce di quanto si è espostol’ipotesi di cui si è accennato nella premessa di ricerca e studionon appare più infondatablasfema e dissacrante.Essa si riferisce al fatto d’appurare se i riti falloforiciovviamente purificati e modificati dall’avvento della religione cristianain effettisi celebrino ancora “mutatis mutandis”.La risposta pur con la doverosa concessione di un ragionevole dubbiopropende per il “sì” anche se essa non mancherà di sorprendere e sarà difficile da assimilareperché si riferisce alle più importanti feste: “La Sagra dei Gigli” di Nola – “I Ceri” di Gubbio”“I Candelieri” di Sassari”“I Cilii di Noto”“Le Candelore di Catania” ed altre.Appare superfluo evidenziare che queste feste votive maturarono in seno a quei ceti sociali agricoliche più degli altri hanno “incorporato” e mantenuto le tradizioni arcaichenei quali il “fallo” non era visto soltanto come organo di riproduzionema soprattutto come simbolo di fecondità e di fertilità della Gran Madre Terra e costituiva il migliore “ex voto” da promettere e donare alla divinità per “grazia ricevuta”.Fu così che l’ostentazione di quell’organo umanoche evidentemente appariva osceno soltanto alla novella e vincente religione cristianasi cangiò in giglioin ceroin candeliereetccercando attraverso la diversitàdi sfuggire alla persecuzione ed ai fulmini del cristianesimo.In merito si ritiene opportunoriportare alcuni stralci di un articolo apparso sul quotidiano LA STAMPA in datamartedì 17 settembre 1986 e portante il titolo PREISTORIAPARADISO DEL SESSOa firma di Mirella Serriche propone uno studio condotto dalla californiana Riane Eislercondirettore del Center for Partenership Studies di Pacific Groveedito da Frassinelli col titolo: "Il piacere è sacro".“ … La studiosa sostiene che non esistono comportamenti sessuali innatibensì che L’Eros è prodotto di cultura. Nelle società che s’ispiranosecondo una formula coniata dalla stessa Eisleral principio della partner - shipin altre parole in civiltà non bellicosein cui predomina la collaborazioneil senso dello scambio reciprocoil sesso è “sacro”fonte di piaceredi vita. In civiltà in cui s’afferma il principio “della dominanza”e in altre parole aggressivitàfondata soprattutto sulla forza e sulla violenza (di un popolo sull’altrodegli uomini sulle donne)l’unione sessuale perde la capacità di rappresentare il congiungimento con Dio per diventare qualcosa di volgared’oscenoche si coniuga con il dolore e con la morte (abbiamo notato in ciò che sino ad ora si è narrato in relazione al tema trattato chealcune prerogativequali quelle della morte e della resurrezione e della feconditàerano appannaggioindifferentemente di divinità femminili e maschiliqualiad esempio Iside e Dioniso) …”Indubbiamente come a quei popoli “andò stretta” l’idea di sostituire uno dei più venerati simboli delle loro credenzea noi dell’era nucleare sarà molto difficile pensareassistendo alla “faradda” (discesa) a quel che in originerappresentavano quei cilindri ligneiaddobbati quasi come un albero di Natale concome scrisse un indimenticabile poeta sassaresePompeo Calvia: “Li vetti di rasu trimulendi” (Le fettucce di raso tremolanti).In meritoperòpare non nutrire alcun dubbio uno dei più insigni e competenti scrittori sulle antiche civiltàIrnerio Gnudiautore dell’opera “PelasgiFeniciEtruschi e la civiltà orientale di Romaridimensione di quella greca”pubblicata dallo stesso Autore nel 1981 per i tipi della S.A.T.E. di Ferraradel quale si riporta lo stralcio di una lettera in data 12 dicembre 1986diretta ad uno degli Autori del presente lavoro:“ … La festa con i mammuthones e gli insoccatores ricorda i Lupercali lazialidove i giovaninudicolpivano con strisce di cuoiogiovani fanciulle in mezzo alla folla; si trattava di un rito e di una festa orgiastica di fecondazione e fertilizzazione sessuale e rigenerativacome quella dei misteri cosiddetti Pelasgi. Il mistero consisteva in orgetalvolta notturne e nei boschidove i giovani offrivano liquido seminale (sperma) alla Dea Madre ed in altri casi piantavano un grosso menhir falloideo: insommagira e rigirasi trattava delle stesse concezioni agricoleprimitivea scopo propiziatorio ed all’inizio della primavera…”.Forse i Mammuthones significano la morte della natural’inverno che naturalmente moriva per dare inizio alla primavera ed alle forze della vita e rigenerazione.A Sassari c’è il rito del candeliere tutto inghirlandato e che è portato in processione a guisa del palo e della festa ludico-orgiastica descritta da Erodotonella valle del Nilo (454-447 A. C.) e riconducibile ai miti e riti di Dionisod’Osiridedella feconditàdell’abbondanzarinascita etc. e dall’Egitto e dai Cananiti e poi passata in Greciain ItaliaSiciliaSardegna e Corsica. Spesso attorno a tale palo-fallo danzavano le giovani coppie da marito agitando un nastro legato alla punta del fallo stesso (palo) (fallo) affinché arrivasse all’inseminazione e fertilità dei campi e delle spose etutto questo avveniva dal tempo dei prenuragici ….Vittorio Lanternari nel suo saggio “PREISTORIA E FOLKLORE – Tradizioni Etnografiche e Religiose della Sardegna”ci ricordaai giorni nostri:“La Grande Festa dedicata al Milamala nel Capodannocelebrata in una società melanesiana di coltivatori e precisamente nelle Isole Trebianduno stato governato soltanto da donne. Il Milamalasecondo quanto scrive Lanternari“per un verso è una celebrazione del prodotto agricoloe comprende danzecantitripudioesibizione e distribuzione di cibibanchetti domesticitrattenimenti e sfrenatezza sessuale: orgia e culto dei morti costituiscono i due motivi essenziali entro i qualisi svolge il ciclo festivo del Milamala”.Si sono già descritti alcuni riti falloforiciod ipotizzabili come talidiffusi ed annualmente effettuati con larga partecipazione popolare e nei quali l’aspetto ludico della festa respinge ogni altro valore contingenteproprio come alle originiquando soltanto l’amore era la prima forma d’aggregazionesocializzazione e sopravvivenza.Ci pare interessante scrivere dei Menhir in Sardegnadel loro significato e della frequenza.I menhir ricalcano in forma imponente ed astratta quella delle divinità atipiche di una religione animistica e naturalisticaincentrata sull’idea che la materia fisica fosse animata da spiriti invisibili“mana”.L’uomo neolitico credeva nel mana della pietrala forza misteriosa dello spirito che l’abitava e che si esprimeva in tutta la sua efficacia soltanto nella materia nuda e intetta. La mancanza di lavorazione nelle prime statue menhir risalirebbe pertantoad una specie di tabù diretto a preservare la magia degli idoli di pietra. I menhir delle epoche successive si presentano invece ricchi di particolari iconicisimboli divini che alludono alla sessualità feconda. Essi sono legati al culto della Dea Madre o Dea degli occhi e anche Dea Nudache è rappresentata sia nelle statue antropomorfe (come quelle di San Vero Milis e di “Sa perda fitta”)sia in quelle coniche semplici; siaancorain quelle che presentano incavi simulanti i seni e che in alcune pietre si trovano moltiplicatifino al numero di dieciforse per indicare la maggiore forza fecondatrice nella divinità (il menhir di Genna Prunaspresso Guspini). La Dea Madre era la divinità della maternità e dell’amore; d’origine orientale (AnatoliaMesopotamia) essa era venerata in tutto il bacino mediterraneoidentificata forse con la Lunaconsiderata simbolo della fertilità e della rigenerazione della vitaquesta Dea rappresentava la logica espressione spirituale di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo matriarcalela cui sopravvivenza era legata ai cicli dell’anno agricolo.Associato alla Dea Madreeratalorarappresentato anche il suo paredroil Dio maschio identificato con il toroe forse col Soleraffigurato semplicemente da un menhir la cui sommità appare leggermente appuntita e segnata da una scanalaturaa simboleggiare il fallo.Intorno a queste pietre si crede si riunissero le donne per compiere danze licenzioseche avevano lo scopo di propiziare la fecondità.Le pietre infitterecanti segni femminili o maschili si trovano spesso accoppiate si accompagnano a monumenti religiosi o funerari; la coppia divinainfattidoveva caratterizzare la sacralità del luogoergendosi quale simbolo di custodia e protezione. Tale significato ha certamente il maestoso menhir che si trova presso la necropoli di Montessunel Sulcis o i betili che si affiancanoanche in numero di seialle tombe dei giganti (Tamulipresso Macomer e Cuvaspresso Dualchi)oppure le due pietre infitteuna di roccia bianca calcarea e l’altra d’arenaria rossa (identificabiliprobabilmente con il Sole e la Luna che si elevano accanto alla ziqqurat di Monti A Kodditra Sassari e Portotorrescom’abbiamo accennato).Forme più moderne di menhirdai quali si differenziano per le dimensioni più ridottei betili sono per lo più scolpiti nel basalto e rappresentanotalvoltanumerosi incavicome a raffigurare i molteplici occhi della divinità.Non pare fuori luogo segnalare che Bèthel è la forma semitica da cui deriva la parola betilo e che significa “dimora di Dio”perché si ritenevano animate da vita divina e si pensava che in esse risiedesse lo spirito di Dio; esse esprimono ed esaltano alcuni sentimenti fondamentali dell’umanità: la ricerca del piacereil valore dell’amicizial’aspirazione a superare la morteche costituisce sempre un limite invalicabile all’avventura terrestre dell’umanità.CULTI DELLA FERTILITA’Reik ci ha mostrato come i culti della fertilità in cui apparivano giovani dei che convivevano con dee madried erano evirati e resuscitatifossero l’evoluzione diretta dei riti della pubertà iniziatici come si svolgevano in periodi anteriori alla civilizzazione. Noi possiamo imparare ancora qualcosa. Nei popoli sedentari e agricoltori questi riti iniziatici tribali furono tramutati in quelli della fertilità della terra. Il mito biblico risale dunquenon alle tribù ebraiche della prima metà del secondo millennio a. C. ma è anteriore d’alcuni secoli a quando apparirono per la prima volta gli ebreiinfattila Bibbia ci racconta: “Poi Terah prese Abramla moglie di costui sua nuora Sara; il loro figliolo Aran con il figlio di costui Lot suo nipotee uscì con loro da Ur dei Caldei per recarsi nel paese di Canaan” (Gn. 1131).Urantica città stato sumera della fine del quarto millenniofaceva parte di una cultura che era diventata urbana e agricolae lì nacque il mito d’Inanna-Dumuziche in epoca babilonese divenne Isthar-Tammuz. I Sumeri avevano abbandonato la struttura tribale quando si costituirono a città-statoe solo in questa situazione si può capire il mito Dumuzi-Tamuz che nasce e risorge in concomitanza al morire e risorgere della natura ecome la stessa Bibbia ci raccontale origini d’Abramoil primo ebreoerano mesopotamiche. La leggenda d’Abramo narra come distrusse gli idoli che il padre Terah fabbricava nella sua officinadopodiché cominciò a vagare nei percorsi della “mezza luna fertile” dalla Mesopotamia all’Egittoche era il percorso delle carovane e dei pastori seminomadi per tutto il secondo millennio.La conversione d’Abramo ha dunque il significato d’abbandono della civiltà urbana e la sua idolatria per abbracciare il nomadismo. Questo fu esattamente quel che avvenne a molti semitinord occidentali chein concomitanza al terremoto etnico e culturale della fine del terzo millennio cominciarono a vagare per il Medio Oriente. Gli ebrei che erano di una di queste tribù semitiche nord occidentalisi portarono dietro nel loro peregrinare le leggende della cosmogonia mesopotamicheche così entrarono nel testo biblico.L’Inanna-Dumuz si tramutò in Isthar-Tammuz semiticie arrivati a Canaanin Astarte-Tammuz. Non sappiamo se i greci nel creare le figure di dee madri e di giovani dei che convivevano con loro si siano ispirati ai miti sumero-semitici che li avevano precedutio se bisogni simili produssero culti similari indipendentemente. In Egitto ancheil culto d’Iside-Osiride ricalcava un modello similee gli Egiziani non erano soliti prendere in prestito dagli altri i propri modelli culturali.La figura d’Inanna-Asthar che diventò Astarte-Eva era dunque una dea della fertilità mesopotamicacomprensibile soltanto nell’ambiente di una cultura sedentaria-agricola. Questa non era quella delle tribù ebraiche che migravano come pastori seminomadi ai margini del seminato.Soltanto alla fine del secondo millennio gli Ebrei conquistarono la Palestina e diventarono un popolo d’agricoltoriabbracciando contemporaneamente i culti della fertilità dei Cananiti. Ciò però avvenne soltanto per un periodo di transizionedalla conquista della Palestinaintorno al XII secolo fino all’esilio babilonese nel 587 a. C. Un’immagine d’Astarte fu rinvenuta a Nora e una sua presunta statua nel Monte Siraiin Sardegna e ciò significa che se era conosciuta la deaerano a conoscenza dei sardi anche i riti celebrati in suo onoreseppure non è chiaro come il tutto erecato da chisia approdato nell’isola a forma di sandalo.Al loro ritorno dall’esiliosi produsse una metamorfosi esistenziale radicale nel modus mentale del popolo ebraico: i culti della fertilità e della prostituzione sacra furono rifiutati e gli ebrei s’asserragliarono in un monoteismo iconoclasta e intransigente alle insegne di un Dio-Padre esclusivo.Il racconto d’EvaAdamo e il serpente è di molto anteriore a quel periodo di transizione tra il XII e VI secolo A. C. e quindi non è in realtà un mito ebraico.Il mito cristiano di un giovane dio che muore e risorge si riallaccia quindi ai culti della fertilità come questi erano perpetrati alla fine del primo millennio in tutta l’ecume panellenicada Roma a Babiloniasu ispirazione dei miti della fertilità sumeri o semitici che le avevano preceduticome l’insediamento urbano e agricolo aveva preceduto in Oriente quell’occidentale.Il mito biblico di una dea madre che convive nel Giardino con un giovane dio figlio era dunque d’ispirazione mesopotamica ed entrò nella mitologia delle tribù ebraiche seminomadiche non avevano motivo di tradurlo in culto della fertilitàanche se queste quando diventarono residenti fissi riattivarono questi contenuti e li tradussero in culti della fertilità degli altri popoli sedentari; quando apparve il cristianesimo erano già stati rifiutati energicamente da cinque secoli.Una dea madrecome la Vergine mamma del Cristo si ricollega ad Eva madre dell’umanità non attraverso il mito ebraicoma di quel mesopotamico e poi attraverso il medium dei culti della fertilità di tutta l’icumene panellenica.Persefone sarà la dea della fertilità occidentale com’Eva lo era stata per le antiche tribù ebraiche.Un’ulteriore allusione alla sua natura di dea della fertilità si trova sia nelle sue radicisia nel ruolo adempiuto nel mitodopo essere stata rapita. Ella è figlia di Demetradea della messee attraverso la sua salita e discesa dagli Inferirappresenta il cambiamento delle stagioniche permette la semina e il raccolto. Il mito occidentale ha sviluppato dal principale concetto della fertilitàintesa come proliferazioneil significato della stessanel senso di produzione agricola e fecondità della terracom’era successo precedentemente nel Medio Orientequando le tribù seminomadi del periodo calcolitico erano diventate residenti fissi e si erano costituite nelle grandi civiltà come quelle dei SumeriEgizii BabilonesiFenici e Cananei. L’arcaico senso di fertilitàintesa come proliferazionefu tradotto in culti della terra. In Babiloniain Siria e in Palestinail dio Tammuz moriva all’inizio della primavera per risorgere con le prime pioggericalcando il molto più antico culto sumerico d’Inanna-Dumuz. I Sumeriinfattierano stati i primi a costituirsi in civiltàin concomitanza agli Egiziper i quali i culti della morte e resurrezione erano personificati nel rito d’Osiris. Queste giovani divinità erano piante dalle madri che avevano perso con loro l’amantequali InannaIsthar-Astarte e Iside chediventarono dee della fertilità dei loro popoli. In Mesopotamia e Siria-Palestina erano prostitute sacre.Fino al sesto secolo a. C. questo culto era perpetrato anche nel tempio di Gerusalemmecon gran disappunto dei profeti: “Mi condusse all’ingresso del portico della casa del Signore che guarda a settentrione e vidi donne sedute che piangevano Tammuz” (Ezechiele8/13).Persefone non sarà mai una prostituta sacra poichécome abbiamo vistola psiche occidentale sviluppò altri bisognima mantenne quello strano serpente enigmatico: lei non più vergine (forse) e mai prostituta sacra.LA NASCITA E IL CAMMINO PERCORSO DAI RITI PRIMITIVILA SARDEGNA DAI TEMPI PREISTORICI ALL’ETA’ DEL FERRODa: “MUSEO ARCHEOLOGICO DI CARBONIA”Carlo DELFINO EditoreSassari1998L’ANTICO EGITTOSi è affermato prima che la terra d’Egittoè stata la culla di tutte le civiltàinfattinel frattempo che il resto della terra non era ancora entrato nella storiaKeope costruiva le famose piramidiil monumento che neppure l’arte moderna con l’ausilio delle più innovative tecnologie inventateè riuscita per grandiosità a superare ei faraoni Thot-MosisAmon-Ofis e Ramsetesoggiogavano tutte le razze umane che gravitavano intorno all’Egitto.La religione egiziana conta diversi miti che vantano la creazione del mondo e ciascuna città (in cui si celebrano i riti relativi)tendeva a far valere il suo patrono (in effettise stessa) sulle altre.La prima concezione cosmogonica fu quella di una triade divina composta di Ged o Geb (la Terra)da Nut (il Cielo) e da Ra (il Sole). A queste in seguito se n’aggiunsero ben quarantaquattro con diverse personificazioni che sono: AtumShuTefnutOsirideIsideSethNefthiHorusPthaSekhmetNefertumThot. AnubiHathorSokarKunumSatetAnuketMeatNeithAmonMuthKhonsSobekHapiBesSekethNunUpuautApisApofiHehMinMontuTueretSeshatKhepriImsetHapiQuebehsenufDuamutefBastetNekhbet e Uaget.Tralasciamo di trattarle tutti ad eccezione d’Iside e Osiride che sono quelle che maggiormente c’interessano e si diffusero in altre terre forestiere.Iside e OsirideLe loro gesta sono celebrate in molti poemi e citate in numerosi testi.Osiride discende direttamente dal dio creatore Atumè tal egli stesso ed è faraone. Regna saggiamente con la moglie Iside e governa con intelligenza il popolo a lui sottomessoal qualeinsegna il culto degli dei e l’arte dell’agricoltura. Suo fratello Sethperòdio del mare e del deserto vuole ucciderlo per usurpare il trono. Lo invita perciò ad un banchettoal termine del quale mostra agli ospiti un sarcofago affermando che lo donerà a chientrandovivi giacerà perfettamente. Così quando Osiride vi si sdraiaSeth e gli ospititutti suoi complicichiudono il coperchio e gettano quella bara nel Nilo. Iside dopo innumerevoli peripeziericupera il suo cadavere nella lontana Fenicia e sta per infondervi nuovamente la vitaquando Seth le sottrae il cadavere e lo riduce in pezzima Iside servendosi d’arti magiche e delle pratiche della mummificazionericompone e resuscita Osiride che si presenta agli deii quali lo nominano giudice dell’oltretomba. Horusil figliovendica il padre uccidendo Seth e divenendo così il nuovo faraone d’Egitto. Il culto d’Iside e Osiride si diffonde in tutto il mondo giungendo sino a Roma. Osiride rappresenta quindi l’uomo giusto chefidando negli deicompie opere buone e facendosi mummificareriesce a conquistare la vita eterna. Isideinveceè il simbolo di chisopravvivendo alla perdita di una persona caral’ama e l’onora ancora. Si noterà in seguito come alcuni comportamenti verificati nella suddetta “storiella” si perpetueranno magari sotto diversi aspettiin altri culti religiosi anche a distanza di numerosi secoliquali ad esempio il tradimentolo smembramentola divinizzazione e la resurrezione.In merito alla migrazione del rito d’Iside in Sardegnanon è azzardato asserire che questo fosse qui importato dalle truppe scelte come guardia del corpo per il loro coraggio e valorereclutate proprio fra i sardi. In proposito si narra anzi di un eroico atto di valore da loro compiuto nei confronti del faraone …che in una battaglia stava per soccombere ed essere ucciso dalle truppe nemiche e furono proprio i suoi “pretoriani sardi” che a “corpo morto” come un sol uomosi gettarono nella mischia e con immenso valore e coraggioriuscirono a salvarlo da sicura morte. La presenza di questi guerrieri sardi è confortata dal fatto che in un bronzetto nuragico rinvenuto a Serri (NU) (Santa Vittoria): il capotribùesposto nel Museo Nazionale di Cagliari (1) reca appeso al colloproprio un pugnale ad imitazione degli antichi guerrieri egizianima anche i geroglifici di Karnak el Abu Simbel confermano la presenza di Shardana come guardia del corpo del Faraone. In proposito si narra che furono proprio questi guerrieri che dopo avere soggiornato in Egittorientrati in patriaa somiglianza di quanto avevano notato sulla terra del Nilo per le fortezzeabbiano suggerito ai loro compatrioti di costruire i nuraghi in posizioni rilevate in maniera da dominare le terre circostanti e in vista l’uno dell’altrotali da comunicare fra di loro a distanza anche per mezzo di fuochi.MITI NELL’ORIENTE SEMITICOIl Mito e il SimboloNessun singolo racconto mitologico può contenere tutti i significati condensati nella figura di una divinità. Gli dei vivevano nell’anima dei nostri antenati e non si trasfondevano interamente in un racconto. In ogni storia però restavae resta tuttora vivoqualcosa dei personaggiche appartenevano all’insieme della loro figura.In altre parole ogni figura mitologica è la condensazione di più immagini. In essa si rispecchia sia la tensione psichicache l’ha generata che la sua soluzione. I simboli sono il linguaggio attraverso il quale questa tensione esistenziale si rivelasi esprime e si risolve.L’uomoattraverso le immagini del mitocome nella condensazione del sognoesprime in maniera ermetica e condensatale fantasiele tensioni e le soluzioni che sono i contenuti della sua essenza. Questi rappresentano il tessuto filogenetico che costituisce quello di una determinata civiltà e l’accompagnano attraverso tutta la sua evoluzionecambiando spesso la forma esteriore ma mai l’essenza di base. Miti possono essere parzialmente dimenticatinomi di divinità cambiatiriti superatima il “modus” di una civiltàla sua essenzarimangono sempre gli stessi finché questa ha vita. Per capire i comportamentile attitudini mentali e soprattutto le reazioni e i riflessi di una società di fronte all’imprevisto e alla crisibisogna risalire fino alla radice del modus mentalelà dove questo si è formato.Attraverso la decodificazione dei mitiche è la produzione onirica collettiva dei popolipossiamo capire come una civiltà si auto-percepiscae risalga allo stato di conflitto pulsionale che ha trovato in questi la sua soluzione.Tralasciamo il fatto di come la mitologia greca e quell’ebraicarispecchiassero due concezioni diversedi come ambi popoli si percepissero e affermiamo soltanto che i greci usufruirono di una mancanza d’inibizioni che si tradusse in libertà d’espressione estroversa e catartica. Questa li conduceva a briglia sciolta in ogni angolo più remoto della psichedando sfogo alle tensioni esistenziali in una multiforme rappresentazione scenica. Una volta liberatisi dalla struttura sociale e mentale tribalecrearono un palcoscenico di dimensioni cosmichedove proiettare liberamente ed esporre alla luce quelle fantasie che nelle tribù ebraiche rimasero represse: se quello che caratterizzò il modus mentale occidentale fu la capacità d’espressione estroversa ai suoi antipodi troviamo la chiave opposta di svolgimento. I giudei interiorizzarono le rappresentazioni dei contenuti psichici es’avviarono lungo un percorso nel quale l’espressione dei contenuti mentali fu sempre più introversa. La creatività ebraica fu il risultato della compressione e dello spostamento verso l’interno delle tensioni esistenziali. Si crearono così due chiavi di soluzioni opposte. La creatività occidentale fu il risultato della tolleranza pulsionalequell’ebraica della sua inibizione. Non ci si deve meravigliare quindi se nel corso della storia l’incontro tra Occidentegreci-romani-cristianied ebrei si tramutò in uno scontro. Lo scopo di questo lavoro è di risalire all’iniziolà doveoltre il mare di dati che confermano gli aspetti comuniusicostumi e miticomincia ad apparire chiara la divergenza.”(Per i ricercatorilo scopo è di giungere a far recepire al lettore come per certi particolari riti primitivi e paganisia stato quasi una transazione naturale checristianizzandosi diventasseroconsiderati i loro significati intrinseci e radicati secondo la simbologia imperantedelle feste votive: simboli e significati che spesso trovano il loro corrispondente nei miti e nei riti pagani).Concezioni arcaiche e preistoriche emergono talvolta intatte e trovano espressione nei miti e nei ritifondendosi con concezioni più recenticreando una condensazione incomprensibilema conservando tutta la propria vitalità originale.Il simbolo va capito come la rappresentazione figurata di una condensazione carica d’energie incapsulate in cerca di una soluzioneil tumulto affettivo alla ricerca di una quiete. “L’equivalenza di valori primitivi rappresenta detta.”Freud ci ha mostrato come il serpente sia un simbolo fallicoperché causa del peccato originalema anche lo strumento della punizione e della salvezza in senso lato della parola intesa come guarigione. I figli d’Israele nel deserto furono attaccati dai serpenti (Nm 216)come punizione del peccato per aver detto del male contro Mosèma guardando il serpente di bronzo costruito da questi furono miracolosamente guariti: infattil’Ureus imperiale egiziosimbolo dall’autorità faraonicacome tale rappresenta l’equilibrio cosmico e la salvezza. Dall’Ureus del Faraonefiglio d’Osiride e condizione vivente per il mantenimento dell’equilibrio in antitesi al Caos primordialeviene sia il serpente di Mosè sia quello d’Esculapio. Il serpente è tuttora il simbolo della medicina. Dagli scavi archeologici in Palestina emergono numerose statuine d’Astarti o dee della fertilità che recano in mano dei fiori di lotocome simbolo fallico e di deflorazione. Le figurine d’Astarti furono trovate in zone cananee ed ebraiche.La religione delle tribù ebraichefino alloracome si presenta dagli scavi archeologicipare così non essere stata molto diversa da quella dei popoli circostantialmeno fino alle riforme di Giosia nel VII secolo A. C.una generazione prima della distruzione del Tempio per mano babilonese.La realtà esistenziale eraperòcosì forte e permeata ovunque dei culti della fertilità sotto il segno d’Astarte e dei numerosi idoli che la rappresentavanoche la Bibbia stessa ne lascia trapelare le numerose traccenonostante gli sforzi del censore.Tutta la storia biblicaantecedente il Primo Esilioracconta di questi cultianche se sotto il velo dell’anatema del Redattore e di com’erano eseguiti da Giudici e Resia nel Regno di Giudache in quello d’Israele.Il testo biblico menziona le Astarti come simbolo d’empietàepifania “proibita” di dee della fertilitàma ne contrappone loro un'altra riconosciuta ufficialmenteintroducendo nella cosmogonia l’epifania d’Eva e del “suo” serpente.* * *La dea principale del pantheon sumero era Inanna quella della guerra e dell’amore sessuale. Dopo che i Sumeri nel terzo millenniosi fusero ai semiti orientali fu identificata con Isthart. Essendo la dea di una civiltà agricola fin dalle prime manifestazioni fu identificata con la dea dei magazzinidei datterila lanala carne e il grano. Ella era anche la dea dei temporali e della pioggiaassociata ad Anil dio del cieloed è spesso raffigurata insieme con un leoneil cui ruggito somiglia ad un tuono. La forza attribuitale in guerra può derivare dall’associazione con i temporali. Inanna era anche la dea della fertilitàe come tale dei magazzini e la sposa di Dumuziche rappresentava la forza e la fecondità delle palme da datteroera caratterizzata come giovanebella e impulsiva. Similmente ad Isthar accadico-babilonesealla quale successefu prima di tuttodea della fertilità. Si sviluppò tuttavia in un carattere più complesso e i miti a lei legati parlano di morte e disastri. Una dea dalle connotazioni contraddittorie: fuoco ed estinzionegioia e lacrimeamicizia e inimicizia. Isthar accadica diventa anche una dea astrale associata con il pianeta Venere. In tale posizione era la protettrice delle prostitute sacre e il suo culto era celebrato all’interno dei templi. Il suo centro era ad Erechla città famosa per la prostituzione e le sue cortigiane. Più tardi divenne Regina dell’Universo soppiantando le altre deità AnEnlil ed Enki. La sua popolarità era universale nel Medio Oriente antico e in molti centri di culto soppiantò le altre dee. Dumuzi era il giovane sposo della dea. Ad Erechil matrimonio d’Inanna con Dumuziera essenzialmente una festività del raccoltosimboleggiante la sicurezza che la comunità sentiva dopo avere immagazzinato le provviste per il nuovo anno. Dumuzi diventò il dio della fertilità semitico Tammuz.Abbiamo così un’altra dimostrazionedi quanto fossero diffusi nello spazio e nel tempo i culti delle fertilità della terra.MITI DELLA SARDEGNAIerodulia in SardegnaL’Isola non fu esente dal manifestarsi dei suddetti fenomeni che potremo definire religiosi e socialiinfattinella concezione dei Fenici (che dominarono la Sardegna)la prostituzione sacra non era soltanto la promessa della fecondità necessaria per la propagazione della speciema era anche una promessa di salute del corpoquale premio divino per il sacrificio effettuatogiacché la salute è il presupposto necessario perché la fecondità avvenga.Ciò è un vero rimasuglio di superstizione fenicia. E' da credereperciòche anche in Sardegnaove tanti piccoli idoli d’Astarte e d'Adone si ritrovanoci fossero le sacerdotessele quali s’abbandonassero a tutte le abominazioni di quelle di SidoneBiblodi Berito e di Tiro ese ancora permangono dei dubbi sull’antica pratica della prostituzione sacra in Sardegnasarà opportuno leggere ciò che riferisce F. De Rosa riguardo alle feste che si svolgevano sino alla fine del secolo scorso in Gallurapresso i santuari campestri. Erano le uniche occasioniper le ragazzedi possedere un’ampia e sfrenata libertàincontrandosi fra innamorati … ecogliendovi talora“l’acerbo frutto di un amore prematuro …” Questo e non altro è l’incentivo che spinge la maggior parte dei Galluresi e segnatamente i pastori ad accorrervi in folla. A tarda notte comincia la caccia alle "pastorisse" (almeno così s’usava nei tempi andati). I giovani le circondanocontraggono il comparato di fazzolettoe complimentandolele invitano a gustare del torronerecandosi per consumare assieme altri cibi e bevande e per celarsi alla vista dei curiosi e degli importunidietro qualche folto macchione o sotto l’ombrello di un frondoso alberoentro qualche grotta dove … sacrificano talvolta il loro onore sull’ara improvvisata della voluttuosa dea. Ciò richiama al pensiero il costume di molte donne orientalidi presentarsi almeno una volta in vita al tempio di Venere per prostituirsial fine di tenera lontana l’influenza della maligna dea e serbarsi caste nel restante della vita.Tanti sono dunque gli elementi che fanno supporre che la prostituzione sacra fosse presente e ben radicata nella Sardegna fenicia. Un rito per la feconditàforse anteriore all’arrivo dei Fenici nell’Isolala tradizione lo indica in alcune pietre falliche presso le qualile donne che non riuscivano ad avere figlipare andassero a strofinare il proprio ventre. Alcune di queste colonne sono quasi lisce. Sono dette “perdas lassinosas”e se ne trovano in varie località.Esiste nel Museo Archeologico di Cagliari un reperto rinvenuto a Tharrosla cui interpretazione è assai enigmatica. Si tratta di un cippo in arenaria conchigliferache alcuni datano intorno all’IV-III secolo. A. C. Rappresenta tre figure femminili nudeviste di spalleche paiono strofinare il ventre contro una colonna alla quale sono aggrappate (qualcuno ci vede una danza sacra)mentre una figura maschile con gonnellinoforse un dioè scolpita frontalmente e dal suo capo emerge una testa taurinaquasi a rappresentare le due nature del personaggiochea differenza delle donne sembra costituire un tutt’uno con la colonna che lo incorpora. Non è improbabile che si tratti della rappresentazione di Dionisodatore di feconditànelle due forme antropomorfa e zoomorfaanche se Dolores Turchi nella sua opera Mascheremiti e feste della SardegnaNewton e Compton editoriRoma 2001afferma che il culto del suddetto dio era praticato in maniera prevalente nell’altra sua caratteristica di pluvialità anche se era nota agli agricoltori la sua rinascita come Dioniso-Zagreusispiratore dei culti della fertilità e quindi dei riti falloforici. Una sorta di sincretismoavvenuto in ambito fenicio-punico con una religione che i sardi dovevano conoscere già prima che i Fenici approdassero nell’isola.In Sardegna quasi certamente esistevano già riti iniziatici e culti riguardanti la fecondità. Un indizio potrebbe essere rintracciato in una pratica chesecondo la tradizione si svolgeva in una località poco distante da Mamoiadain un luogo detto Trunca Puddasricco di resti preistoriciove ancoragiacciono a terra grosse rimanenze dei betili.Scrive E. Aste riferendosi a questo territorio che secoli fasecondo la tradizione dei vecchi del luogo “allorché il gran betilo che ora giace rovesciato ed in pezzi era ben eretto nel suolosimile ad un mostruoso fallo di pietraqui si compivano particolari cerimoniali e sacrificiquali appunto la deflorazione delle vergini …”. L’Autore aggiungeinoltreche il significato letterale del nome dato alla zona Trunca Puddasnon può lasciare dubbigiacché in gergo tale nome significa proprio rompere l’imenedeflorare.Da alcuni documentisappiamo che molti abitanti dell’interno preferivano pagare un’ammenda pur d’essere lasciati liberi di praticare i loro riti pagani.I numerosi betili sparsi nella zona lasciano supporre che accanto alla prostituzione sacra di tipo femminile abbiano continuato a vivereper lungo temporiti iniziatici e fertilistici autoctoni ben più antichi.“Monti A Koddi”Questo patrimonio culturale di riticostumicredenzesuperstizioni è ancora oggi radicato evive tenacemente nell’inconsciocome “orizzonte mentale collettivo” degli abitanti della Sardegnapur essendosi smarrita la chiave interpretativa della tradizione dei propri antenati.Relativamente ad opinioni diverse come si è accennato in prefazioneforseappunto nei due menhirs potrebbero vedersi i simboli di una coppia di divinità cui si rendeva culto sull’alto della torre: stando ad una convenzione cromatica divulgata nel mondo anticola pietra biancala maggiore indicherebbe una dea (la Mater?) e la pietra rossala minoresignificherebbe il suo partner maschio(il dio Toro?).Nel Monte A Koddimolto probabilmente e insieme al culto del Sole e della Lunasimboleggiati dalle corna delle protome taurineera preminente quello della triade astralecon la dea madre della quale sono state recuperate ben sei piccole statue di marmo a lei dedicate.Le Dee-Madriin particolare modosono molto indicative per capire la società del Tempiocontrassegnata da una divinità maternaespressa per lo più in rilievodipinta e incisa nelle pareti delle celle delle Domus de Janas e intesa come nutrice del mondo umanoanimale e vegetale ed è tipica di una società prevalentemente dedita all’agricoltura e alla pastorizia.Molte voltespecie nelle tombe essa è accompagnata dal partner maschileil Dio Toroespresso dalla testa e dalle corna dell’animale. Le due identità talvolta dipinte in rossocome lo erano spesse volte anche le pareti delle tombevolevano esprimere concetti di resurrezione e recupero di vitacome d’altro canto è anche espresso dal colore rosso che significa sangue e rigenerazione.L’ideologia della morteporta con se anche il concetto di resurrezionespecialmente in una società agricola abituata ad osservare il fenomeno vitale della vegetazione: le stagioni morivano e rinascevano periodicamente e con esse i frutti e le piante.Occorre ricordare che la sacralità dell’oggetto non è data solo dal luogo dove lo stesso è rinvenutoné dal materiale con cui è fattoma è una qualità che si conferisce alle cose in rapporto alla loro funzione. Non bastainfattiquasi mai un unico criterio a determinare una convinzionema occorrono diversi indizi per determinarla.Da ricerche effettuate è emerso che quel sito nel gergo popolare e quindi nella lingua natale degli abitanti dove esiste questo TEMPIO preistorico è chiamato “Monte A. Koddi” e non “Accoddi” che è una forma italianata della pronuncia e dello scritto di un termine sardooperato dagli archeologiprima e dalle altre parti istituzionalizzate della Sardegnadopo.Stando all’autore delle ricerche suddettecon quest’operazione linguisticaanch’essa apparentemente semplice e senza alcuna volontà preventiva di dolosotterraneamente si sta compiendo un secondo travisamento della realtàsul significato di quel monumentocercando in questo modo di modificare una funzioneuna storia che il sito aveva e di un atto che in quel Tempio si compiva e ricordato nel preciso significato gergale della tradizionale lingua sarda: “A. Koddi” chetradotto in quell’italiana significa vuoi fare l’amore?”vuoi unirti con me sessualmente?Nel pronunciare una simile frase nel gergo popolare sardosi vuole chiedere e domandare se si è disponibili a compiere una determinata funzionese è propensa a compiere uno specifico atto che è poiquello basilare dell’accoppiamento sessuale.Le indagini per trovare una parola o un termine similare in un’altra lingua e che indica la precisa funzione dell’accoppiamento sessuale è stata quella del termine arabo: Akh (od) Dar.AKH (od) DAR GEBEL (in arabo al Jabal al Akhdar) significa “MONTE VERDE”: questo è un gruppo montuoso nell’Arabia nell’interno dell’Omaned era il luogo preciso in cui si compiva il rito antico per l’invocazione della fertilità e della feconditàcompiendosi l’unione animale tra maschio e femminatra uomini e donnetra cielo e terratra profano e divinoe poiché la storia narra cheil mondo arabo ha una specifica influenza nella storia sarda e forse nella sua stessa linguisticanon si può che accettare questo significato e modo di denominare il luogo ove esiste il TEMPIO PREISTORICO di Monte A. Koddiritenendolo il più appropriato e il più vero ed espressivo della funzione esercitata nel luogo.Il trionfo del cristianesimo determinò ovviamente la decadenza prima e la distruzione poi dei Santuari paganiche i cristiani sostituirono con abbazie e monasteri in un primo tempoe poi ripristinando l’uso degli stessi Santuari.Questo può essere oggiun motivo di grave confusione con il Tempio Preistorico di Monti A Koddiecco perché apparirebbe giusto definirlo Santuario oVillaggio-Santuario.Le “Feste” accompagnavano il principio d’ogni attività umana: agricola-pastoraledi produzionedi cacciadi viaggi o di guerre e coglievano gli istanti salienti della vita biologicaquale nascitapubertàunione sessualeecc. e si compivano con azioni ritualiquali danzebanchettiprocessionigaregiochispettacoli e con l’osservanza di prescrizioni o divietii quali modellavano uno stile di vitauna concezione culturale particolarenon uguale da quella condotta quotidianamente.Il mito della “Festa” è il precedente primordiale d’ogni situazione e azione umana e la “festa” garantisce il ripetersi periodico di quello conosciuto (“su connottu” in sardo)dunque la partecipazione ad essa era la parte più vera e consacrata al realedel singolo e della comunità.La nozione di “festa” e l’esperienza che vi corrispondenon è certo propria soltanto delle religioni cosiddette primitive o di quelle antiche.Nell’ambito dello stesso Cristianesimoil concetto di “festa”seppure religiosa è quello di festività gioiosapur conservando il vincolo con i precedenti antichima che in ogni modo conferma che era un momento di sospensione di un lavoro e che occorreva tenervi processioni e ritigiochi e danze collettivecom’erano d’altronde nelle religioni primitive.Secondo Van Genneptutte le feste hanno un fondo agrario e d’evidente natura magicain due distinti piani d’ordine economicoagrario-pastorale e ciclico.Nelle varie religioni in cui la divinità salvatrice era considerata depositaria delle forze generatrici (Isthar-Dioniso) la ierogamia simbolica o reale con il sacerdote o la sacerdotessarappresentanti la divinitàera la forma superata di rapporto con il divino o la divinità invocata.Carattere ierogamico aveva talvolta in varie culture anche la prostituzione sacradefinita IERODULIA: gli ieroduli erano gli “schiavi” della divinitàle ierodulele “schiave”. Quest’istituzione d’origine orientale che esisteva sin da tempi remoti in Grecia.Gli ieroduli o ierodule provvedevano ai servizi vari dei Santuari e non è facile distinguere nel complicato cultola funzione dei sacerdoti da quelle dei loro ausiliari ieroduli o ierodulele quale erano adibite alla prostituzione sacra nel tempiodalla quale praticai sacerdoti ricavavano gran beneficio.Questo ritofu propriodelle religioni dei SumeriAkkadiBabilonesiAssiriecc.come abbiamo detto ed in particolare della Cananeapoi si trasferì tra gli ebreidopo che si furono insediati nella Palestinaanche in Occidente connesso al culto d’Afrodite e di Cibelespecialmente in Palestinain Siriain Asia Minorein Egittoecc.Non sembrerebbe vero che dalla ricerca e dall’approfondimento della scoperta archeologica fatta a Monti A Koddioltre ad individuare e precisare il significato del suo nome gergaleabbiamo scoperto una delle funzioni che il quel TEMPIO-SANTUARIO si svolgevano e cheil compiere detto atto sessuale in un luogo sacro era un rito della specifica cultura preistorica della Sardegna e che andando a ritroso nella storia scopriamo che era praticato dalla Grecia all’Egittodalla Palestina all’Asia Minoreportandoci così alla primitiva cultura della ziqqurath mesopotamicacontinuatrice di quella sumero-akkadicadove il rito della ierogamia era attuato in onore di una divinità per ottenere da queste fecondità e fertilità.Il materiale archeologico fornisce numerosi documenti della probabile interferenza del sesso con il sacronelle culture preistoriche. La presenza di simboli sessualichiaramente riconoscibili è stata spiegata da molti studiosi come la chiara testimonianza di un valore sacrale o magicoriconosciuto agli organi e alle funzioni sessuali.Si è visto che a Monti A Koddi si è trovata anche la stele che simbolizza l’atto (Vedi a pag. 15)La sessualità appare congiunta sacralmente non solo con la feconditàma anche con la ricchezzasecondo una probabile concatenazione: sessualità=feconditàdunque dovizia. Inoltre la solidarietà tra microcosmo umano e macrocosmodetermina o consente d’amplificare gli aspetti umani della fecondazione e della generazionetrovando corrispettiva e giustificazione mitico-sacrale negli eventi di rigenerazione periodica del Cosmo che sono consegnati nelle tradizioni mitiche ed evocate nei rituali.Il rituale è riconoscimento di un ordinedi tempidi luoghi e azioni: perciò in determinati siti sacri sono non soltanto consentitema prescritte le attività che vanno fino alle orge e alla prostituzione sacra e che in circostanze differenti sarebbero giudicate proibite ein ogni modoprofane.Da questo punto di vista alcuni studiosi hanno parlato di rituali della fecondità e fertilità degli uominidegli animali utilidella vegetazioneogni qualvolta si sono trovati dinanzi a simbolipresumibilmente religiosid’organi e di funzioni sessuali della preistoria.I sumeri immaginavano e credevano fermamente che l’unione sessuale degli deifosse la fonte d’ogni vita sulla terra e che da essa dipendesse la prosperità e il benessere dell’Umanità e del popolo.I poeti non erano dei puritani: né facevano mistero dell’unione di questi due organi (maschile e femminile) e se in certi miti le conseguenze umane e terrene dell’attività erotica divina sono mascherate da un oscuro simbolismoin altre sono espresse con un linguaggio.La vegetazione è vista come il frutto dell’unione del Cielo con la Terra-Madre e le due stagioni personificate Estate e Inverno sono i figli del dio dell’ariaEnlil e delle Grandi Montagne che egli fa fecondare col suo semeil poeta così recita:Enlilcome un enorme toropoggiò il suo piede sulla Terra.Per far prosperare i giorni felici dell’abbondanza.Per consentire fiorire la dolce notte nel rigoglioPer far spuntare verso l’alto le pianteper spandere largamente il grano …Perché Sumer trattenesse il CieloPerché l’inverno trattenesse sino agli argini le acque dell’inondazione.Enlilil Re di tutti i paesisi decise.Affondò il suo pene nelle Grandi Montagnene diede una parte all’Alto – Paese(Il seme di) Estate e Invernol’inondazione fertilizzante della terraegli lo versò nel loro senoLa dove Enil affondò il suo peneegli muggiva come un toro selvaggioAllora la Montagna passò la giornataprendendo una notte un riposo beatoE partorì l’Estate e l’Inverno come una ricca pannaLi nutrì con l’erba pura degli altipiani della montagnacomeEnormi tori selvaggiE li fece ingrassare nei prati montaniIl Culto dell’Acqua e dei Morti.Di fronte al culto dei betiliacquista consistenza storica la notizia trassmessaci da San Gregoriosecondo cui (Espist. IV23) i Sardi serbavano ancora un’adorazione per le pietre (“Deum verum nesciuntligna et lapides adorant”). Il significato simbolico – sessuale attribuibile alle pietre betiliche si trova certo anche in un gruppetto bronzeo del tempio a pozzo di Serridi madre che regge in grembo il figlioletto in atteggiamento itifallico: l’idea della fecondità e della generazione è qui manifestariferita specificatamente alla stirpe umanasecome s’è pensato concordementequi non è da vedere una rappresentazione divinama – al modo dei vari bronzi nuragici – una figurazione umana con valore di votoè chiaro che questa statuetta dovevanelle intenzioni del dedicantepromuovere vigore sessuale (elemento itifallico) e fecondità (madre con figlio). Questo desiderio di feconditàche fa pensare ad un autentico culto della stessapuò anche vedersi espresso in un altro gruppo di bronzougualmente proveniente dal pozzo di Serripur esso di madre con figlio. Il figlio qui non ha un sesso distinto: sarei propenso a scorgere pertanto nella statuetta l’ex voto di una sposa sterile che invochi in tutti i casiuna proleancor più che quello di una madre la quale invochi la salute per il figlio malatocome fu detto da altri. Un’ulteriore conferma di un culto della fecondità si può rinvenire nelle colombe simboliche; frequenti come ornamento d’oggetti votivi e in specie di navicellee che del resto non sono limitate ai templi a pozzo. Nel mondo Egeola colomba parve avere una connessione con l’idea di fecondità.E' evidentepertanto la connessione del culto dell’acqua sorgiva con quello della fecondità sia animale che umana. Del resto neppure il culto della fecondità nel suo duplice aspetto animale ed umano è in Sardegna limitata a questa speciale associazionema invade persino anche il culto dei morti.Pertantocome oggianche nella preistoriaad un’economia integrata fra pastorizia e agricolturama fondamentalmente di tipo pastorale e legata alla montagnacorrisponde un culto montano e pastorale della sorgentenutrice e fecondatrice del greggecui secondariamente poteva annettersi un culto taurino della fecondità e forse anche della fertilità. Fa espressamente pensare ad un culto di fertilitàdifattiin un’interessante memoria pertinente ad una di queste sorgenticonsacrate. Trattasi di una costumanza tradizionale in cui si ravvisa il sincretismo pagano-cattolico: la Chiesa ha abilmente incorporato nella mitologia sacra cristiana un arcaico elemento pagano. Presso Bosa c’è un pozzo il cui nome rispecchia una sacralità riconosciuta dalla Chiesa: il pozzo “de sos tres res”vale a dire dei tre re magi i quali – così si racconta dal popolino – portando i doni a Gesùvi sostarono e abbeverarono i cammellima a rivelare una preesistenza del culto di detto pozzo in tempi non cristiani c’è un fattoche pone in contraddizione la leggenda cristiana con il culto d’essa cisterna. Un rito sacro s’eseguiva annualmente fino a tempi moderni con la partecipazione di tutti i canonici; essi si recavano in processione al pozzo e vi benedicevano le acque. Ciò avveniva il primo di marzovale a dire all’apertura della stagione agricola e dell’antico anno calendariale romano. La festa dei Re Magi cadecome si sain tutt’altro periodo. È evidente la sovrapposizione di un elemento cattolico su un dato culturale precristiano; l’impadronirsi da parte della Chiesa di un culto della sorgente assai caro al popolocoincide con l’inserimento forzato del rito entro il mito evangelicoa titolo di giustificazione teologica. Il troppo evidente paganesimo del ritoche si tradiva anche dalla sua discordanza con il mitodovette indurre il vescovo ad abolirloeinfattinel 1771 il culto fu soppresso.Simbolismo e tentativo d’interpretazioneIn stretta connessione col rito dei morti praticato nelle tombe megalitiche si presenta – come sopra accennavamo – un elemento di particolarissimo interessela presenzaentro o fuori di dette tombedi pietre betiliche o cippidi forma troncoconicadotati più volte di segni o rilievi che loro attribuiscono con tutta evidenza il carattere di simboli sessuali. Entro alla galleria della Tomba dei giganti a Perda Cossu di Norbello si rinvennero due cippidei quali uno presenta il rilievo d’ambi i seni muliebril’altro una protuberanza fallica: a Tamuli di Macomerpresso una tomba megaliticatre cippi di pietra liscia sono contrapposti a tre con rilievi di mammelle; pure da un sepolcro coevo di Sa Pedra Longa (Silanus) viene un cippo litico con emblema fallicocon un solco sulla cima. Del resto il betilo troncoconico o puramente conicocon in molti casi aventi carattere simbolico- sessualeha notevole diffusione in Sardegnae sempre in luoghi sacri. Così èdelle pietre falliche e mammellate da San Costantino di Sedilo; e delle due pietre ritte presso la tomba di Goronnain agro di Paulilatino. Delle cinque pietre di località Su Monte presso Bonorvasite accanto al nuraghe Giove; del betilo presso la tomba di Codinalzusempre nell’altipiano di Bonorva: tutti elementiquestiche attestano un culto delle pietre o litolatriadi carattere indubbiamente – almeno nei casi d’evidenti simboli sessuali – magico-fecondativon’è improbabile che simile significato abbia anche il molto discusso rilievo di due betili accoppiati dal santuario di Serriove si troverebbe combinato l’elemento maschile con quello femminileal pari di quanto si rinvennead esempioin un portello di tomba eneolitica da Castelluccio in Siciliae che consta di due lastre accoppiate l’una delle quali incastrata nell’incavo dell’altrala quale presenta lateralmente due caratteristici seni. Analogo rilievo dei due seni muliebri si scorge in un idoletto neolitico da Caldareancora in Siciliache per il resto ha una struttura grossolanamente cilindrica somigliante al tipo di betilo: già Taramelli interpretò come simboli femminili altri cippi marmorei sardi (tre pietre ritte con due incavi ciascuna nel corpopresso la tomba di Perdu Pes presso Paulilatinoaventi multipli incavi laterali che corrisponderebbero a mammelle lavorate a parteda riportare in essi; i multipli seni hanno riscontro ad esempioper l’ambiente Mediterraneo nell’Artemide Efesia. Alle “pietre fitte (denominazione locale tuttora vigente di SardegnaSpano attribuisce la funzione di rappresentare delle divinità) ein altre parole quelle lisce del dio Baalquelle mammellate la dea Astarte. GiàperòDe Mortillet sentiva il bisogno d’estendere il loro valore fuorida un’interpretazione unilateralmente fenicia e simbolicamente divina. Certo la posizione nel medesimo luogo di multiple pietre lisce o mammellateconferma l’interpretazione di un principio maschile e di un femminile oggetto di culto nell’intento di promuovere la fecondità e – probabilmente – la fertilità: la pluralità delle figure risponde al concetto di rendere più efficace il culto. Ad indicare un significato di fecondità e fertilitàsi prestano particolarmente le pietre simbolico-sessuali pertinenti alle tombe megalitichee chese appartengono in Sardegna all’epoca del bronzotrovano numerosi riscontri in ambiente extra-sardi fin dall’età della pietra. Tombe dolmeniche in Francia presentano in numerose esemplari figurazioni schematiche femminiliparticolarmente di seni a rilievo su lastre antistanti alla camera dolmenica. Così è dei dolmens di Dampontdi Trou aux Anglais (Aubergenville)d’Avenydi Bellhaiee così e parimenti delle camere sepolcrali dell’Allée Couvert d’Eponedi Dampmesnildi Boury e della GardAveyronOise e Marne. Altrettantodicasi per le pietre tombali con seni muliebri simbolici presso Croisard e nel Morbihan in Bretagna; o per altre analoghe raffigurazioni schematiche provenienti dal territorio iberico in Andalusia. Qui interessa notare che la rappresentazione di seni muliebri con destinazione sepolcrale s’affaccia altresì nell’archeologia africana. È di notevole interesseperòil fatto che la paletnologia africana ci offre un esemplare caratteristico di statuetta muliebre tombale: essa appartiene al corredo di una camera funeraria scoperta nel Sahara Centrale a Tin Hinannon chiaramente databilee il cui significato – dato la particolare destinazione –era rimasto prima d’ora inesplicabile. Essa ha forme marcatamente adiposecon le parti sessuali con accentuazione sviluppateschematicamente rappresentate le altre rimanenti della figura. Il genere e lo stilela riallacciano alla pratica muliebre funeraria mediterranea del periodo neo-eneolitico. Questi elementi non fanno che aggiungersi agli altri già acquisiti relativamente alle analogie culturali sardo-africane e che hannoa suo tempofatto parlare di una connessione etnica sardo-africanapur nell’ambito delle congiunzioni razziali con il complesso delle civiltà preistoriche mediterraneo-occidentali. Nel caso ciò interessa dal punto di vista del problema genetico-storico relativo all’elemento culturale in questionepiù utile quanto al problema dell’interpretazione si dimostra la possibilità di riscontri etnologici su vasta scala.Il motivo simbolico dei seni muliebricon o senza destinazione funerariaè etnologicamente diffuso; il suo significato è preciso. In particolare – come si è dimostrato – il valore sessuale di fecondità inerente al tema figurativo dei seni muliebri con destinazione sepolcrale è da confrontarsi e ragguagliarsi con una serie d’altre e varie manifestazioni sessuali (o equivalenti)connesse con il culto dei mortisia in sede etnologica sia in quella storica. Elementi figurativi sessuali qualii seni muliebristanno ideologicamente accanto per funzione e significato al motivo all’aratro rappresentato pur esso nel culto funebre; al motivo della figura femminile intera presentata ai giovani iniziandi nel momento della loro “rinascita” dopo la simbolica “morte” rituale da loro sperimentata. Infinee soprattutto al motivo drammatico dell’orgia sessuale funebreche avviene o in occasione della veglia del mortoo periodicamente ad ogni commemorazione dei defunti.Culti di fecondità e fertilitàPer altrocome il magismo apotropaico del folklore funerario attuale trova riscontro nei culti sessuali della paletnologia e dell’archeologia sardacosì reciprocamente il culto di fecondità e fertilitàdesunto dagli elementi sessuali della paletnologia e dell’archeologiatrovano una probante corrispondenza in certi prodotti del folklore odiernoin primis nel complesso rituale arcaico e pagano della festa di San Giovanni.Si disse altrove – a proposito del culto dell’acqua e della sua connessionecon quello della fecondità -in che gran considerazione sia tenuta presso le popolazioni sardela fecondità e disprezzata e derisa la sterilità. Spesso le donne steriliquasi come dei rami secchisono relegate in secondo pianonon si concede loro alcun’importanza sociale e svolgono compiti di scarsa rilevanza e i più umili. Sembrerebbe quasi che alla deficienza del loro apparato riproduttivo s’accompagni anche quello intellettivo e raramente s’interpellano per la soluzione di problemi familiari. Vivonosi può affermareai margini della comunità d’appartenenza.FONTE: Sito Internet http://spazioinwind.libero.it/escursioni/megalitidibretagna.htmMENHIRFonte: Sito Internet http://spazioinwind.libero.it/escursioni/megaliti di Bretagna.htmLA GRECIACi appare pleonostatico stare ad elencare le divinità dell’Olimpo greco “ad abbundantiam” note e soffermeremo invece la nostra attenzione su una divinità che tale proprio non erama che assurse a tale fama da offuscare quella degli deiper primi accennati e con alcuni dei quali però strinse rapporti molto importanti: costui è Dionisoidentificato poi dagli antichi romani in Bacco.Considerato che i riti che si celebravano in suo onore ci sembrano molto influenti al raggiungimento del fine che ci siamo preposti di raggiungerecercheremo di fornire maggiori notizie possibili sulla sua figura e nei concetti che in lui erano rappresentati edegli stessi riti a lui dedicati:Epifanie ed occultamenti di un dio “nato due volte”Dopo più di un secoloDioniso resta ancora un enigma: per l’originela sua naturae il tipo d’esperienza religiosacui dà l’avviosi distingue dagli altri dei greci. Secondo il mitoè figlio di Zeus e di una principessaSemelefiglia di Cadmore di Tebe. Mossa dalla gelosiaEra le tende un tranello – e Semele chiede a Zeus di poterlo contemplare nella sua vera forma di dio celeste. L’incauta è inceneritaavendo partorito prima del tempo. Zeus però cuce il bambino nella sua cosciae dopo qualche mese Dioniso viene al mondo. È proprio “nato ambe le volte”. Molti miti delle origini fanno derivare i fondatori di famiglie reali dall’unione tra divinità e donne mortalima Dioniso è nato la seconda volta da Zeusperciòlui è soltanto dio. (Pindarofr. 85; ErodotoII146. EuripideLe Baccanti94 ss.; (ApollodoroBibl.III43ecc.).P. Kretschmer ha cercato di spiegare il nome di Semele con il termine traco-frigio Semeloche indica la dea Terrae quest’etimologia è stata accetta da studiosi di chiara fama come Nillson e Wilamowitzma tal etimologia sia o non correttanon aiuta per niente nella comprensione del mito. Innanzi tuttoè difficile concepire un hieros gamostra il dio celeste e la Terra Madreche si concluda con la combustione di quest’ultima. D’altra parteè questo il punto essenzialele più antiche tradizioni mitologiche insistono che Semelemortale (IliadeXIV323)la definisce “una donna di Tebe”ed Esiodo(Teogonia940 ss)“ una femmina mortale”abbia generato un dio. Era proprio questa dualità paradossale di Dioniso ad interessare i greciperché essa sola poteva spiegare il paradosso della sua natura.Nato da una mortaleDioniso non apparteneva di diritto al pantheon delle divinità olimpichema riuscì nonostante questoa farvisi accettare e alla fine ad introdurvi anche sua madre Semele. Omero lo conoscevacome dimostrano molti accenni nelle sue operema né il rapsodo né il pubblico s’interessava a questo dio “straniero”così diverso dagli Olimpi. È stato tuttavia proprio Omero a trasmetterci la testimonianza più antica su Dioniso. Nell’Iliade (VI128-140) si riporta un celebre episodio: l’eroe della TraciaLicurgo insegue le nutrici di Dioniso“e tutte assieme gettarono a terra gli strumenti del loro cultomentre il dio assalito da spavento balzò nei flutti del mare e Tetti lo ricevette nel suo seno tremanteperché un brivido terribile l’aveva colto alle grida del guerriero”ma Licurgo “ s’attirò la collera degli dei” e Zeus “lo rese non vedente”ed egli non visse più a lungo “perché s’era inimicato tutte le divinità immortali”.Possiamo scorgere in quest’episodioin cui si parla di un inseguimento da parte di un “uomo lupo” e di un tuffo nel mareil ricordo di un antico sfondo iniziatico (cfr.H. JeanmaireDionysosp. 76; su Licurgo e le iniziazioni di pubertàcfr. id.Couroi et Courètesp. 463 SS.). Tuttavia all’epoca in cui Omero lo citail senso e lo scopo del mito sono diversi. Esso ci rivela uno dei tratti specifici del destino di Dionisola sua “persecuzione” da parte di personaggi antagonisti. Il mito però testimonia anche che Dioniso è riconosciuto come membro della famiglia divinaperché non soltanto Zeussuo padrema anche tutti gli altri dei si sentirono lesi dal gesto di Licurgo.La “persecuzione” esprime in modo drammatico la resistenza contro la natura e il messaggio religioso del dio. Perseo si rivolse con il suo esercito contro Dioniso e contro “le donne del mare” che l’accompagnavano; secondo un’altra tradizioneegli gettò il dio in fondo al lago di Lerna (PlutarcoDe Iside35)e lo stesso tema della persecuzione si ritrova nelle Baccanti d’Euripide. Si è tentato d’interpretare tali episodi come ricordi mitizzati dall’opposizione incontrata dal culto dionisiaco. La teoria che ne sta alla base presuppone che Dioniso sia arrivato molto tardi nella Grecia e cheimplicitamentesia un dio “straniero”. Dopo Erwin Rohdela maggioranza degli studiosi considera Dioniso come un dio tracio introdotto in Grecia o direttamente dalla Traciaoppure dalla Frigia. Walter Otto ha però insistito sul carattere arcaico e panellenico di Dionisoe il fatto che il suo nomedi-wo-no-so-josi ritrovi in un’iscrizione micenea. Sì tratta di un frammento di Pilo (X a zero 69 nella lineare B) che sembra dargli ragione. D’altra parte non è meno vero d’Erodoto (II49)che considerava Dioniso come un dio “introdotto tardivamente” e nelle Baccanti (v. 219) Penteo parlava di “quel dio venuto più tardichiunque esso sia.Qualunque sia la storia della penetrazione del culto dionisiaco in Greciai miti e i frammenti mitologici che alludono all’opposizione da esso incontrata hanno un significato più profondo: ci ragguagliano allo stesso tempo sull’esperienza religiosa dionisiaca e sulla struttura specifica del dio. Dioniso doveva incontrare resistenza e persecuzioniperché l’esperienza religiosa da lui propugnata minacciava tutto uno stile d’esistenza e un universo di valori. Si trattava certo della supremazia insidiata della religione olimpica e delle sue istituzionima l’opposizione tradiva anche un dramma più intimoe che è del resto ampiamente attestato nella storia delle religioniquale la resistenza contro ogni forma d’esperienza religiosa assolutache si può effettuare soltanto negando il resto (qualunque nome gli si dia: equilibriopersonalitàcoscienzaragione e altro).Walter Otto ha colto molto bene la correlazione tra il tema della “persecuzione” di Dioniso e la tipologia delle sue diverse epifanie. Dioniso è un dio che si mostra improvvisamente e che scompare poi in modo misterioso. Alle feste Agrionie di Cheroneale donne lo cercavano invanoe ritornavano con la notizia che il dio era presso le Museche l’avevano nascosto (OttoDionjsosp. 79). Scompariva tuffandosi nel Lago di Lerna o nel maree riappariva – come nella festa delle Antesterie – in una barca sui flutti. Le allusioni al suo “risveglio” in culla (ibidemp. 82 ss) indicano il medesimo tema mitico. Queste epifanie e detti occultamenti periodici collocano Dioniso tra gli dei della vegetazione. Si è cercato di vedere in Dioniso un dio dell’alberodel “grano” o della vitee si è interpretato il mito del suo smembramento come un’illustrazione della “passione” dei cereali o la preparazione del vino; (già i mitografi citati da DiodoroIII62). In effettiegli mostra una certa affinità con la vita delle piante; l’edera e il pino sono diventati quasi suoi attributie le feste popolari s’inseriscono nel calendario agricoloma Dioniso è in rapporto con la totalità della vitacome mostrano le sue relazioni con l’acquail sangue e lo spermagli eccessi di vitalità che si manifestano nelle sue epifanie animali: toroleone e capro (Cfr. i testi e i riferimenti discussi da W. Ottopp. 162-164). Le sue comparse e scomparse inattese riflettono in certo qual modo l’apparizione e l’occultamento della vita e della morte ein ultima analisila loro unità. Non si tratta però di un’osservazione “obiettiva” di questo fenomeno cosmico la cui banalità non poteva suscitare nessun’idea religiosané produrre alcun mito. Attraverso le sue epifanie e occultazioni Dionisorivela il mistero e la sacralità dell’unione tra la vita e la morte. Rivelazione di natura religiosaperché si realizza grazie alla presenza stessa del dio: infattiqueste apparizioni e scomparse non sono sempre in relazione con le stagioni. Dioniso si mostra durante l’invernoe scompare nella stessa festività primaverile in cui si realizza la sua epifania più trionfale.“Scomparsa” e “occultamento” sono espressioni mitologiche della discesa agli Inferidunque della “morte”. In effettia Delfi si mostrava la tomba di Dioniso e anche ad Argo si parlava della sua morte. D’altrondequando nel rituale argolico Dioniso è richiamato dal fondo del mare (PlutarcoDe Iside35) riemerge proprio dal paese dei morti. Secondo un inno orfico (N. LIII)quando Dioniso è assente si ritiene che egli si trovi presso Persefone. Infineil mito di Zagreus-Dioniso – di cui ci s'occuperà fra poco – narra della morte violenta del diouccisosmembrato e divorato da Titani.Tali aspettimultiplima complementari di Dionisosono ancora percepibili nei suoi rituali pubblicinonostante le inevitabili “purificazioni” e reinterpretazioni.L’arcaicità d’alcune feste pubbliche.A partire con Pisistratosi celebravano ad Atene quattro feste in onore di Dioniso (Il fatto che queste festività portassero i nomi dei mesi corrispondenti: lenaion e Antesteriondimostra il loro arcaismo e carattere panellenico). Le “Dionisie campestri”che si svolgevano in dicembreerano feste dei villaggi e consistevano nel portare in processione un fallo di grandi dimensioni con accompagnamento di canti. Altri divertimenti rituali prevedevano gare e contesee soprattutto sfilate di maschere o di personaggi travestiti da animali eanche qui i riti hanno preceduto Dionisoma si può intuire come il dio del vino sia giunto a mettersi alla testa del corteo di maschere.Molto di meno sappiamo invece sulle feste leneeche si svolgevano in pieno inverno. Una citazione d’Eraclitoprecisa che la parola lenai e il verbo ”far le lenai”era usata com’equivalenti di “baccanti” e di “fare la stessa”. Il dio era evocato mediante il daduchos. Secondo una glossa di un verso d’Aristofaneil sacerdote eleusino“con una torcia in manoesclama: chiamate il dio! Gli astanti gridano: figlio di SemeleIaccosdispensatore di ricchezze!” (fu il genio delle processioni dei Misteri eleusini ad essere assimilato a Dioniso); le fonti sono discusse da W. Ottoop. cit.p. 80. (Cfr. Jeanmaireop. cit.pag. 47).Le Antesterie erano celebrate approssimativamente in febbraio-marzoe le “Grandi Dionisie”d’istituzione più recentein marzo-aprile. Tucidite (II154) considerava le Antesterie la più antica festa in onore di Dioniso ed era anche la più importante. Il primo giorno si chiamava Pithoigiaapertura dei vasi d’argilla (pithoi) nei quali si conservava il vino dopo il raccolto autunnale. Si portavano il vino al santuario di “Dioniso nella palude”per compiere le libagioni al dioe in seguito si gustava il vino nuovo. Nel secondo giorno (Choesle brocche) si svolgeva una gara di bevitori: erano forniti di una brocca che era riempita di vino eal segnalene trangugiavano il contenuto il più velocemente possibile. Proprio come certe gare delle “Dionisie campestri” (per esempio l’askoliasmosin cui i giovani cercavano di mantenersi il più a lungo possibile in equilibrio su di un otre preventivamente oliato)anche questa competizione s’articola nello scenario ben noto delle gare e dei giochi d’ogni specie (sportivioratori e altri)che tendono al rinnovamento della vita. (Ricordiamo che si tratta di uno scenario molto arcaico e diffuso ovunqueuno dei principali retaggi della preistoria che svolge ancora un ruolo privilegiato in ogni forma di società). L’euforia e l’ebbrezzaperòanticipano in un certo qual modo la vita di un aldilà che non assomiglia più al triste mondo omerico.Lo stesso giorno delle Choes si formava un corteo che raffigurava l’arrivo del dio nella città e poiché si riteneva venisse dal mareil corteo comprendeva una barca trasportata su quattro ruote di carroin cui si trovava Dioniso con un grappolo d’uva in mano e due satiri nudi che suonavano il flauto. La processione comprendeva parecchi personaggi probabilmente mascheratie un toro sacrificale preceduto da un suonatore di flauto e da portatori di ghirlande che si dirigevano verso l’unico santuario aperto quel giornol’antico Limnaion. Là si svolgevano diverse cerimoniecui partecipava la Basilimnala “Regina” in altre parole la moglie dell’Arcoonte-Re e quattro dame d’alto rango. Da questo momentola Basilimnaerede delle antiche regine della cittàera considerata la sposa di Dioniso. Saliva accanto a lui nel carro e un nuovo corteodi tipo nuzialesi dirigeva verso il Boukoleionl’antica residenza reale. Aristotele precisa (Costit. d’Atene 3 e 5) che la ierogamia tra il dio e la regina si consumava nel Boukoleion (lett. “stalla di bue”)e la scelta di questo luogoindica che l’epifania taurina di Dioniso era ancora ben nota.Si è cercato d’interpretare quest’unione in senso simbolicoo supponendo che il dio fosse personificato dall’Arcontema W. Otto rileva giustamente l’importanza della testimonianza d’Aristotele “Sì tratta di un’unione completamente diversa da quella – per esempio – di Bel di Babilonia (la compagnia di una ierodulaquando il dio si trovava nel tempio) odella sacerdotessa che doveva dormire nel Tempio d’Apollo a Pataraallo scopo di ricevere direttamente dal dio la saggezza che poi avrebbe rivelato attraverso l’oracolo” (Ottopagina 84). La Basilimna riceve il dio nella casa del suo sposol’erede dei re e Dioniso si rivela perché tale. È probabile che quest’unione simboleggi il matrimonio del dio con la città nel suo complessocon le conseguenze faste che si possono immaginare. È però un atto caratteristico di Dionisodivinità dalle epifanie brutaliche richiede la proclamazione pubblica della sua supremazia. Non si conosce nessun altro culto greco in cui si ritiene che un dio si unisca con la regina.I tre giorni delle Antesteriesoprattutto il secondoquello del trionfo di Dionisosono però giorni nefastiperché segnati dal ritorno delle anime dei mortie insieme con loro dei keresportatori d’influenze malefiche del mondo infero.A loro era consacrato l’ultimo giorno delle Antesterie. Si pregava per i mortisi preparavano le panspermiepoltiglie di diversi grani cereali che dovevano essere consumate prima del cadere della notte. Arrivata questasi gridava: “Fuori i keresfinite le Antesterie!”. Lo sfondo rituale è ben noto ed è attestato un po’ dovunque nelle civiltà agricole. I morti e le potenze dell’oltretomba governano la fertilità e le ricchezze e ne sono i dispensatori. “Dai morti – scrivono in un trattato ippocratico – ci vengono nutrimentocrescita e germe”. In tutte le cerimonie a lui dedicateDioniso si rivela al tempo stesso il dio della fertilità e della morte. (Eraclitofr. 15) diceva già che “ Ade e Dioniso (…) è un’unica e medesima persona”.Abbiamo già ricordato il rapporto di Dioniso con le acquel’umiditàdella linfa vegetale edobbiamo anche segnalare i “miracoli” che accompagnano le sue epifanie ole annunciano: l’acqua che sorga dalla rocciai fiumi che si colmano di latte e miele. A Teosnel giorno della sua festauna sorgente fa sgorgare vino in abbondanza (Diodoro SiculoIII66 e 2). Ad Elidetre scodelle vuotelasciate durante la notte in una camera sigillataall’indomani sono ritrovate piene di vino (PausaniaVI261-2). “Miracoli” di questo tipo sono attestati anche altrove; il più famoso tra questi era quello delle “vigne di un giorno”che fiorivano e producevano uva in poche ore“miracolo” che avveniva in diversi luoghiperché ne parlano parecchi autori (SofocleTiestefr. 234 e le altre fonti citate da Ottop. 98 e ss).Euripide e le orge dionisiache.Simili “miracoli” sono specifici del culto sfrenato ed estatico di Dioniso che riflette l’elemento più originalee probabilmente più anticodel dio. Nelle Baccanti d’Euripide troviamo una testimonianza inestimabiledi ciò che ha potuto rappresentare l’incontro tra il genio greco e il fenomeno delle orge dionisiache. Lo stesso Dioniso è il protagonista delle Baccantifatto senza precedenti nell’antico teatro greco. Offeso perché il suo culto era ancora ignorato in GreciaDioniso arriva dall’Asia con un gruppo di Menadi e si ferma a Tebecittà natale di sua madre. Le tre figlie del re Cadmo negano che la loro sorellaSemelesia stata amata da Zeus e che abbia generato un DioDioniso le rende “folli” e le sue ziecon le altre donne di Tebecorrono verso la montagna a celebrarvi riti orgiastici. Penteoche era succeduto al trono a suo nonno Cadmoaveva proibito il culto enonostante gli avvertimenti ricevutisi ostinava nella sua intransigenza. Travestito da officiante del proprio cultoDioniso è catturato e imprigionato da Penteoma riesce miracolosamente a fuggire e persino a persuadere Penteo a recarsi a spiare le donne durante le loro cerimonie orgiastiche. Le Menadi scoprono così Penteo e lo riducono in pezzi: sua madre Agave né porta in trionfo la testacredendo che si tratti di quella di un leone. Si conoscono altri tipi di “follia” provocata da Dionisoquando era riconosciuto come dio. Ad esempiole donne d’Argo (ApollodoroII - 2 e III - 5 e 2). Le figlie di Minia ad Orcomenoche dilaniarono e divorarono uno dei loro figli (PlutarcoQuaest. Gr. XXXVIII299 e ss).Qualunque fosse l’intento d’Euripide nello scrivere Le Baccantiquesto capolavoro della tragedia greca costituisce nello stesso tempo anche il documento più importante del culto dionisiacoin cui il tema “resistenzapersecuzione e trionfo” trova la sua illustrazione più evidente (nel quinto secoloTebe era il centro del cultoperché là Dioniso era stato generato e là si trovava anche la tomba di Semele. Ciò nondimeno non si era scordata la resistenza dei primi tempi e uno degli insegnamenti delle Baccanti era senz’altro questo: che non si deve rifiutare un dio perché si considera “nuovo”). Penteo si oppone a Dioniso perché è uno “stranieroun predicatoreun mago (…) dai bei boccoli biondi e profumatiguance di rosacon negli occhi la grazia d’Afrodite. Con il pretesto di insegnare le dolci e seducenti pratiche dell’evoécorrompe le fanciulle” (EuripideLe Baccanti233 e ss). Le donne sono incitate ad abbandonare la loro casa e a correrela notteper i montidanzando al suono di timpani e dei flauti ePenteo teme soprattutto l’influenza del vinoperché “con le donnese il liquore d’uva figura sulla mensanon promette nulla di buone in queste devozioni” (ib. 260-262).In ogni modo non è il vino a provocare l’estasi delle baccanti. Un servo di Penteo che le aveva sorprese all’alba sul Citeronele descrive vestite di pelli di cerbiattocoronate d’edera e cinte di serpentiche recavano in braccioallattandolicerbiatti e lupacchiotti selvatici (695 ss). Abbondano “i miracoli” tipicamente dionisiaci: le baccanti toccano la roccia con i loro tirsi e subito ne scaturisce l’acqua o ne sgorga il vino. Grattano la terra e trovano polle di lattementre i tirsicinti d’edera stillano gocce di miele (ib. 703 e ss). “ Certo – continua il servo - se tu fossi stato làquesto dio che tu disprezziti saresti convertito a luirivolgendogli le tue preghieredopo un tale spettacolo” (ib. 712-714).Sorpreso da Agavepoco mancò che il servo e i suoi compagni fossero dilaniati. Le baccanti si gettarono allora sugli animali che pascolavano nel prato e“senza nessun ferro in mano” li fanno a brani. “Sotto l’opera delle mille mani delle fanciulle”tori minacciosi sono dilaniati in un battere d’occhio. Le Menadi si abbattono in seguito sulla pianura. “Vanno a strappare via i bambini dalle case. Tutto ciò che si caricano sulle spallepur senza esservi attaccatovi aderisce senza cadere nel fango; anche il bronzo e il ferro. Sui loro boccoli il fuoco trascorre senza bruciare. Infuriati per essere stati attaccati dalle baccantisi corre alle armi ed ecco il prodigio che tuSignoreavresti dovuto vedere: le frecce che si lanciavano contro di loro non facevano sgorgare il sangueed essescagliando i loro tirsili ferivano …” (ib. 754-763).Inutile rilevare la differenza tra questi riti notturnisfrenati e selvaggi e le feste dionisiache pubblichedi cui abbiamo parlato prima. Euripide ci presenta un culto segretospecifico dei Misteri. “Mi affermi che cosa sonosecondo tequesti Mistyeri?” S’informa Penteo eDioniso risponde: “La loro segretezza vieta di comunicarli a coloro che non sono baccanti”. “Qual è la loro utilità per coloro che li celebrano?” – “ Non ti è lecito apprenderloma sono cose degne d’essere conosciute” (ib. 470-474).Il Mistero era costituito dalla partecipazione delle baccanti all’epifania totale di Dioniso. I riti sono celebrati nella nottelontano dalla cittàsui monti e nelle foreste. Attraverso il sacrificio della vittima per squartamento (sparagmos) e la consumazione della carne cruda (omofagia) si realizza la comunione con il dioperché gli animali fatti a brani e divorati sono epifanieo incarnazionidi Dioniso. Tutte le altre esperienze: la forza fisica eccezionalel’invulnerabilità al fuoco e alle armii “prodigi” (l’acquail vinoil latteche scaturiscono dal suolo) la “dimestichezza” con i serpenti e i piccoli delle bestie ferocisono resi possibili dall’esaltazione e dall’identificazione con il dio. L’estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umanala scoperta della liberazione totaleil raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibile ai mortaliforse comparabile al fervore mistico e all’intensità della fede che consentiva ai martiri cristiani d’affrontare con serenità il sacrificio della loro vita.Sembra essere certo che tra queste libertà ci sia stata anche la liberazione dalle proibizionidalle regole e dalle convenzioni di tipo etico e sociale. Questo spiega in parte l’adesione massiccia delle donne. Tiresia difende però il dio: “Dioniso non obbliga le donne ad essere caste. La castità dipende dal caratteree quella che è casta di natura parteciperà alle orge senza corrompersi” (Bacc.314 e ss). L’esperienza dionisiaca però raggiungeva livelli più profondi. Le baccanti che divoravano le carni cruderitornavano ad un comportamento rimosso da decine di migliaia d’anni; sfrenatezze di questo tipo rivelavano una comunione con le forze vitali e cosmiche che si poteva interpretare soltanto come una possessione divina. Non stupisce quindi che la possessione sia stata confusa con la “follia”; questa e la baccante si limitavano a condividere le prove e la passione del dioe questo erain definitivauno dei mezzi più sicuri per comunicare con lui.I Greci conoscevano altri casi di mania provocata da una divinità. Nella tragedia Eracle d’Euripidela follia dell’eroe è opera d’Era; in Aiace di Sofocle è Atena a produrre lo sconvolgimento psichico. Il “coribantismo”che gli antichi del resto accostavano alle orge dionisiacheera una mania provocata dalla possessione dei Coribantie tal esperienza sfociava in una vera e propria iniziazione. Ciò che contraddistingue Dioniso e il suo cultonon è il parossismo psicopaticoma il fatto che esse fossero valorizzate perché esperienza religiosa: sia come una punizione sia come una grazia del dio (Ricordiamo che ciò che distingue uno sciamano da uno psicopatico è che egli riesce a guarirsi e finisce poi col disporre di una personalità più forte e più creativa del resto della comunità). In ultima analisil’interesse di un confronto tra riti e movimenti collettivi apparentemente similari – per esempio certe danze sfrenate del medioevo ol’omofagia rituale degli Aissaua: una confraternita mistica dell’Africa del Nord – sta nel fatto che esso fa emergere l’originalità del dionisismo. Rodhe aveva confrontato l’espansione della religione estatica di Dioniso e le epidemie di danze convulsive del medioevo. R. Eisler richiamò l’attenzione sugli Aissaua (Isawiya)che pratica l’omofagia rituale chiamata frissadal verbo farassa“sbranare”dopo essersi identificati misticamente nei carnivoridi cui portano il nome (sciacallipantereleonigatti e cani) gli adepti riducono a branisventrano e divorano bovinilupimontonipecore e capre. La manducazione delle carni crudeè seguita da una danza sfrenata di giubilo per “gioire ferocemente dell’estasi e comunicare con la divinità” (R. Brunnel).È raro che un dio giunga all’epoca storica pregno di un’eredità così arcaica; riti con maschere toromorfichefalloriasparagmosomofagiaantropofagiamaniaenthousiasos. Il fatto più notevole è chepur conservando quest’ereditàresiduo della preistoriail culto di Dionisodopo essersi integrato nell’universo spirituale dei Grecinon ha cessato di creare nuovi valori religiosi. Certola frenesia provocata dalla possessione divinala “follia” dava da pensare a molti autorie spesso incoraggiava l’ironia e la derisione. (ErodotoIV78-80) riferisce l’avventura di un re sciitaSkilasche si era fatto “iniziare ai riti di Dioniso Baccheios” ad Olbia sul Boristene (Dniepr). Durante la cerimonia (Telete)posseduto dal dio faceva “il baccante e il folle”. Con molta probabilità si trattava di una processione in cui gli iniziatisotto il dominio del diosi lasciavano trascinare da una frenesia che gli astantie anche gli stessi posseduticonsiderava come “follia” (mania).Erodoto si limitava a riferire una storia che gli era stata raccontata ad Olbia. Demostene con l’intenzione di mettere in ridicolo il suo avversario Eschineci rivela però in realtàin un suo celebre passo (Sulla Corona219)certi riti dei piccoli tiasi (Bacchein) celebratinell’Atene del IV secolodai fedeli di Sabaziosdio tracio omologo di Dioniso. (Gli antichi lo consideravano d’altra parte come Dioniso tracio nel suo nome indigeno). Secondo le antiche glosseil termine “saboi” o (sabaioi) era l’equivalentein lingua frigiadel greco bacckhos” (JeanmaireDionisospp. 95-97). Demostene si riferisce ai riti seguiti da letture di “libri” (probabilmente un testo scrittocontenente hieroi logoi); parla di nebrizzare (allusione alla pelle di cerbiattola nebride). Si trattava forse di un sacrificio con la consumazione dell’animale crudodi “craterizzare” (il bacile in cui si mescolava l’acqua e il vinola “pozione mistica”) di “purificazione” (catharmos)consistente in specie nello sfregare l’iniziato con argilla e farina. Alla fine l’accolito faceva rialzare l’iniziato dalla sua posizione prona o supinae questi ripeteva la formula: sono sfuggito al male e ho trovato il meglio. Tutta l’assemblea esplodeva in ololyge. All’indomani si svolgeva la processione degli adepticol capo coronato di finocchio e di fronde di pioppo bianco. In testa camminava Eschine brandendo serpenti e gridando: evoémisteri di Sabazios! E danzando al grido di HyesAttèsHyès. Demostene parla anche di un cesto a forma di vaglioil liknon“la culla mistica”quella primitiva di Dioniso bambino.Sotto le forme più diverse si trova in ogni modoal centro del rituale dionisiacoun’esperienza estatica di una frenesia intensa; la mania. Questa “follia” costituiva in qualche modo la prova della “divinizzazione” (entheos) dell’adepto. L’esperienza era certamente indimenticabileperché si partecipava alla spontaneità creatrice e alla libertà inebriantealla forza sovrumana e all'invulnerabilità di Dioniso. La comunità con il dio faceva esplodere per un certo tempo la condizione umanama non giungeva per niente a cambiarla. Non ci sono allusioni all’immortalità nelle Baccantineppure in un’opera tardiva come le Dionisiache di Nonno. Ciò è sufficiente a distinguere Dioniso da Zaimoxiscon cui si confronta ea volte si confondein seguito agli studi di Rhode; infattiquesto dio dei Geti “immortalizzava” gli iniziati nei suoi misterima i Greci non ardivano ancora colmare la distanza infinità cheai loro occhiseparava la divinità dalla condizione umana.A questopunto si può esprimere una considerazione: valutate le esperienze straordinarie degli adepti ai suddetti ritiera indispensabilefondamentaleche una nuova religione non abolisse subito i godibili riti esistentima cercasse un compromesso per quelle caratteristiche dei riti che più erano partecipate e gioiosamente vissute ma allo stesso tempo non fossero in contrasto con le nuove verità rivelate ed è quelloci pareche effettivamente è accadutocon un’intelligente politica di comprensiva tolleranzaquando possibilee necessaria severità in tante diverse occasioni (e sono state tante).Dopo che i Greci riscoprirono la presenza del dioPare ormai assodato il carattere iniziatico e segreto dei tiasi privati (v. soprale Baccanti 470-474) (Ricordiamo che durante la festa delle Antesteriecerti riti erano effettuati unicamente dalle donnenel segreto più rigoroso)benché almeno una parte delle cerimonieper esempio le processionisiano state pubbliche. È difficile precisare quandoe in quali circostanzei riti segreti e iniziatici dionisiaci abbiano assunto la funzione specifica alle religioni dei Misteri (se non andiamo errandoanche in Sassaridurante il periodo pasqualesi svolge una processione chealmeno nel titoloè detta proprio dei “Misteri” e chissà in quale notte dei tempi essa affonda questa sua denominazioneperché ad eccezione degli uomini incappucciati della confraternita che la gestiscenon ha proprio niente di misterioson. d. AA). Eminenti studiosi quali Nilsson e Festugière contestano l’esistenza di un Mistero dionisiacoperché mancano precisi riferimenti alla speranza escatologicama si potrebbe obiettare chesoprattutto per il periodo anticodisponiamo di scarsissime conoscenze dei riti segretiper non dire poi del loro significato esoterico (che senza dubbio esistevadato che i concetti di cui sopra (dei riti segreti) sono attestati ovunque nel mondoa tutti i livelli di cultura).Non si deve inoltre limitare la morfologia della speranza escatologica alle espressioni rese familiari dall’orfismo dai Misteri dell’epoca ellenistica. L’occultamento e l’epifania di Dionisole sue discese agli Inferi (paragonabili ad una morte seguita da resurrezione)soprattutto il culto di Dioniso fanciullo che era conosciuto in Beozia e a Cretama finì per diffondersi anche in Greciacon riti celebranti il suo risveglio – pur tralasciando il tema mitico rituale di Dioniso-Zagreussu cui ritorneremo tra breve - indicano la volontàe la speranzadi un rinnovamento spirituale. Il fanciullo divino è pregnoin tutto il mondodi un simbolismo iniziatico relativo al mistero di una “rinascita d’ordine mistico”. (Per l’esperienza religiosa quasi indifferente che tale simbolismo sia o no “compreso” intellettualmente). Ricordiamo che il culto di Sabaziosidentificato con Dionisopresentava già la struttura di un mistero (“Sono sfuggito al male!”). È vero che le Baccanti non parlano d’immortalitàma la comunioneanche se provvisoriacon il dio non mancava d’influire sulla condizione post mortem del bacchos. La presenza di Dioniso nei Misteri d’Eleusi fa supporre il significato escatologico perlomeno d’alcune esperienze orgiastiche.Il carattere “misterico” del culto si precisa soprattutto ad iniziare da Dioniso-Zagreus. Il mito dello smembramento del fanciullo Dioniso-Zagreusc’è pervenuto soprattutto attraverso autori cristiani (Firmico Materno- De errore prog. Relig.6; Clemente AlessandrinoProtept.II172 e 18. ArnobioAdv. Nat.V19; i testi sono riprodotti in KernOrphica fragmentapp. 110-111)e come prevedibileessi lo presentano evemerizzatoincompleto e in modo piuttosto tendenzioso. Proprio però perché erano liberi dalla proibizione di parlare apertamente di cose sante e segretegli scrittori cristiani ci hanno comunicato molti particolari preziosi. Era invia i Titaniche attirano Dioniso-Zagreus con alcuni balocchi (ninnolicrepundiauno specchioun gioco d’allossiuna pallauna trottolaun rombo)lo massacrano e lo riducono a pezzi. Fanno cuocere i pezzi in un calderone esecondo certe versionilo divorano. Una dea – AtenaRea o Demetra – riceve o salva il cuore e lo pone in un cofanetto. Venuto a sapere del delitto. Zeus folgora i Titani. Gli autori cristiani non accennano alla resurrezione di Dionisoma quest’episodio era noto agli antichi. L’epicureo Filoderocontemporaneo di Ciceroneparla delle tre nascite di Dioniso“la prima da sua madrela seconda dalla coscia di Zeus e la terza quandodopo lo squartamento da parte dei Titaniritorna in vita dopo che Rea ne ha ricomposto le membra”. (De piet.44; Jeanmairep. 382) Firmico Materno conclude aggiungendo che a Creta (dove egli ambienta la sua storia evemerizzata) l’assassinio era commemorato da riti annualisimilmente a quelli pasquali e temporali cristianiche ripetevano ciò che il “fanciullo aveva compiuto e subito al momento della morte”: “Nel profondo della forestaemettono strani clamori e simulano la follia di un essere furiosofacendo credere che il delitto è stato compiuto in preda a follia e dilaniano con i denti un toro vivo”.Il tema mitico-rituale della passione e risurrezione del fanciullo Dioniso-Zagreusha suscitato interminabili controversiesoprattutto a causa delle sue interpretazioni “orfiche”. In questa sede è sufficiente precisare che le informazioni trasmesse dagli autori cristiani sono confermate dagli scrittori più antichi. Il nome di Zagreus è menzionato per la prima volta in un poema epico del ciclo tebano(AlcmeoneVI secolo. Fr. 3. Kinkel Ip. 77; cfr. anche Euripidefr. 472. Per Callimico fr171Zagreus è un nome particolare di Dioniso; v. altri esempi in Ottop. 191 ss.) e significa “gran cacciatore”con riferimento al carattere selvaggio e orgiastico di Dioniso. Per quanto riguarda il delitto dei Titani(PausaniaIII375) ci ha trasmesso un’informazione che resta preziosanonostante lo scetticismo di Wilamowitz e d’altri studiosi; Onomacritoche viveva ad Atene nel VI secoloal tempo dei Pisistratiaveva scritto un poema sul seguente soggetto: “Avendo desunto il nome dei Titani da Omeroaveva fondato alcune orge di Dionisofacendo dei titani gli autori delle sofferenze del dio”. Secondo il mitoi Titani s’erano avvicinati al fanciullo divino impiastricciati di gesso per non essere riconosciutiorbene nei misteri di Sabazios celebrati ad Ateneuno dei riti iniziatici consisteva nel cospargere i candidati con una polvere o del gesso (DemosteneDe cor.259). Dovendo partecipare alle feste dionisiache gli Argivi s’impiastricciavano il viso di gesso. Si sono evidenziati i rapporti tra il gesso (titanos) e i Titani (Titanes)ma questo complesso mitico-rituale fu occasionato proprio dalla confusione tra i due termini. (Cfr. già FarnellCultsVp. 172) e questi due fatti sono stati accostati sin dall’antichità (cfr. NonnoDionysXXVII228 e ss.). Si tratta di un rituale arcaico d’iniziazioneben noto nelle società “primitive”: i novizi si sfregano sul viso polvere e cenereallo scopo d’assomigliare ai fantasmi; in altri terminisubiscono una morte rituale. Per quanto riguarda i “balocchi mistici”essi erano conosciuti già da qualche tempo; in un papiro del II secolo a. c. trovato a Fayyum (Gouroub)disgraziatamente mutilosi citano la trottolagli allossi e lo specchio (Orf. Fr.31).L’episodio più drammatico del mito – e in altre paroleil fatto chedopo aver squartato il fanciulloi Titani n’abbiano gettato i pezzi in un calderonedove li hanno fati bollire e poi arrostire – era notoin tutti i suoi particolarigià nel IV secolo efatto ancor più espressivosi ricordavano questi particolari in relazione con la “celebrazione dei Misteri”(cfr. il “problema” attribuito ad Aristotele (DidotAristoteleIV33115) discussodopo Salamon Reinachda Moulinierp. 51. Nel III secoloEuforione conosceva una tradizione analoga; ibid. p. 53. Jeanmaire aveva opportunamente ricordato chela cottura in pentola o il passaggio attraverso il fuococostituiscono riti iniziatici che conferiscono l’immortalità (cfr. l’episodio di Demeter e Demofonte) o il ringiovanimento (le figlie di Peleo fanno a pezzi il padre e lo cuociono in una pentola). Aggiungiamo che i due riti di – smembramento e cottura o passaggio attraverso il fuoco – caratterizzano le iniziazioni sciamaniche. (JeanmaireDionysosp. 387. V. altri esempi in Marie DelcourtL’Oracle de Delphesp. 153 ss.)Nel “delitto dei Titani” si può dunque riconoscere un antico scenario iniziatico di cui si era perduto il significato originario. I Titani si comportano da Maestri d’iniziazionevale a dire “uccidono” il novizioallo scopo di farlo “ri-nascere” ad un tipo superiore d’esistenza (nel nostro esempio si potrebbe affermare che essi conferiscono divinità e immortalità al fanciullo Dioniso)ma in una religione che proclama la supremazia assoluta di Zeusi Titani potevano svolgere soltanto un ruolo demoniaco – e perciò furono fulminati. Secondo alcune variantigli uomini sono stati creati dalle loro ceneri – e questo mito ha svolto un ruolo considerevole nell’orfismo.Il carattere iniziatico dei riti dionisiaci si può scorgere anche a Delfiquando le donne celebravano la rinascita del dio. Il vaglio delficoinfatti“conteneva Dioniso smembrato e pronto a rinascereuno Zagreus”come afferma Plutarco (De Iside35)e questo Dioniso “che rinasceva come Zagreus” è allo stesso tempo Dioniso tebanofiglio di Zeus e di Semele. (Delcourtop. cit.pp. 155 – 200). Plutarcodopo aver parlato dello squartamento d’Osiride e della sua risurrezionesi rivolge all’amica Cleail capo delle Menadi di Delfi; “Che Osiride sia la stessa persona di Dionisochi potrebbe saperlo meglio di voi che dirigete le Tiadi eche avete avuto l'iniziazione da vostro padre e madre ai Misteri d’Osiride?”.Diodoro siculo sembra riferirsi ai Misteri dionisiaciquando scrive che “Orfeo” ha trasmesso nelle cerimonie dei Misteri lo smembramento di Dioniso (V. 75 e 4) ein un altro passo Orfeo è presentato come un riformatore dei Misteri dionisiaci: perciò le iniziazioni dovute a Dioniso sono chiamate orfiche (III65 e 6). La tradizione trasmessa da Diadoro è preziosa perché conferma l’esistenza dei Misteri dionisiacima è già probabile che già nel V secolo questi Misteri avessero mutuato alcuni elementi “orfici”ein effettiOrfeo era proclamato “ profeta di Dioniso” e “fondatore di tutte le iniziazioni (V. cap. XIXvol. II).Più degli altri dei greciDioniso sorprende per la molteplicità e la novità delle sue epifanieper la varietà delle trasformazioni. È in perenne movimento; penetra ovunquein tutti i paesii popolile religionipronto ad associarsi a divinità diverseanzi persino antagoniste (per esempio Demetra e Apollo). È senza dubbiol’unico dio greco cherivelandosi sotto aspetti differentiaffascina e attrae tanto i contadini che le elites intellettualii politici e i contemplativigli orgiastici e gli asceti. L’ebbrezzal’erotismola fertilità universalema anche le esperienze indimenticabili suscitate dal ritorno periodico dei mortio dalla maniadallo sprofondare nell’incoscienza animale o dall’estasi dell’enthousiasmos; tutti questi terrori e rivelazioni hanno un’unica origine: la presenza del dio. La sua natura esprime l’unità paradossale della vita e della morte. Per questoDioniso costituisce un tipo di divinità radicalmente diverso dagli Olimpi. Eraforsetra tutti gli deiil più vicino agli uomini? In ogni caso ci si poteva avvicinare a luisi giungeva ad incorporarloe l’estasi della mania dimostrava che la condizione umana poteva essere oltrepassataQuesti rituali erano suscettibili di sviluppi inattesi. Il ditirambola tragediail dramma satiricosonoin modo quasi direttocreazioni dionisiache. È appassionante seguire la trasformazione di un rito collettivoil dithyrambosimplicante la frenesia estaticain spettacolo e infine in genere letterario ese da un latocerte liturgie pubbliche sono diventate spettacoli e hanno fatto di Dioniso il Dio del Teatroaltri rituali invecesegreti e iniziaticisi sono evoluti in Misteri. Perlomeno indirettamentel’orfismo è debitore alle tradizioni dionisiache. Più di tutte le altre deità olimpicheil dio giovane non cesserà di gratificare i suoi fedeli con nuove epifaniemessaggi inattesi e speranze escatologiche.Il ditirambo “girotondo” destinatoin occasione del sacrificio di una vittimaa produrre l’estasi collettiva con l’aiuto dei movimenti ritmici e d’acclamazioni e grida ritualisi è potuto – proprio nel periodo (VII-VI secolo) in cui nel mondo greco si sviluppa la gran lirica corale – evolvere in genere letterario per l’accresciuta importanza delle parti cantate dall’exarchonper l’alternarsi di brani lirici su temi più meno adattati alle circostanze e alla persona di Dioniso (Jeanmaireop. cit.pag. 248 e ss.).ROMADal V secolo a. C. Dioniso fu conosciuto presso i Greci anche come Bacco ebaccanti erano dette i suoi seguaciche lo invocavano durante i misterinati probabilmente dalle feste di primavera e divenuti un’occasione per abbandonarsi al vino e alle licenziosità.Fu in questa forma che il culto di Dioniso si diffuse presso i romanidove i suoi misteri furono chiamatinel II a. C.Baccanalie furono così sfrenati da incorrere nella proibizione del senato romano nel 186 a. C..Tuttavia i misteri di Dioniso rimasero ancora popolari per almeno altritrecento anni.* * *Costatato che l’elemento acquaè strettamente connesso al mito di Dioniso-Baccoriteniamo interessante far rilevare quanto segueampiamente trattato in diversi testi di mitologia:L’elemento liquidonei suoi molteplici aspettiera concepito dai Greci (e quindi dai Romani con tutto quel che segue) come un unico - e prezioso –regno della naturaalle cui manifestazioni soprintendevano esseri divini di tipo e carattere vario. Le credenzediverse dall’una all’altra epoca storicaaccentuarono l’importanza ora di questaora di quella figuradonde qualche contraddizione nei sistemi cosmologici; nel complesso però le singole personalità rimasero abbastanza distintee fu anche rispettata l’ovvia suddivisione fra divinità delle acque dolci e quelle salse.OCEANO (Okeanòs) èper come Omeroda una parte il vasto fiume che circonda e contiene la terra e il mare; dall’altrapersonail principio di tutte le cosee quindi l’incantesimo padre degli dei. Da lui hanno origine le acque marinenonché quelle dei laghi circostantiall’estremo oriente e occidenteabita il favoloso popolo dei pii Etiopi; i Cimmeridei fiumidelle fonti. Il sole sorge dalle sue onde e in esse cala. Sulle sue rive dimorano in una regione tenebrosa di là dell’Oceano; di qua della libera cinturasul confine occidentale si stende ”Elysion pedìon”la pianura elisiaove gli uomini vivono tranquilli e felici.Làlontano dal mondo e dal suo trambusto dimorasereno e miteil vecchio dio Oceano con la compagna TETI (che accolse fra le sue braccia Dioniso buttatosi a mare)la madre di tutti gli dei; mai non partecipa alle assemblee dell’Olimporiconosce soltanto la supremazia di Zeus. Diversamente lo situa Esiodofiglio d’Urano e Geaforma con la sorella Tetila coppia più anziana di Titanie vanta una discendenza formidabile per numero: 3000 fiumi e altrettante oceanine. Persiste quindisebbene modificatal’idea che da Oceanoabbiano originetanto le acque salsequanto le dolcie ciò come conseguenza del fatto che Esiodo dubiti si tratti di un vastissimo fiumein forma d’anello.Considerato che erano figli d’Oceano e di Tetii fiumi erano partecipi della natura divina e pertanto oggettopresso i Grecidi culto religioso in generale; alcuni poi avevano maggiore venerazionesia perché menzionati in antichissime leggendesia perché rappresentativi delle singole regioni. Ad esempio l’ACHELOOil fiume più ampio della Greciail più anziano dei figli d’Oceanoera adorato come divinità anche nell’ACAIAin Atenea Rodiin Siciliae le sue altrecon corpo umano e testa taurina.Secondo una leggenda avrebbe lottato con Eracle per il possesso di Deianirae il romano Ovidio narra chevinto una prima voltasi trasformò in serpentepoi in toro. Invano perché l’eroe lo abbatté ugualmente e gli strappò uno dei corni; il dio fluviale tuttavia la riebbe offrendo in cambio il miracoloso corno dell’abbondanza o d’ALALTEA. Acheloo era invocato nei giuramenti; l’oracolo di DODONA aggiungeva ad ogni risposta l’ordine di offrirgli un sacrificio. Senza uguagliare un’importanza religiosa il “re dei fiumi” Acarnaioaltri corsi d’acqua furono divinizzati nelle rispettive regioni: in BeoziaL’ASOPOle cui figlie furono amate da Zeusda Apolloda Poseidone. Nella Focide e in Beozia il CEFISOpadre del bel Narciso cheavendo ripudiato l’amore della ninfa Ecofu punito da Afrodite con una struggente passione per la propria immagine riflessa nell’acqua; il suo supplizio terminò con la morte e la conseguente metamorfosi nell’anonimo fioresacro a Proserpina e a Ade. Nell’Elidea proposito del dio-fiume ALFEOsi narrava la nota leggenda del suo tenace amore per la ritrosa ninfa Aretusa chefuggendoarrivò all’isoletta Ortigianel porto di Siracusa ove Artemide – ascoltando le sue invocazioni – la trasformò in una fontanama anche là la raggiunse il fiume attraversando il Mare Ionio senza mescolare le sue acque alle onde. Nell’Arcadia era venerato il LADONEpadre di Siringa che fu amato dal dio Pan. Nell’ArgolideL’INACOpadre di Io; nella LaconiaL’EUROTAcapostipite degli Spartani. Fuori della Grecia in Tessaglia era oggetto di culto il PENEO; nella Troadelo SCAMANDRO o XANTO chein Iliade combatté contro Achille onde è prosciugato da Efesto. Nella Cariail MEANDROche si diceva derivasse dal re suicida nelle sue acque eanche le figlie dei fiumi erano delle divinitàper quanto di grado inferiore; appartenevano alla gran categoria delle ninfe delle acque dolcila quale comprendeva. Inoltre LE NAIADIle CRENIADI o PEGEE dimoranti nelle fonti e sorgenti. Le LIMNADIo ninfe degli stagnicome le loro sorelle degli alberidei boschidei montiqueste ninfe ricevettero un culto che nei secoli tardi sentì il bisogno di erigere specialio sovente sontuosi santuari detti “mimphàia”ove si celebravano i matrimonie si offrivano alle leggiadre fanciulle capreagnellilatteolio: la credenza popolare non le riteneva immortaliconcedeva però loro il privilegio di un’immutabile giovinezza e bellezzaperché si nutrivano d’ambrosia. A guisa di spiriti benevolile ninfe proteggevano: i luoghi dove abitavanosovente s’accompagnavano a divinità maggioricome ArtemideDionisoApolloHermes e Pan; talvolta sposavano dei mortali. Le Naiadiche spesso sono raffigurate con l’urna o la ranaerano particolarmente propizie alle piane e ai greggi; le ninfe di certe fonti possedevano il potere di guarire o d’infondere il dono dell’ispirazione poetica e della profezia. Due virtù d’ovvia interpretazione.L’unico mito in cui le ninfe delle acque siano pericoloseè quello d’Ilail bel giovinetto compagno d’Ercole nella spedizione degli Argonauti. Durante un approdo sulla costa di Misiaegli s’allontanò per attingere acqua ad una fontee più non fece ritorno: le ninfe lo trattennero per sempre nella loro liquida dimora. Per secoli gli abitanti di quella regione continuarono ad offrire sacrifici annuali ad Ila nei pressi dell’infausta fonte: tre volte i sacerdoti gridavano il suo nomecome per chiamarloaltrettante volte l’eco lo rimandava. Ninfe di fontane rinomate furono AGANIPPECASSOTIDE e CASTALIA e PIRENE presso Corinto; Agnoconnesso al monte Liceo nell’Arcadia e pure in detta regione si favoleggiava della ninfa ARGIRAche amò e poi abbandonò il pastorello Selemnosquestida Afrodite impietosita per il suo sconfortofu trasformata nell’omonimo fiumeil quale elargiva – a chiunque si bagnava nelle sue acque – l’oblio delle sofferenze d’amore. Fra le divinità minori delle acque dolci possiamo includere anche le Oceanineperché figlie del più vasto fra i fiumi della terrama soltanto Stigela più anzianaascese a qualche importanza religiosa: fuinfattila prima divinità che corsecon la prolesull’Olimpo quando Zeus mobilitò gli immortali per la guerra contro i Titani onde le spettò l’onore di consacrare col suo nome il fiume infernalecorrispondente alla decima parte delle acque d’Oceano eanche a Stige è affidato il compito di punire eventuali spergiuri.Le divinità minori delle acque marinehanno capostipite Ponto generato da Gea all’inizio di tutte le cosesennonché egli rimase sempre una figura astratta; parecchi miti fiorirono attorno alla discendenza che Ponto procreò unendosi alla propria madre etaluni adombrano poeticamentel’esperienza che del mare aveva i Greci.Nereoche con l’oceanina Doride generò cinquanta Nereidi era detto “il vecchio del mare”e lo s’immaginava giustomitebenevolo verso i mortali; come le altre divinità delle acquepossedeva il dono della profezia e la capacità d’assumere qualsiasi formaa suo piacimento. Ne fece la prova Eracle quando volle sapere da lui il modo migliore per impadronirsi dei pomi delle Esperidi. Nereo sorpreso nel sonnosi trasformò in mille modirassegnandosi a parlare soltanto dopo che l’eroe l’ebbe legato. Fra le nereidi ricordiamo Galatea che secondo il mito siciliano vide ucciso da Polifemo il suo amanteil pastore Aci e la bellissima Tetidemoglie di Peleo e madre d’Achille eanche Proteo è noto già ad Omero che ne fa un guardiano delle foche d’Afrodite e gli assegnacome sede del suo sonno meridianol’isola di Farodavanti alla costa egizia. Vecchiosaggioindovinocapace di qualsiasi metamorfosi si comportò con Menelaoreduce da Troiacome Nèreo con Eraclee fu con gli stessi mezzi costretto a parlare. Vero è che l’aveva tradito fornendo consigli al visitatorela sua stessa figlia Idotea. Tritonel’unico figlio di Poseidone e d’Enfitritedimorante con loro nell’aureo palazzo sottomarinoera concepito come un essere metà pesce e l’altra d’uomo.che viaggiavano sulle onde di un carro trainato da cavallisoffiando ora forte ora piano in una conchiglia marinasecondo voleva placare o agitare il mare. Questal’immagine più antica; dopo il IV secolo a. C. si cominciò a favoleggiare di numerosi Tritonischerzosi compagni delle Nereidie si complicò anche la loro figura fisica: petto ed estremità anterioriassunsero aspetto equino. Il Tritonefiglio di Poseidone ebbesecondo alcuniil centro primitivo del suo culto nella Beozia. Secondo altri nella regione costiera della Libia. Glauco detto “Ponzio” fu in origine un umile mortaleun pescatore d’Antedonecittà costiera della Beoziail quale un giorno osservò che i pesci da lui catturatimangiando una certa erbaritrovavano la forza per gettarsi in mare e così salvarsi. Volle assaggiarla egli pure ein preda a deliriosi gettò nelle ondeove Oceano Teti l’accolsero con affetto e lo trasformarono in una divinità. Diventato immortale acquistò il dono della profeziae fu connesso all’oracolo di Delfo; infelice negli amorisi narrava che ogni anno girasse per le coste e le isole dell’Egeofacendo tristi predizioni e lagnandosi di non poter morireperciò pescatorimarinai e naviganti gli votavano il fervido cultoper averlo propizio. In arte è raffigurato come pescatore o uomo con la coda di pesce e il petto coperto di conchiglie.Poseidoneil dio del mare al quale i Romani fecero corrispondere il loro Nettunoè ritenuto oggi un predecessore autoctono del sommo Zeusin altre parole un signore del mondo che poi decadde a funzioni più limitate. Nel suo emblemail tridentesi scorgeinfattiuna stilizzazione del primordiale fulmine; nella sua copiosissima prole abbondano i giganti e i mostrialtro indice d’antichità remota. Infinepiù di un epiteto lo ricollega alla terra. Fu dunque in origine un dio celeste (del tuono)della terra (che in vari miti egli disputa alle altre divinità)un dio dell’elemento liquido; in epoca storica serbò soltanto l’ultimo attributo ma illimitato: regnò in diverse parole sul mare come un altro Zeusfu pari al fratello in dignità. Figlio di Crono e di Reaper Omero Poseidone è il fratello minore di Zeusper Esiodo quello maggiore che riceve gli appellativi di “gaiéokhos” (signore della terra) e di “ennosìgaios”quest’ultimo con riferimento dopo la vittoria su Crono e sui Titaniin pratica l’assegnazione del mare a Poseidoneche possiede il suo palazzo nelle profondità marine; ma un passo dell’Odissea dice gli deianche queste contraddizioni confermano l’ipotesi di una preistorica e indiscussa preminenza del dio confinato da ultimo fra tritoni e delfinima non perciò destituito dal ruolo di gran divinità dell’Olimpo o ridotto ad una delle tante figure secondarie. Omero conosce poi la leggenda relativa alle mura di Troia costruite da Poseidone forse in compagnia d’Apolloper il subdolo re Laomedontee un commentatore spiega questo strano servizio come un castigo inflitto da Zeus al dio che aveva partecipato ad una congiura contro di lui ordita da Hera e da Athena. Poseidoneirritato da Laomedonteinviò un mostro marino che divorava la gente della pianurae gli oracoli dichiararono che la calamità sarebbe cessata soltanto se in pasto al mostro fosse stata offerta la figlia del re. Per fortuna la fanciulla incatenata ad una roccia fu salvata da Heracle; ma anche verso di lui Laomedonte si rese spergiuro. Dati questi precedentisi capisce come in Iliade il dio non manifesti molta simpatia per i Troiani; tuttavia non si può accusarlo d’ostilità irriducibile perché sottrae all’infuriante Achilleil soccombente troiano Enea non ancoradestinato a morire. Nell’Odissea perseguita Ulisse ma questo gli ha accecato il figlio Polifemo; annega nei flutti Aiace d’Olieoma questo lo ha sfidato vantandosi di saper sfuggire a tutte le insidie del mare.Il breve inno omerico già raduna gli attributi che diventarono ufficiali: “Di Poseidonedio potenteio comincio a cantaredi colui che scuote la terra e l’infecondo maredio marino che dispone dell’Elicona e dell’ampia Ege. Duplice ufficio a teEnodigeoche gli dei commisero d'essere domatore di cavalli e salvatore di navi: Salve Poseidonedella terra signore dagli scuri capelli; con il cuore propizioo beatoaiuta i naviganti”. Quale patrono dei navigatoridei mercantiegli fu venerato soprattutto lungo le coste e nelle isole della Grecia: un suo tempio grandioso sorgeva sul Capo Suniola punta meridionale dell’Attica; santuari importanti erano sparsi nelle isole d’EginaEubeaTenoRodi. La stirpe ionica lo riteneva suo capostipite e quindi l’onorò come dio nazionale. A Corinto erano celebrati ogni due anni in suo onore i giochi istmicifesta solenne in tutta la nazione grecaove alle gare ginniche seguivano concorsi di poesia e musica. Poseidone era anche l’Enosigeoin altre parole l’autore dei terremoti che cambiano l’aspetto dei luoghi; sotto questa vista lo veneravano molte regioni dell’internopoiché il suo tridente faceva zampillare l’acqua dalle rocce e dal suonodivenne anche una divinità delle fertili fontane. Infinefu considerato il dominatore o il creatore del cavallocome s’evince dal citato inno omericoda alcune leggende e dall’epiteto “Hippios” che egli riceveva in molte città; si suppone che il nesso fra il dio marino e il quadrupede continentale sia sorto per l’immagine poetica delle onde in tempesta. Il cavallo era col delfinol’animale sacro a Poseidonee in onore del dio si svolgevano gare ippiche. Gli erano anche offerti in sacrificio tori di pelame scurochenelle feste “Tauréia”erano precipitati vivi in mare. Si ritiene che il toro simboleggiava la burrasca come il mite delfinola bonaccia. La dimora marina del dionelle profondità dell’Egeoè descritta minuziosamente da Omero: un magnifico palazzo d’oro incorruttibiledal quale Poseidoneesce sopra un cocchio trainato da veloci destrieri che hanno gli zoccoli di bronzo e la criniera d’oro epure aurea sono la frusta e le vesti del dio. I destrieri partono al galoppoi mostri marini balzano all’intornofesteggiando il loro re; così rapida è la corsa sulle onde che l’assale del cocchio non riesce a bagnarsi.Si considerino quali e quanti elementi concorsero a plasmare gli animi di coloro che furono adoratori degli astridelle piante e degli dei e che estrinsecarono le loro credenze anche con i riti falloforici odella fecondità e fertilità della Madre Terra e quando dev’essere stato difficile per la religione cristiana estirpare concezioni radicatesi negli animi da millenni etalvoltaper riuscire assoggettarsi a dei compromessi che permisero in ogni modo che tali riti fossero purificati e santificati.* * *Illustreremo oraqui di seguitoaltri cultima sempre in relazione all’ambito agreste che è quello che a noi interessaperché il più vissuto e diffusouniversalenelle vicende umane dei tempi che furono.IL CULTO DELLE FORESTE E LE DIVINITA’ ARBOREE“…il mio tempio saranno le foresterompete una pietra e ci saròsquarciate un albero e mi troverete…” (Autore ignoto)INTRODUZIONEAncora una volta parliamo della dea madrema in questa sedea differenza di ciò che avevamo fatto in precedenzaesaminiamo alcuni degli aspetti del suo cultodi com’esso sarà poi rappresentato da varie figure come DianaPersefoneDionisoAdone …maschili e femminilima in ogni modo legate al culto della terra.Vedremo come tutti questi culti siano legati alla tradizione della “morte e rinascita”da cui prenderanno forma molte tradizioni cristiane e gli stessi rituali di smembramento che caratterizzano alcune madonne nere.Importanza fondamentaleche poi spiegherà il perché di rappresentazioni animali di queste divinitàavrà poi la forestaprimo vero tempio pagano innalzato a tal cultoche ovviamente prima d’essere legato strettamente all’agricoltura come dono della terraera rappresentazione della forza selvaggia e indomabile della natura e delle energie in lei celate.Esaminiamoun po’ il culto delle foreste nell’antichità.Diana e gli alberiNel passato vi era l’usanza di maritare fisicamente uomini e donne a degli alberitutto ciò è praticato ancora in India e in altre parti d’Oriente. In occidente s’associava all’albero la dea Dianalunare e della caccia. Si attribuiva il potere d’accordare la prole ad uomini e donneaiutava le madri nel partoe il suo sacro fuoco custodito da sante vergini ardeva perpetuamentein un tempio circolare dentro un recinto ove c’eraassociata con leiuna ninfa acquaticaEgeria la quale esercitava una delle funzioni proprie di Dianasoccorrendo le donne in travaglioe di lei si narrava che intratteneva rapporti d’amore con un antico re di Roma.Si racconta che Diana silvestre aveva un compagno chiamato Virboche era per lei ciò che era Adone per Venere e Attis per Cibelee cheinfinequesto mitico Virbio era rappresentato nei tempi storici da una successione di sacerdotichiamati re del bosco che perivano regolarmente sotto la spada dei loro successori e la cui vita era in un certo modo legato ad un albero speciale nel bosco: perché essi erano al sicuro da ogni attacco finché a quell’albero non fosse stato strappato un rametto. Molto probabilmente la dea stessa era personificata in quest’albero sacro. Questa tradizione di sacrificio e morte del “re”si ritrova anche nella regione cananea del II millennio a. C. che èappuntocentrata sui miti della fertilità e del culto della Dea madre e del divino sposo che riprende in massima parte il rito iranico. Lo sposoè il simbolo del potere che rende fertile la terrain particolarenoi ritroviamo il tema della morte e resurrezione del giovane Diodove il decesso rappresenta la sterilità dei campi durante l’estate e la resurrezioneil rifiorire nei mesi temperati.La Dea madre cananea era Anath/Anaith (in latinoAnna la cui etimologia abbiamo già trovato nei miti celtici ove si parla della “stirpe della Dea Dana”detta anche ANA la quale non soltanto è madre ma è anche nutrice invisibile) era particolarmente venerata a Betania dov’era chiamatastranamenteMyrhiam.La Regina sacerdotessa cananea di questo culto praticava la prostituzione sacrache scandalizzava molto gli Ebrei ortodossi che la qualificavano come peccatrice o prostitutaessa ungeva con balsami preziosi colui che era destinato al rito sacrificale con l’incarico di sposo della deaed emblema del grano ucciso e sepolto durante la semina (sacrificio e morte) che in primavera germogliava. La figura maschile è quindi associata a quella femminilenon vistaperòin maniera antiteticaanzile due figure si completano l’unaltraseguendo un po’ l’idea orientale dello yin-yangcosì abbiamo Diana e Apolloil Sole e la Terraespressione duale di un culto unico.Torniamo al culto degli alberinella storia religiosa della razza ariana il culto degli alberi ha avuto una parte importante. Da un esame delle parole teutoniche significanti “tempio” il Grimm ha dimostrato che probabilmente fra i Germani i più antichi santuari non eranoche boschi naturali. In ogni caso siail culto degli alberi è bene attestato tra tutte le grandi famiglie europee di razza arianacome per esempio tra i Celtiil cui culto delle querce è familiare ad ognuno. Legatipoialle tradizioni arboreema anche a quelle della dea femminilequasi ancora una voltaa ricordare e a riaffermare lo stesso rapporto tra le duesono ì cosiddetti riti di smembramento. Ancora oggia primaveraal principio dell’estate ed anche a ferragostoè usanza in molte parti d’Europa di andare nel boscorecidere un albero e portarlo al villaggio. L’intenzione di questo costumeè di portare al villaggio e a ciascuna casa le benedizioni che lo spirito arboreo ha il potere di diffondere intorno. Riti similili troviamo anche legatiappuntoalla dea e cosìper fare un esempioa Materail due luglio si celebra un’antica ricorrenzala festa della Madonna Bruna. La tradizione vuole che una vergine bruna fu ritrovata tra i rami di un albero e portata in città per salvarla dai saraceni. Ad un certo punto del rituale i fedeli tentano di “smembrare” il carro per portare a casa una “reliquia”. Così come la pianta perde le sue foglie cosìla dea perde i veli. Il nome di Materapoisembrerebbe anche provenire da MTRche nelle lingue africane significa Matricevulva oppure da MATER ERA o MATER DEA.Ovviamente con l’avvento dell’agricolturala divinità dei boschi e delle forestediventa agricola. Mannhardt ha sostenuto che la prima parte del nome Demetra derivi da un’ipotetica parola cretese deai “orzo”e che quindi Demetra significhi né più né meno che “madre dell’orzo”. In Francianelle vicinanze d’Auxerrel’ultimo covone si chiama la madre del granodell’orzodella segale e dell’avena. Di questo se ne fa una bambolache si veste con gli abiti del contadino e si adorna di una corona e con una sciarpa bianca o azzurra. Nel petto della bambolache si chiama ancora Cereresi pianta un ramo d’albero. Durante le danze della serasi mette “Cerere” in mezzo al pavimento e il mietitore che ha mietuto più velocemente vi danza intorno insieme alla più bella delle ragazze. Dopo la danza si prepara un rogo. Tutte le ragazze con la ghirlanda in testa spogliano la bambolala fanno a pezzi e la bruciano insieme ai fiori dei quali era adorna ecome vedremoquesta madre del granodetta la “Grande Madre”a sua voltaproviene dagli antichi culti della forestasarà il prototipodi molti altri ritiche esamineremotra cui ovviamente quello di Persefone e Demetra. Ancora oggiriti similili troviamo in Italiaun esempio è Taggia e il culto dedicato alla Maddalena dal volto scuro “nigra sum sed formosa”appunto una rappresentazione della dea madre sulla quale si è avuta una sovrapposizione per merito della religione cristiana. Il rito è chiamato “Ballo della Morte”nella tradizione la Maddalena è di fronte al sepolcro di Gesù e piange di disperazione.La scena è rappresentata in forma di ballo tra il maschio e la femminaquasi ad evidenziare ancora il dualismo del cultoa morire è la donnache poi rinasce alla vita grazie ad una spiga di lavanda.Il rito ha origini medievali: lo ritroviamo nel cosiddetto “manoscritto di Tours” (XII secolo). In ogni modo riti simili ce ne sono tantissimitutti perfettamente descritti da J Frazer nel suo bellissimo libro “il ramo d’oro”.Un’altra festività un po’ più conosciuta che s’inserisce nel discorso appena tenuto è il carnevalefesta dalle origini antichissime e che si collega anch’essa alla sacralità degli alberi; infattiin numerose civiltà primitive c’era l’usanza d’effettuare una festa per “l’evocazione” dell’estate e la morte dell’inverno ormai passatofesta in ogni modo molto importante soprattutto per quei popoli la cui sopravvivenza si basava proprio sull’agricoltura.Abbiamo ragione di considerare l’evocazione dell’estatecome un’invocazione di quella morte e rinascita dello spirito della vegetazione a primavera che abbiamo visto e rappresentata nell’uccisione e nella resurrezione dell’Uomo selvatico. La sepoltura e la resurrezione del carnevaleè probabilmente un altro modo d’esprimere la stessa idea… La medesima astrattezza di nomi fa pensare ad un’origine modernaperché la personificazione di tempi e di stagioni come il carnevale e l’estate o di una nozione astratta come la mortenon è primitiva.Le cerimonie stesse però portano l’impronta di un’immemorabile antichità.Concludendola caratteristica fondamentale che lega i culti di DemetraPersefone e d’altre divinità femminili a figurare come AdoneAttisOsiride e Dionisoè il mito della morte e resurrezione.Sembrerebbe dunqueche questa concezione della morte e della resurrezione annuale di un diotrovasse la sua origine e analogia nei rustici riti osservati dai mietitori e dai viticoltori tra i covoni di grano e le vitiinfattiil mito della morte e della resurrezione è implicita nel grano stesso da cui la “madre” prende il nome:ESSO VIENE MIETUTO PER POI POTER RINASCERE.Abbiamo così esaminatol’aspetto femminile del culto … orachiediamoci chi era AdoneAttisDioniso e Osiride?AdoneLe popolazioni dell’Egitto e dell’Asia occidentale rappresentavano sotto i nomi OsirideTammuzAdone e Attisla decadenza e la rinascita annuale della vitaspecialmente dell’esistenza vegetale. Il culto d’Adone era praticato dai popoli semitici della Babiloniadella Siria e dai Greci. Il vero nome della deità era Tammuz. Le fonti intorno alla loro unione nel mito e nel rito sono frammentarie e oscurema da esse deduciamo che si credeva Tammuz morisse ogni annopassando dalla ridente terra nel tenebroso mondo sotterraneo e che ogni anno la sua amante divina si recasse in cerca di lui “alla terra da cui non c’è ritornoalla casa delle tenebredove è polvere sopra la porta e i serramenti”. Per rappresentare tutto ciòin particolari periodi dell’annosi portavano statuine d’Adone rappresentato come un cadaverequasi per seppellirloe si gettavano in mare o in sorgenti.La miglior prova che Adone fosse una divinità della vegetazionee specialmente del granoc’è forse data dai cosiddetti “giardini d’Adone”che sarebbero essenzialmente degli incantesimi per incoraggiare la crescita della vegetazione e soprattutto del grano.Ancora oggi è usanzail venerdì santonelle chiese cattoliche e grecheporre sulla tomba di Cristoanche lui morto e risuscitato come Adonepiantespighefiori creando così il cosiddetto “sepolcro”: benela stessa usanza s’aveva nei riti d’Adone ove si creavano “giardini” sulla tomba del dio morto.L’intero costumei sepolcrii piatti con i germogli di granodunquepuò essere la continuazionesotto un nome diversodel culto d’Adone.Questo sarà solo il primo dei numerosi culti dell’unica divinità primordiale già chiamata DEA MADREnon importa che essa sia rappresentata da uomo o donna: abbiamo già visto come il culto unico è in sostanza composto da duecomplementari l’unaltronella stessa idea del tao orientaleil culto della Terra e del Solemaschile e femminile che si fondono insieme.AttisUn altro di queste divinitàla cui mitica morte e resurrezione lasciarono così profonde radici nella fede e nei riti è Attis. Similmente a Adonesembra che egli sia stato un dio della vegetazione e la sua morte e resurrezione eranoogni annopiante e salutate con grida di gioia in una festa celebrata in primavera. I Romani adottarono il culto della frigia madre degli deiperché i loro spiriti stanchi avevano ricevuto il conforto di una profezia che si pretendeva fosse stata tratta dai libri sibillini: secondo questal’invasore straniero sarebbe stato cacciato dall’Italia se fosse stata portata a Roma la gran dea orientale. A loro fu affidata la piccola pietra nera che rappresentava la possente divinità. La gran festa primaverile di Cibele e d’Attis c’è meglio nota nella forma in cui era celebrata a Roma.Le notizie che si hanno sulla natura di questi misteri e sulle date della loro celebrazionesono sfortunatamente assai scarsema sembra che esse includessero un pasto sacramentale e un battesimo di sangue. Nel sacramento il novizio era iniziato ai misterimangiando da un tamburo e bevendo da un cembalodue strumenti musicali che avevano una parte preponderante nella rumorosa orchestra d’Attis. Il digiuno che accompagnava i lamenti per la morte del dioaveva forse lo scopo di preparare il corpo del comunicando a ricevere il san sacramentopurgandolo di tutto quello che avrebbe potuto contaminare col suo contatto i sacri alimenti. Per il battesimoil fedele incoronato d’oro e avvolto di sacre bendescendeva in una fossala cui bocca era ricoperta da una grata di legno. Era allora spinto sulla grata un toro ornato di ghirlande e di fioricon la fronte tutta splendente di lamine d’oro ed era sgozzato con una lancia consacrata. Il suo sangue caldo e fumante scendeva a torrenti dalle aperture: l’adoratore lo riceveva con devota ansietà sopra ogni parte del corpo e dei paramentifinché usciva dalla fossatutto grondante sangue e di colore scarlatto dalla testa ai piedi per ricevere l’omaggio e persino l’adorazione dei suoi compagnicome se fosse nato novellamente per la vita eternae si fosse lavato di tutti i peccati nel sangue del toro. Si prolungava poi ancora per qualche tempo la simulazione di una nuova nascitamettendolo a dieta di solo latte come un neonato. La rigenerazione del fedele avveniva nel momento stesso di quella del suo dioossia verso l’equinozio di primavera.Dioniso e OsirideDi questi si è già narrato a sufficienza prima.Con riferimento a Dioniso si può soltanto aggiungereche si narrava che avesse lavorato da agricoltore e che fosse stato il primo ad aggiogare i buoi all’aratro.Il Cristianesimo che ruolo ha svolto nell’evoluzione e diffusione dei riti descritti’… Così parla un monaco anonimo irlandesenel Codice di San Gallo: “Eccomi nel più profondo del bosco ceduo; al mio orecchio risuona il canto del merlo. Vicinissimi alla pergamena dalle fitte righe cinguettano gli uccelli. Dio mi protegga: è bello scrivere sotto il tetto frondoso della foresta”. Il Concilio di Tours tenta di sopprimere il culto delle pietredegli alberi e delle sorgenti: testi di legge che rimangono inoperanticome molti altri. Nel 789si cerca di proibire le pratiche cultuali del paganesimosi vieta di venerare i boschidi compiere sacrifici accanto alle sorgenti e sulle rocce. Le feste pagane si celebrano ancora: il popolo continua a addobbare gli idoli con ricche vesti. Gli uomini di Chiesa s’accorsero presto che la religione cristiananonostante i suoi giuristinon sarebbe riuscita ad estirpare valori così radicati. Allora fu adottata una tattica diversa. Sant’Agostino aveva scritto: “ Le selve sacresono come i gentili. Non vogliamo sterminarlili convertiamoli cambiamo. Allo stesso modonon tagliamo i boschi sacrifacciamo di meglio: li consacriamo a Gesù Cristo”. Il consiglio fu eseguito. Sugli alberi pagani furono incise croci cristianesi deposero reliquie nei tronchi. I santianziché far abbattere gli alberili trasformarono in eremi dove prendevano dimorama questo non bastava. Furonoinfattidiffuse leggende secondo le quali i santi avevano creato delle foreste o avevano eliminato demoni e draghi che vi avrebbero abitato e che poinon altro erano che le antiche divinità venerate. Secondo una leggenda piccardaSan Voast aveva piantato nel terreno un bastone che divenne un enorme tiglio. Leggenda che ritroviamo spesso nella vita di molti santiun altro esempio è quello del Beato Giacomo di Bitettoun paesino in cui un bastone si trasformò in un enorme albero tuttora visibile. Era questo un modo per rendere “cristiano” un albero o un luogo già in passato sacro ai pagani.Sempre in quest’ottica gli dei Cernunnos e Pandiventano il Demonioche inizia solo adesso ad essere rappresentato con zoccoli caprini e cornale stesse sacre nei rituali delle feste del Sole poiché rappresentavano i raggi della divinità. Successivamente tutte le persone dediteancora a questi culti naturali saranno tacciate – spesso erroneamente – di stregoneria da parte delle Santa Inquisizione e condannate. Torniamoperòin argomento. Sarebbe inutile soffermarsi su quella che èforsela resurrezione più importante e famosa d’occidentequella del Cristo; ebbenequando Gesù dichiarasecondo il Vangelo di Giovanni: “Io sono la vera vite”il pensiero corre a Dionisoche a sua volta subisce una passione e conosce una resurrezionema non soltantoinfatticome abbiamo accennato e vedremo in seguitoDioniso era rappresentato da un “capretto”sarà un caso che anche Gesù è rappresentato anch’egli da un Agnello? Ancoradurante la festività cara al dios’uccidevano degli agnelli che eranopoi“sbranati” dagli adepti; ebbene ancora oggia Pasqua per festeggiare la resurrezione di Gesùin molte parti d’Italiasi consuma proprio un AGNELLO! Casualità?“ … Io sono l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo …”.Le antiche divinità come animaliNella maniera che noi abbiamo visto in precedenzale divinità arboree erano anche rappresentate e venerate sotto figura animaleil primitivo abitante dei boschi sacri.Esaminiamoadessoi vari animali con i quali erano rappresentati le divinità appena citate. Partiamo da Dionisosappiamo che lui era rappresentato talvolta come toroaltre come capra. Nella sua qualità di capra era difficile riconoscerlo dai Satiridivinità inferiore dei boschi. Il perché della raffigurazione di capra ci fa capire meglio il legame tra Dioniso e le divinità arboreeinfattile capre errano nei boschi rosicchiando le cortecce degli alberi che così danneggiano notevolmente. Bene soltanto il dio della vegetazione si nutre della stessa pianta da lui impersonificatacosì quando la divinità non è più immanenteessa si concepisce come padrona di questa.Nasce così l’usanza di sbranarenei riti dionisiaciuna capra e questo perché ognuno dei fedeli potesse ottenere della forza vivificatrice del dio. Del restoabbiamo già citato la frase di Cristo.Demetrainvece è rappresentata come maiale o cavallo e lo stesso Attis. Per Adone c’è invece la leggenda che fu proprio un cinghiale a squarciare l’albero da dove nacque il dio eanche in questo casoil cinghiale è visto come un animale che distrugge la vegetazione e quindi non poteva che essere lo stesso dio.ConsiderazioniTraiamo a questo punto delle considerazioni. Agli albori dell’umanità il primitivo vedeva tutta la potenza della natura nei boschierano questi i tempi della dea Naturadetta poi Gran Madre per i Celti o Isis per gli Egizi.Il primitivo credeva in una divinità immanenteche soggiornava negli alberi stessida qui alcune usanze come quella del ramo d’orodescritte da Virgiliouomo iniziatoin Eneide.Col passaggio all’agricolturale divinità arboree non scompaionoma subiscono una prima trasformazioneesse diventano le divinità del “grano”prendono vari nomi sia femminiliDianaDemetraAttische maschilicome AdoneOsirideDioniso …ma che rappresentano lo stesso culto.Similmente per la natura che essi rappresentanofondamentale nel loro culto è il concetto di “morte e resurrezione”.Il cristianesimoovviamentecerca d’osteggiare questi culti chein ogni modoerano molto radicati nella popolazione e così decide di trasformare molte delle feste pagane in festività cristiane … creando così un fenomeno di sincretismosimile al vudù haitiano.Ancora oggiin molte tradizioni ritroviamo così alcuni temi degli antichi culti.Un’altra caratteristica di dette religioni (o di questa credenza) è lo “smembramentoinfattisia prima rappresentato come alberopoi come animale sacro e quindi come simulacro cristiano (ricordiamo ancora la tradizione materana della madonna della bruna) il dio subiva un rito di smembramento in modo che ogni fedele potesse partecipare alla sua forzaacquisireprima dalla piantapoi dalla carne dell’animale esuccessivamente ralla reliquia il “potere” del dio. Molti dei rituali che richiedevano l’uccisione degli animaliquindinon sono da vedersi come offerte al dioma dono dello stesso agli uomini.Insomma potremmo affermare che ancora oggifesteggiando alcune ricorrenze non stiamo altro che perpetuando antichi riti che sì perdono nella notte dei tempi.Non essendosulla scorta delle notizie sino a noi giunte dai modi di vita nel periodo neolitico e in particolare di coloro che si dedicarono ai culti delle piante come divinitàpossibile conoscere quali metamorfosi si sia operata in quegli oggetti votivi prima di divenire gli attuali candeliericerigigli e altrinon ci resta che trarre delle congetture logicheChi può obiettare e con quali argomentazioni che essi in origine fossero proprio di quei tronchi d’albero che gli abitanti delle foreste rizzavano nei loro primitivi villaggi per ottenerne protezione oin luoghi non selvosida degli steli di pietra?Poicon lo svilupparsi dell’agricoltura e anche per assicurare la sopravvivenza e l’incremento demograficonecessario ad ottenere la supremazia dei clan primitiviesposti a tanti pericoli e bisognosi d’eredità umanache assicurasse la continuità tribalesi sviluppò la necessità di ricorrere alla deità affinché con la fecondità dei campi s’ottenesse anche quell’umana e animalenon esistendo allora il concetto d’oscenoniente di più naturale del trasformare quel tronco d’albero nelle sembianze di un falloEra talmente sentita detta necessità della perpetuazione della specie anche nei secoli a seguire che l’unione fra uomo e donnaera perseguitasi potrebbe affermare anche in modo insolito con il ratto delle donne: si veda quello storicoda parte dei Romani delle donne dei Sabiniche potrebbero essere state attratte dalle feste falliche degli abitanti di Roma con i quali poi s’unironoaffermando poi falsamente ai loro legittimi compagni la scusa del ratto; delle Baccanti nella stessa epoca e delle Menadi in quella precedentecome s’è visto nella descrizione del culto di Dioniso (Misteri Eleusini e Misteri in genere)che si proponevano per il rapimento ofuggivano spontaneamente coi rapitori “Multa renascenturquae jam cecidere” (OrazioArs P.V70-71). Eventidi solitopropiziati dai riti che si celebravano in onore di quel simbolo fallico (Feste Dionisiache all’incirca nel 3000 a. C. - Lupercali dal VII-VI secolo a. C. e Saturnali dal 500 a. C fino alla fine dell’età imperiale) eche potevano servire a soddisfare le esigenze suddette.Tale esigenza era evidentemente molto sentitase essa si trasfuse anche nelle leggende mitologiche d’Ercole e DeianiraAdes e PersefonePlutone e Proserpina …Le feste falloforiche eranoperòanche il momento per smentire “l’homo homini lupus…” quando l’uomo è soloabbandonato a se stessoprivo di socievolezza. Quasi si può sorriderela festa falloforica era occasione come s’affermerebbe ai nostri giorni: “Di fare l’amore e non la guerra …” edi “mettere i fiori sui propri cannoni…”.In quest’otticail falloforismopuò avere esercitato una funzione sociale di pacificazione dei minuti gruppuscoli umani primitivicome ancora oggi avviene per molti primati (l’orango Bonobo ad esempio)l’unione e la festa del gruppouniti in quella ritualità gioiosanon lasciano scatenare la violenza dell’uomo solo e contrariatoma anzi aiuta a sopravvivere.Il simbolo del falloforismonon s’è venuto a formare nei sotterranei dell’inconscio collettivo ese è vero che un simbolo è un modo per esprimere qualcosa che non può essere espressa altrimentiè bene non compiere azioni troppo caratterizzantiper non rischiare d’alterare e fuorviarne il significatoche non è mai il soloma può scivolare fra mille rivoli nei quali possa riflettersi nei molteplici specchi del possibile.Vivere era ed è simbolizzare e ciò può essere rischiosoma è un pericolo che bisogna affrontare per intuire o tentare di capire il passatotanto intimamente collegato al presenteanche se non parecome dimostra la storia dei Candelieri di SassariCeri di GubbioGigli di Nola e altre “macchine” similari.Sicuramente tali riti sono d’origine mediorientale eprobabilmente della Valle del Niloda dove poi si sono diffusi in tutto il mondo allora conosciutoprobabilmente con guerre di conquista e commerci e quindi anche in Sardegnacome si è già narrato per mezzo degli Shardana o dei Fenici. Con essicome pure raccontatoè giunta a noi la ziqqurat di Monti di A. Koddidove erano celebrati in pieno e in tutti i loro aspetti. Una località stranamente vicina Sassari e ad alcuni villaggi alla stessa città prossimidove allignarono fortemente i candelieri che sono riti sapientemente e con lungimiranza traghettati dal cristianesimo fino ai tempi modernimentre tanti altri riti e festequelle circensi e dei gladiatoriad esempio sono dimenticate o vietate proprio dai cristiani; fra il 422 ed il 432 a.C.sono vietati gli spettacoli cruenti dei gladiatori.Il rito falloforico è rimasto latente fino a quando il cristianesimo l’ha sacralizzatosantificato e proposto come festa di popoloma benedetta e divisa in due tronconi; si è conservato il dilettevole ammantandolo con il sacro ed utile (la devozione rispettosa).I candelieri sono stati importati come tali nel secolo XIIprobabilmente quando Sassari sottostava al dominio pisano ela loro dedica e benedizione sono state imposte dal cristianesimo per motivi cultuali: esempio Lourdes. Tutto si adora se s’ottiene un supposto miracolo come la cessazione della peste a Sassarila fine dell’assedio nel caso di Gubbio e tutti gli altri avvenimenti ritenuti di natura divina che originarono l’istituzione e la sagra delle Candeloredei Gigli di Noladei Cilii di Notodella Vara di Messinadella Varia di Palmi e della Macchina di S. Rosa di Viterbocome si vedrà appressoe quando il miracolo avvieneda qualche tempo immemorabileè consuetudineforse per la preziosità della materiaaccendere un ceroche è fedefeconditàlucecaloreringraziamento in un’atmosfera gioiosafantastica e talora orgiasticasempre impregnata di devoto misticismo.Descriveremoin appressoi riti e le sagre che hanno maggiore affinità e partecipazione popolare come per i Candelieri di Sassari.Da: SCANDONE MATTHIAE GabriellaEgitto e Sardegna Contatti fra CultureSARDO’ 3 – 1988CHIARELLA - SASSARISIMBOLOGIA ALLUSIVALa Mitologia ci offre numerosi esempi di simboli fallici anche di natura femminile.Ne citeremo alcuni:Nello strato arcaicoche chiameremo preolimpico la donna fallica è rappresentata dal serpentecome nell’Oriente semiticoe la fantasia greca sviluppò un tipo tutto particolarenel quale si condensano motivi di tensione psichica ben più complessi.Sono sempre vergini.Abbiamo così le sirenela cui parte inferiore del corpo è una coda di pesceche è una variazione del simbolismo fallico del serpente; le Moire delle quali persino gli dei avevano paura. Sono tre come le streghe di Macbeth il cui simbolo fallico era il fuso col quale filavano la vita umana eneppure Zeus poteva cambiare la loro decisione.Il numero tre è come ci ha mostrato Freud il simbolo del pene e anche quello della completezza del tutto. È il simbolo sia della tensione esistenziale sia della sua soluzione e della morte ineluttabile che neppure Zeusil padre degli deipuò controllare o cambiare. C’erano anche Le GraieLe Erinni. Le prime erano dei mostri con i capelli di serpente e lo sguardo pietrificante; le seconde erano le corrispondenti delle dee degli inferiromanerispettivamente della punizioneodio e turbamento.La rappresentazione di tre donne come simbolo del pene femminile mancantecontinuerà ad emergere nella psiche occidentale fino ai nostri giorni.Altre donne falliche erano:Arianna che prima di diventare l’eroina della saga di Teseo era anch’ella un mostro fallico.Delfinela dragonessa serpentiforme provvista di un utero.La divina Echidnadotata di temperamento maschile e di figura gigantescaper metà giovane donna con bellissimo viso e splendidi occhiper metà invece un orribile serpente gigantescoche inghiottiva tutto crudo nelle cavità della divina terra. Fantasia arcaica che indica la nebulosa percezione della donna primordialecome creatura dell’identità sessuale ambivalente e dalle dimensioni immense: proiezione degli appetiti del neonato che non riesce a definire chiaramente l’oggetto del proprio bisogno. L’appetito selvaggio della dea allude alla proiezione che fa il neonato della propria voracità.La Fix o Sfingemostro alatoper metà fanciullaper l'altra leonessa.L’Idra di Lernaun serpente acquatico provvisto di numerose testeal posto delle qualiquando erano recisecrescevano sempre delle nuove testeprodotto della fantasia sull’esistenza di un pene femminileche fu poi recisoma che il mito restaura ogni volta in nome di quell’equivalenza di significati che rappresentano l’equilibrio naturale.La fantasia umanache ha razionalizzato la mancanza di pene nella donna come una punizione o il risultato di uno stuprosi ribella a questa situazione di compensoe ristabilisce l’equilibrio con un atto magicoche opera come il meccanismo di una nevrosi compulsiva.La Chimeraaltro mostro dal corpo ibrido che unisce la forma di un leonedi una capra e di un serpente.* * *Particolare attenzionemeritano due simboliperché ancora in auge in questa nostra era nuclearenella civilissima India.Il primo è il lingasimbolo fallico del dio Sivadel quale rappresenta il potere procreatore.Il culto è molto diffuso e s’accompagna spesso a quello della yoniorgano femminilesimbolo di Durga oVisnu.La raffigurazione in pietra del linga che è andatasempre più stilizzandosiè presente nella maggior parte dei luoghi di culto indiani.Un particolare esempio di tale rappresentazionesi è riscoperto di recente nei pressi di Paestumerroneamente conosciuta sino ad oggi come l’orologio ad acqua. È evidentissimoperòche si tratta dell’immagine stilizzata con le pietre della costruzione di un linga contenente una yoni.Dopo avere analizzatoseppure sommariamente il “modus vivendi” omeglioil “modus pensandi” dei nostri arcaici predecessorici pare – seppure ripetitivamente - che non possa sussistere più alcun dubbio come fosse naturale per questi offrire festeggiando - anche se orgiasticamente - un fallo alla divinitàmagari sotto il simbolo di un albero o di una pietra oblunga infissa nel terreno. Emblemi che la religione cristiana per i motivi che s’enuncerannoha poi trasformato in una colonna lignea e in un grosso ceroaccompagnati da quelle manifestazioni d’esultanza popolaresimile a quella che s’esprimeva dopo un buon raccoltoil merito del quale s’attribuiva alla divinità e in particolare alla Gran Madre Terra.Motivo dominante era la danza con o senza musica chein ogni festa cristiana che pagana - queste primitivamente - di solitosi trasformavano in riti orgiastici o baccanaliper impetrare il dono della feconditàdell’abbondanza della messe e delle provviste affinché s’allontanasse lo spettro della paventata e ricorrente carestia.LA DANZANel proseguire questa non facile esposizionedestinata a chiarire credenze e convinzioni radicate nell’animo dei fedeli per secolinoi abbiamo voluto correre ugualmente questo rischio certi d’essere nel giusto e di ripaginare la verità su di un temaalla costituzione del quale hanno concorso tante eterogenee scienze e culturerendendo ardua la vera interpretazione.Fra gli elementi che hanno concorso a costruire la straordinaria festa dei candelierinon potevamo omettere di citare quello più coreografico e chein tal senso maggiormente contribuisce ad esaltare le manifestazioni di giubilo del popolo festante: la danza.I riti di cui trattiamo sono forse iniziati 30.000 anni or sonoal tempo dell’uomo di Neanderthalquando l’uomo sì attribuisce le prime forze di credenza religiosaattraverso la figura dello sciamano chein stato di “trance” comunica con gli spiritiper propiziare la caccia e contrastare le malattie e le catastrofi naturali.Secondo gli studiosil’uomo di Neanderthal è stato superiore agli altri ominidi in particolare per il suo forte senso d’appartenenza religiosa e tribale (era già avvenuto il passaggio dal clan)limitato a pochi nuclei umanialla tribù e si era costituita e si sviluppava una crescente aggregazione alle quali tanto contribuivano la festa e la danzacome continueremo a porre l’accento.È risaputo da sempre che questa avvicina l’uomo a tutte le cose viventi e alle forze dell’universo non visibili. La danza rappresenta sia le grandi come piccole cose della vita ed è eseguita per molti motivi. Infinite sono le sue varianti espresse presso tutti i popoliche spesso l’accompagnano con la musica avente similare significato.La danzaanch’essaforse nacque nell’antico Egitto e si diffuse in IndiaCina e in tutto il resto del mondo. Essacome il falloforismoaveva – per lo più – scopo propiziatorioma anche di ringraziamento ed era magicaritualed’esaltazioned’ebbrezza e frenesia orgiasticacaratteristica a tutto oggi presente presso popolazioni primitive in OceaniaAmericaAfrica etc..Ricordiamoci che Mosè fece danzare gli israeliti dopo il passaggio del Mar Rosso (Esodo XV20) e Davide danzò davanti all’Arca ritrovata (II Sam.VI5-14). In Cina era celebrata la danza delle candeleper evitare e ridurre della peste.Danze erano celebrate presso i popoli primitivi e gli indiani d’America eseguivano quella della pioggiadel serpentedelle stagioni e altre che per il loro carattere orgiastico suscitarono l’indignazione degli invasori spagnolii quali inviarono al rogo chi continuava a praticarle.La danza era il sigillo d’ogni festa tribale e di tutte le decisioni collettive che interessassero l’intera comunità e ravvicinassero i clanuniti nella gioiosa celebrazione – anche orgiastica – dell’allegria che “carpe diem”contagiava tutti.Il ballo era catena che legava i clanli esaltava e condizionava; serviva a gettare le basi del domanima traeva godimento dell’oggi transeunte. Il falloforismoin simili occasioni era quasi regolaperché era l’espressione della potenza esaltata nella gioia del godimento senza limiti o misuraper ringraziare forze ignotema sicuramente attive e tradizionalmente onorate.La danza aveva un’importanza fondamentale per l’ordinamento naturale e sociale: da essa derivava l’armonia cosmicacon essa si provocava la pioggia (come già accennatopresso gli indiani d’America)si addomesticavano gli animalisi regolavano gli scorrimenti delle acquesi commemoravano e s’evocavano gli spiriti e gli antenati ed in Cinacon la danza delle torce si scacciava la pestilenza (e tanto avremmo dovuto ricordare quando abbiamo trattato dei candelieri e della processione che con i candelieri ringraziava la Madonna per avere salvato Sassari dalla peste!).Danzando e imitando danze animaligli antichi sovrani ordinavano il mondo; la danza induce in una specie di sonnambulismo medianico che mette in contatto il danzatore con il mondo degli spiriti e degli dei e lo rendono capace d’imprese impossibili normalmente: si potrebbe veramente affermare che “chi non danzanon conosce la realtà né tanto meno la totalità delle proprie dimensioni (come asserivano i Greci) e delle proprie possibilità”.Il reil sacerdotelo stregonel’indovino e perfino il poeta è prima di tutto e soprattutto un danzatore; il poeta insegue i ritmi che porta con se e cerca d’aprire loro nuovi mezzi d’espressionecon la danza e la musica. Il re e il sacerdotecon la danza e la musicas’inserisconoper il bene della comunitànei riti naturali e cosmiciastralida cui la comunità ebbe miticamente origine e ripetendo ritmicamente il passo dei primordi riportano e incanalano nel mondo manifestostoricole energie plurimillenarie installatesi a formare la reazione a catena della vita che vive oltre le maschere casualie di tale catena fa partesimpateticamentetutto ciò che con l’uomo è stato a contattosi tratti di esseri che noi chiamiamo vivi o di esseri che noi chiamiamo pietrealberianimali e altro.Le danze rituali hanno ricoperto un ruolo molto importante nella storia dei popoli antichiLE CANDELORE DI CATANIACatanianon è soltanto famosa nel mondo per l’Etna che la sovrasta minacciosa con i suoi pennacchi di fumo fuligginosoche spessocome una coltre di nevischio nero ammanta la cittàma anche per la festa della sua Patrona Sant’Agatache si celebra nei giorni dal tre al 5 febbraio d’ogni anno e che per la fede che nutrono per lei i catanesisono certi che il mostro di fuoco sarà sempre tenuto a bada dalla loro vergine martire.Questa nacque nell’anno 235 d. C. da ricca e nobile famigliadurante la dominazione romana del proconsole Quinzianodurante la quale con spietatezza e ferocia erano condotte le persecuzioni contro i cristiani. Costui s’era invaghito della bellissima fanciulla e nel farla sua nella persona aveva anche ordito di possedere anche i suoi beni. Per cui venuto a conoscenza che Agata s’era fatta consacrare a Dio dal suo vescovo a soli quindici annila fece arrestare per violazione delle leggi sulla religione di stato.Inutilmente la tenne prigioniera presso la sua corteaffidandola alle cortigiane affinché con la lusinga degli agila convincessero a concedersi a lui. Finì in carcere dove dopo lunghi giorni di digiuno fu sottoposta ad inenarrabili torturefra le quali quella della mutilazione del seno cheperònarra la tradizionein una sola notte si riformò ancora più splendido. Pur sbalordito dal miracoloQuinziano la condannò a morte mediante rogo e la tortura di punte di ferro infocate. Tutto il legname arsema non il suo velo rossoe si narra che durante il rogola città di Catania fosse scossa da un tremendo boato e che il proconsole preda della paura e cercando scampo nella fuga alla minaccia di quell’ira soprannaturaleannegasse nel fiume Simeto. I catanesi allora di fronte alla travolgente colata dell’Etnapresero il velo rosso d’Agata e lo posero di fronte a questa chesorprendentemente s’arrestò.Dopo la morteil corpo della vergine Agata fu imbalsamato e rivestito di preziosi abiti trapunti di splendidi gioielli (che nel corso dei secolicon le continue aggiunte delle donazioni avvenuteè divenuto un incalcolabile tesoro) edopo un periodo di giacenza in due chiese della città fu trasportato a Costantinopoli come preda di guerra dal generale bizantino Giorgio Maniace.Finalmente dopo 86 anni d’esiliouna notte del 1126le reliquie della santa furono restituite al suo popolo che saputo dell’arrivo della loro santain massaancora in camicia da notte come s’usava allorasi riversarono per le strade per rendere affettuosa e degna accoglienza a colei che era già divenuta la loro santa Patrona. Cerimonia che ancora oggi si ripete durante la processione delle candelore che per tre giorni si snoda nelle strade di Catania percorrendole quasi tutte.La processione delle candelore richiama molto da vicino quella che è la famosa “faradda” (discesa) dei candelieri di Sassariperché anche questi simbolizzano degli enormi ceriofferti come a Sassari (i gremi) dalle corporazioni d’arti e mestieririvestiti e decorati artigianalmente con puttini doratisacre scenefestoni e bandiere. Oggi queste si contano nel numero d’undicima nel passato se ne potevano enumerare più di 30. In tutti i casila festa della quale sono la principale attrazionedopo la fede e la venerazionemanifestata in tutto il mondo è paragonabile come partecipazione di popolo a quella per la passione di Cristo e di dolori della Madonna a Siviglia in Spagna (da doveforseancor prima che da Pisa anche i candelieri di Sassaritraggano origine come simbolo votivo) e del Santissimo Sacramento a Cuzco in Perù.A Cataniacome a Sassarila festa è ripartita in due partiquella del popolo e quella religiosainfattiambe le sagre s’accomunano nel rendere omaggio ai loro santi di maggiore devozionema mentre a Sassari la Madonna “dormiente” assunta attende i candelieri nella chiesa meta finalea Catania le candelore precedono il fercolo (piedistalloquasi un piccolo altare o gran vassoiosul quale sono depositati ceri personali e fiori)che è trasportato anche questo a forza di braccia e in altoil simulacro di Sant'Agata.Nella città etnea anche s’adempie l’omaggio che rende le maestranze artefici delle varie candelore alle autorità civiche.Infinenon ci si può esimere dal citare un altro importante elemento che caratterizza le due manifestazioni citatequella della musica diversa (quasi per ogni candeliere) e identica per ciascuna candelorae della danza (l’annacata per catanesi e lu baddu per i sassaresi) dei portatoritutti volontarinei cui volti alla fine della faticaunitamente allo sfinimento apparel’immensa soddisfazione d’avere adempiuto quel privilegio ambìto e sacro come in tutte le sagre citate in quest’opera.Stanchezza e appagamento che non si può evitare di notaredopo tre giorni d’intense celebrazioni e perché no? Di festeggiamenti dei partecipanti all’intera sagra catanese.CANDELIERE DI SASSARIFONTE: Sito Internet http://www.icandelieri.it/index_640.htmCANDELORA DI CATANIAFONTE: Sito Internet http://www.sicily4you.ita/main/provincie/catania/Patrono.htmLA FESTA DEI CERI DI GUBBIO“Raccontare” la Festa dei Ceri non è un’impresa facile. È tra le più antichese non in assoluto la più remotamanifestazione folkloristica italiana. La Festa ha svolto e svolge tuttora una funzione fondamentale in seno alla comunità eugubina. L’approfondimento sulle origini e sui numerosi significatiè un compito che lasciamo agli studiosi. La sua nascita e tuttora oscura e basti ricordare che esistono due ipotesi fondamentali: una religiosa e l’altra pagana.La prima in maniera documentata e articolataconfigura la Festa come solenne atto ispirato a devozione degli eugubini al loro Vescovo Ubaldo Baldassinidal maggio 1160 anno della sua morte. Da alloraogni 15 maggiogiorno della veglia del luttol’offerta ispirata dalla devozione al Santo Patrono divenne un appuntamento fisso per il popolo eugubinoche avrebbe partecipatoin mistica processionead una gran “Luminaria” di candelotti di cerapercorrendo le vie della città fino al Monte Ingino (dove dall’undici settembre 1194 riposa il corpo di S. Ubaldo nell’omonima basilica)Gli eugubini amarono molto il loro illustre concittadinosoprattutto dal 1154quando Gubbio sconfisse ben 11 città alleatecon una vittoria che sembrò miracolosa anche per l’intervento del Vescovo Baldassini. I candolotti di ceraofferti dalle corporazioni d’Arti e Mestieriprobabilmente divennero nei tempi tanto consistenti da rendere difficoltoso il trasporto e furono sostituiti verso la fine del 500 con tre strutture di legnoagili e moderneche – più volte ricostruite –sono nella loro forma originariaarrivate sino ai nostri giornirimanendo invariata la datail percorso e il traguardo. (così come i Candelieri di Sassari n. d. AA).La seconda ipotesipiù indiziaria e ipoteticama non moltodopo quanto stiamo scrivendo e documentandopropende per la rievocazione dell’antica festa pagana in onore di Cereredea della messegiungendo a noi attraverso la storia dei liberi comunidelle signorie rinascimentalidel dominio dei pontefici e le lotte risorgimentali.I CeriSono tre strutture di legnoformate da due prismi ottagonali sovrapposti e rinforzati da un telaio interno anch’esso di legno e attraversati da un asse. Questo fuoriesce all’esterno con due “timicchioni”. Quello in basso s’incastra su un supporto chiamato “barella” che ne consente il trasporto a spalla. Quello in alto permette di fissare sulle sommità tre piccole Statue che rappresentano i Santi Protettori delle Corporazioni: S. Ubaldo (patrono e protettore della città) per i muratoriSan Giuliano per i commercianti e S. Antonio per i contadini. Queste tre parti sono assemblate insieme in occasione della festa del 15 maggio.Durante l’anno i ceri sono custoditi nella Basilica di Sant’Ubaldo in cima al Monte Inginomentre le statuette dei Santi sono corservate nella Chiesetta di S. Francesco detta “Dei Muratori” in Via Savelli.Non ci sono documenti iconografici dei Ceri anteriori all’Ottocentoma già allora avevano forme simili a quelle attuali. La parte visibile del Cero è costituita da tavolette in abetefissate su una struttura centrale d’olmomentre altre parti sono in faggio e in quercia. Ogni Cero ha una forma che si potrebbe definire a clessidracon una strozzatura centrale e tre anelli o panottoli trasversali. Altri elementi del Cero sono le “manicchie”. Stanghe di legno poste in coppia ai lati.I Ceri sono decorati la sera prima della Festa con bandierine dorate a coda di rondine nella parte superiore e nappe anch’esse doratenella zona inferiorerimosse dai ceraioli la mattina dell’alzata del 15 maggio e conservate come ricordo.Le “barelle”che sorreggono il Cero e ne consentono il trasporto a spalla durante la corsahanno la forma di “H” maiuscolacostituite da due stanghe di legno parallele unite tra loro da un tavolone sempre di legno dette “barelone” su cui s’incastra il Cero. Le parti libere della stanga sono chiamate anch’esse “manicchie”termine usato oggi anche per indicare i gruppi di ceraioli che s’alternano sotto il Ceroscelti tra amici e parenti dalle varie zonein cui è suddiviso il territorio dei ceraioli.La Festa ha uno sfondo eminentemente agricolo ed oltre a Sant'Ubaldo celebra anche S. Giorgio e S. Antonio Abatepopolari protettori dei campi e del bestiame. Il motivo centrale è agonistico e consiste in una gara di corsa dei ceraioliiscritti alle tre arti (muratoricontadini e commercianti) che portano a spalla le enormi costruzioni ligneeche hanno sostituito da secoli grandi candele originarie di cerae dalla piazza centrale devono salire al colle del Beato Ubaldogareggiando per arrivarci primi.LA PROCESSIONE DEI CERI DI SIURGUS-DONIGALA (CA)In merito ci appare interessante e doverosoal fine di poter fornire notizie sulla cerimonia in questionestante il vergognoso silenzio con il quale le autorità che dovrebbero essere orgogliosi di divulgarlala tengono avvoltasiamo costretti riportarequanto un emerito cittadino segnala e un’encomiabile rivista di cose sarde pubblica:“ A Donigalapaesino confinante con Siurgus con il quale costituisce Comuneai primi di settembreper essere esatti il giorno settealla ricerca di un qualcosa che potesse avere a che fare con i famosissimi candelieri di Sassarisi è potuta seguire una manifestazione si crede unica nel suo genereche la stampa regionaletelevisione compresaha completamente relegato nell’oblio.Ceri votivi di grandi dimensioni sono recati in solenne processione in onore di Santa Maria.I ceri sono custoditi in canonica dove se ne sono contati una dozzina.Alcuni dovrebbero essere vecchi di secolialtrisono in maggioranzadi data più recente.La loro lunghezza varia intorno ai centoventi centimetri; del diametro di una quindicina e dovrebbero pesare una quarantina di chili.S’usa il condizionaleperché le informazioni ricevute non hanno soddisfatto appieno l’interpellante. Secondo una stima sommaria dovrebbero pesare circa quaranta chiliperciò si presume che siano cavi all’interno: in ogni modo sono pesantiperché i portatoritutti volontarifrequentemente se li scambiano nell’intento di alleviare la trasparente fatica fisica.La tradizione vuole che i ceri siano stati offerti – per grazia ricevuta – dalle famiglie nobili e benestanti di Donigala.Di quale grazia ricevuta e al periodo cui risalga l’evento non si è riusciti d’essere informatianche se alla processione confluiscono anche altri ceri provenienti da abitazioni private equasi come un voto pronunciatomolti recano con se il proprio cero sino alla fine della sfilata.I ceri sono trasportati in processione a braccia con l’ausilio di un supporto costituito da un lenzuolo annodato in prossimità del collo odi una tracolla di cuoio. Nel caso i ceri sono in coppiasono trasportati su una portantina sorretta da quattro volontari: una di queste coppiegiunge tutti gli anni – in pompa magna – dal paese di Doglianzadove evidentemente vigeva tale consuetudine caduta in disuso.La comunitàvive intensamente l’evento religioso accompagnando con il canto del rosario in lingua sarda l’intero tragitto della processione.Quel che però è sorprendenterispetto ai candelieri di Sassari è che in una bancarella di pregevole fattezzafanno bella mostra di loropure in venditaex voto di cera che raffigurano parti anatomiche del corpo umano.Tutto ciò con la massima naturalezza da parte degli indigeni.* * *Ovviamenteil direttore della rivista che sarà resa nota più sottonon poteva che rispondere citando quel che abbiamo già informatoossiachequanto su narrato sembrerebbero gli ultimi relitti di un culto fallico giuntoa livello inconsciofino ai nostri giorniripetendo: si snodavano solenni processioni in cui i fallofori sfilavano portando simili simulacri in cera considerati simbolo della forza generatrice della natura. Ovviamentesecondo la concezione religiosa del tempoin tali rappresentazioninon si vedeva alcun’oscenità.Queste processioni erano molto diffuse nei paesi dell’India ove tali simulacri simboleggiavano il dio Sivanell’Asia Minore Attis e Adonenella Grecia Dionisoin Egitto Osiridea Roma Fascinus Deus.Il fallo aveva anche la funzione di proteggere dal malocchioperciò si trova riprodotto in tanti gioielli e amuleti sardispecie in quelli di corallo. Un tempo era anche raffigurato nella facciata delle abitazioni con funzioni metaforicheuna tradizione che s’è protratta sino al medioevo. Simboli fallici compaiono anche nella facciata della chiesa di Santu Bachis a Bolotana: ciò a conferma che non era ritenuto un simbolo osceno. La pratica degli "ex voto" in cera proviene ugualmente dal paganesimoLA SAGRA DEI GIGLI DI NOLAÈ tradizione presso i Nolani chela “festa dei gigli” tragga origine da un racconto di Papa Gregorio Magno il qualetrasmise gli accadimenti così come gli furono riferiti dagli stessi Nolani giusto un secolo dopo al verificarsi di essi.Questo in breve il racconto:“Al tempo in cui i vandali devastarono la Campania e Nola fu saccheggiatamolti dei suoi abitanti furono portati prigionieri in Africa. Tra questiil giovane figlio di una vedovala quale si rivolse a Paolino per avere il danaro per riscattare suo figlio. Paolinoperòavendo già dato tutto quello che possedeva per il riscatto dei prigionierioffrì se stesso. Insieme perciò si recarono in Africa. Il genero del re dei vandali che teneva il giovane schiavodapprima tracotante e superboalla fine accettò la proposta dello scambio: liberò il giovane e prese schiavo Paolinoal quale affidò il compito di coltivare il suo giardino. Trascorse così molto tempo. Il genero del re amava conversare sempre più spesso con il suo ortolano eun giornoPaolino gli predisse imminente la fine del remain seguito a ciòdovette rivelare la sua identità di vescovo. Fu quindi liberato insieme con tutti i suoi concittadiniprigionieri dei Vandali. In ciò egli imitòanchel’esempio del SignoreGesù chesolos’offrì per la liberazione di molti. Su navi cariche di frumentoritornarono tutti a Nolaaccolti dal popolo festante”.Fu appunto questo racconto della liberazione dei Nolania far scattare l’entusiasmo di questii qualigrati al loro amato Pastoregli corsero incontro lieti ed osannanti eper mostrargli la loro gratitudinepresero dei gigli (fiori) eimprovvisata una processionepercorsero le vie della città raccogliendosi poi festanti nella cattedrale. Questa cerimoniapensiamo ebbe gran successo ed i Nolani per commemorare l’avvenimento ripeterono ogni anno questo devoto omaggio al loro Santo Vescovo Paolino eciò anche dopo la sua morte che avvenne il 22 giugno dell’anno 431 d.C..Pur tuttaviacirca le origini della “festa”non mancano opinioni diverse come quella avallata da alcuni studiosi moderni che considerano la “festa” come la “trasformazione” di un rito pagano secondo il quale grandi alberi sacraliinghirlandati e con vasi simboli erano portati in processione ed avevano un potere protettivo; più tardicon l’avvento del cristianesimoa questi “alberi” fu tolto l’antico significato paganoaggiungendo ad essi immagini sacre e di santi cristiani.A questo puntosenza scartare la recente ipotesi di detti studiosibisogna affermare che i Nolani sono consapevoli delle radici autentiche della loro “festa”ma sono riusciti a contenere questo passaggio dalla tradizione pagana a quella cristiana entro limiti molto ristretti i quali hanno consentito che rimanesse intatto quel clima di gioia e di tripudio tipico della festa eal tempo stessoquell’insieme antico di simboli e di significati benché assimilati in una cultura diversa e indirizzata ad un altro “destinatario”.Cosìancora oggi la “festa” è manifestazione di fede e di folkloreespressione di costume e di civiltà: una civilizzazione secolare alla quale appartiene tutto un passato storicosociale e culturale di una “comunità” la quale resta legata per l’amore verso la propria terra d’originecome il figlio alla mamma che a malavoglia se ne distacca.Struttura dei GigliNel frattempo che nelle botteghe si preparano lavori in ornato di cartapesta fuorinei vari Rioni della cittàsi preparano le “borde” e vale a dire l’asse centrale dello scheletro di legno di ciascun obelisco. Il più delle volte i gigli sono costruiti davanti all’abitazione del “maestro di festa”il qualeavendo deciso di godersi tutto ciò che gli appartieneosserva la costruzione nelle sue diverse fasi di lavorazione ebada - innanzi tutto - che ogni particolare sia eseguito al “millimetro”.Per tali operazioni sono presenti oltre al “maestro di festa” alcuni membri del “comitato” e financheil capo della paranza. Quest’ultimo ha già scelto in precedenza i “piedi” del giglio dai quali dipende se lo stessoallorché è posato“sona” in altre parole provochi un suono secco. Il capo della paranza stabilisceperciòla buona stagionatura del legno impiegato e consigliato anche dai “caporali”che sono persone fidate di quest’ultimoperché suoi stretti collaboratorifa costruire il giglio a piombo oppure un po’ inclinato all’incirca d’otto gradi.Il cantiere è allestito nel Rione. Tutto il legno è pronto: l’abeteil pioppoil castagno è là insieme alle “funi” e ai circa 90 Kg. di chiodi lunghi dagli 11 ai 32 centimetri. La prima operazione che i costruttori degli obelischi compiono è quella di montare la “borda”che è composta di quattro parti bullonate con perni e chiodi. La “borda”appena costruitaè di una lunghezza complessiva di circa 25 metricon una base dello spessore di cm. 20 e una “cima” di cm. 12. La “borda” è alzata ritta con delle corde e per un po’ di tempo rimane appoggiata alla facciata di un edificio. Si odonoalloraspari di tric trac e lunghe batterie (serie contemporanee di colpi) mentre bicchieri colmi di “champagne” sono pronti per brindisi beneauguranti. I maestri di festai membri del comitatoil capo della paranzai caporaliparenti e amici sono allegri e con il resto dello “champagne” bagnano la “borda” auspicando la migliore riuscita della festa.Si prepara poi la “base” del giglio che è di forma quadrangolare con quattro piedi ferrati ciascuno econ una sezione di cm. 20 x 20. La “base2 è alta 3 metri e larga mt. 260. Appena questa sarà pronta vi s’innesta la lunga “borda”. Intanto il capo costruttore si allontana fino al “piombo” o “lenza” escruta dal basso in alto socchiudendo un occhio per meglio verificare che l’asse centraleossia la “borda”sia in perfetta perpendicolarità con la “base”.Terminata quest’operazione si procede alla costruzione dell’obelisco. Sono montati i sei “pezzi” che formano il prospetto: il primo è di mt. 390; il secondo di mt. 370. Il terzo di mt. 350; il quarto mt. 330. Il quinto mt. 310; il sesto mt. 300.Ultimata la costruzione si spara di nuovo una batteria: il “giglio spogliato” è pronto.Esso è di circa 25 metri d’altezza e di un peso complessivo di circa 20 quintali.La stessa operazione si ripete per tutti gli otto obelischi e per la “barca”È tradizione che dal momento in cui i lunghi scheletri dei “gigli”s’innalzano nel cielo come antennei ragazzi di Nola vi s’arrampicano e giochino fra gli assi e le aste di legno facendo a gara per arrivare sino in cima e far ruotare la “carrucola” che è lì fissata per tirare su il rivestimento.GIGLI DI NOLAFONTE: Sito Internet http://www.giglidinola.supereva.it/index.htmCERO DI GUBBIOFONTE: Sito Internet http://www.gubbio.com/ceri_storia.phpLA VARA DI MESSINANon potendo attribuire con certezza a questa festa alcun legame con i riti primitiviemendati e santificati dal cristianesimoche affondano le loro radici nei secoli passatisottolineando che la stessa è la trasformazione di un antico tributo di fedeltà ad un sovrano.Il carro trionfale che era allestito a suo tempo in onore di Carlo V Imperatore ci porta a credere che essoovviamente modificato dai tempi e dalla nuova religioneripetesse in novella lettura il corteo che si snodava durante le Antesterie in Grecia in onore di Dioniso e che raffigurava l’arrivo del dio nella città d’Atenee poiché si riteneva che questo giungesse pure lui dal marela sfilata comprendeva una barca trasportata su quattro ruote di carro. Nel susseguente capitolo dedicato alla Grecia descriveremo la chiara natura falloforica dei riti che si celebravano in onore del suddetto dio eanche se di ciò non è rimasta neppure l’ombra nella festività della Varaciò non toglie cheanche la stessaaffondi le radici della sua origine nei riti primitiviRicordiamociinoltreche la Vergine Santissimafesteggiata a Messina il 15 d’agosto come a Sassaridopo Inanna per i SumeriIshtar per gli AccadiAnat ad UgaritAtargatis in SiriaAphrodite-Venere a CiproDemetra ad EleusiBendis in TraciaCibele a Pessinunte ecc.fu definita anch’ella come una “Grande Madre”in onore della quale erano celebrati i riti della fertilità e fecondità e che in Egitto è chiamata Iside e il cui mito è anche quello della morte e della resurrezione (nel caso della Vergine Maria l’Assunzione in cielo). Figura maternamediatrice fra terra e cielomadre per eccellenza e Stefen BENKO in The Virgin Goddes: studies in the pagan and christian roots of marilogy (citato da Luana Bonfiglio nel suo sito Web http://www.processioni misteritp.it/misteriantichita.htm) è soltanto uno tra i tanti studiosi che riconoscono che l’immagine della dea egiziana Iside con il figlio in braccio sia stata la prima “Madonna con “Bambino”.A prescindere da tali considerazioni abbiamo voluto affratellarein particolaredetta festa a quella dei Candelieriper le molteplici caratteristiche che le unisconoquali la gran manifestazione di fede della moltitudine dei fedeli che vi partecipano con fervore e gioia esoprattutto l’immenso oggetto di culto che come i Candelieri è portato in processionee la stessa immane fatica che compiono per farlo.La più antica testimonianza scrittache finora si conosce di una macchina dedicata alla Vergine Assuntaè quella di Francesco Maurolico che nel suo Sicanicarum Rerum Compendium del 1562 scrive: “… lectica quae Assumpionem Deiparae Virginis quotannis ad medium Augusti mensis repraesentat”. Analoga macchina laica fuperòdescritta da Niccolò Jacopo (o Colagiacomo) D’Alibrando nella sua opera “Il triompho il qual fece Messina nell’Intrata del Carlo Imperator V” scritta nel 1535. Il D’Alibrandotestimone oculare dei solenni festeggiamenti in onore dell’imperatorecosì descrisse il “carro” trionfale: “Era questo posto sopra quattro ruote e quelle ammantate d’ogni tornocon certi piramidonie cornicioni di ligname tutti posti d’orofacevano questi quattro angoli alquanto sporgendosi fuori sopra delle quali v’erano posti quattro giovanettifinti per i relativi punti cardinalivestiti riccamente con strumenti in mano che portare soglionosopra di questierano due ruotecircolarinelle quali erano quattro puttini per un vestitoet alatii quali benché volgessero a torno le ruote non dimeno loro fermi stavano. Queste ruote nella parteche veder si poteva erano dipintee freggiate d’oronell’una di un carro con un campo azzurro di stelle ripieno resplendenti in oro nell’altra un piano azzurro parimente di stelle e ripieno con un dragone e l’orsa maggiore e minore in cima di questi v’erano quattro fanciulli alati con palme nelle manivestiti molto leggiadramente e bellicon catene d’oro e gioie di molto preggiosopra di queste un tondo ovvero un mondo azzurro tutto stellatoal cui dintorno v’erano sei puttini vestiti di un certo incarnato come se ignudi fosseroquesti tenendo rami d’olivain mano rotavano a torno a torno sul suo tondo sopra di questoveniva un bellissimo giovanetto che mostrava esser l’Imperator (Imperatore)armatoall’antica con un manto purpureosfeggiato d’oronella testa un mitrone Imperialee di sopra la palma della man destrala qualesporgevafuori teneva una vittoriala qual era un puttino d’anni quattro circa aveva questa vittoria un ramo d’alloro in mano e guardando l’Omperatormostrava con quello scherzareerano a dunque sopra di questo XXIIII animenon pensate però che contraffatte fossero matutteveracissimamente vive qual noi siamo…”.Come si vedequesta macchina – a parte i bambini che impersonavano Carlo V e la “vittoria”divenuti poi il Cristo e l’anima della Vergine Assunta –era in tutto e per tutto uguale alla Vara.Ciò ha fatto plausibilmente ipotizzarea Rodo Santorola sua origine appunto al 1535come trasformazione “della macchina da Carro Trionfale laico in Vara ispirato a devozione per l’Asssunta”dopo l’ingresso a Messina dell’imperatore Carlo V cui era stato dedicato il “carro”probabilmente progettato da Polidoro Caldara da Caravaggio che aveva curato anche la realizzazione degli “archi trionfali”.Secondo SantoroRadese fu soltanto l’esecutore materiale della Varadietro commissione del Senatomentre Francesco Maurolico ne fu l’ideatore.Giuseppe Bonfiglioerudito messinese che scriveva nel 1606riferisce che in origine e prima della costruzione della Vara“… si rileva condurre in trionfo una statua a cavallo di Nostra Donna con gran festa…”e quindi tenevasi per simile conto un cavallo leardola cui sella trionfale di velluto cremisino ricamato d’oro a tronconi si conserva per sin’al di d’oggi nel luogo nomato il Tesoro (il Tesoro del Duomo)“fino a quando” … un certo Radese inventò il carro nomato la Baraet allora in poi in cambio della statua si conduce questa al di solito ogn’anno. Ben vero che in più piccola formafinché fu ingrandita dal costui genero Mastro Giovannello Corteseet poi dal Mastro Jacopooggi vivente che nulla più”.Cosmografiateologia e scenotecnica: sono queste le parti fondamentali che fannodella Vara messinese dell’Assuntauna delle più celebri e antiche “macchine” devozionali festive ancora esistenti in Europa.In sostanzaessa rappresenta la sceneggiatura dell’Assunzione dell’anima della Vergine in cielomediante un complesso apparato sviluppato a piramide e mosso da diverse figurazioniun tempo viventisul tema del teatro edificante delle rappresentazioni sacre che ebbe gran diffusione dal Medio Evo in poi.La serie dei movimenti simultanei costituisce uno degli elementi essenziali per la messa in scena di questa sorta di “teatro mobile”al punto che Giuseppe Pitrè ebbe a scrivere: “La Bara va veduta mentre è in movimentoimmobile non è più che una pallida ombra di se stessa”.Partendo dalla piattaforma del “cippo”sulla qual è rappresentata la “Dormitio Virginis” (morte della Vergine) la cui bara era contornata dai dodici apostoli secondo la disposizione canonica delle pitture bizantinela cosiddetta “koimesis toù theothokou”salendo sono raffigurati i “sette cieli” (il Paradiso) che l’anima della Madonna attraversa nella sua ascensione (secondo la Leggenda aureache si fonda su scritti apocrifi cristiani del III e IV secolola Vergine fu “rapita” al cielo dopo la sua morte in anima e corpo).In aderenzaquindi alla concezione tolemaica dell’Universo – la Terra al centro e il Solela Luna e gli altri pianeti ruotanti intorno ad essa – il Solela Luna girano sorreggendonei rispettivi raggi più lunghifanciullini vestiti da angioletti. Ancora più in su è ubicato il globo terracqueo con le stelle fisse che sostiene altri angioletti (un tempo erano quattro a simboleggiare le Virtù Cardinali) eal culminela figura di Cristo che con la mano destra porge “l’Alma Maria” (l’anima della Vergine) all’Empireodove c’è la beatitudine e la diretta visione di Dio (“Ed ecco l’anima tornò al corpo di Mariae uscì gloriosamente dalla tombae così fu ricevuta nella camera celestee una gran compagnia d’angeli con lei”).L’influenza della Divina Commedia di Dantein tale complesso e raffigurazione scenicaè evidente e contribuisce ad avvalorare l’ipotesi del Maurolicodotto scienziato e umanista messinese del Cinquecento. In originecome si dissetutte le figurazioni della Vara erano viventi maa poco a pocodopo gli incidenti del 1681 e del 1738 e le vibrate proteste d’intellettuali ed organi di stampa (“I bambini rappresentanti angeli restano come tramortiti da questa terribile posizione” W. Irvine – 1808); (”…girano con una certa velocità attorno alle piattaforme a rischio perdere il sentimento e la vita… “J.A. De Gourbillon – 1819). “Poveri bambinimuti di terroreo strillantigirano con le gambe in aria e la testa in giù” (Conte De Forbin – 1820) “Lasciate il cammellolasciate i gigantiche pur giovano a ricreare il basso popoloma per Dio si tolga un pregiudizioche serve a torturare tanti poveri figlioli.” (“Il Vapore” – 1836)i bambini viventi furono tolti nel 1866sostituiti da angioletti di legno e cartapesta. L’uomo rappresentante Gesù Cristo anche e la giovinetta tredicenne impersonante la Verginericordati dall’Houl nel 1776 furono sostituiti da statue lignee: scomparverocosìanche l’antica tradizione del dialogo in dialetto fra il Cristo e la Vergine e la questua della ragazza che impersonava Mariainsieme alle orfanellevestite del costume indossato sulla Vara e con l’aureola in testanei giorni successivi alla processione.Munita in origine di ruotedopo il 1565 queste furono sostituite da scivoli di legno per consentire il trascinamento sul selciato e a trascinare la Vara mediante due lunghe gomene è il popolo messinese con l’azione congiunta di “capicorda”“vogatori”“timonieri”“macchinisti” e “comandante”al grido di: “Viva Maria!; “ Quel urlo selvaggioclamorosissimo di tante migliaia di bocche fa venire la pelle d’ocafa levare il cappello alle anime piefa sgorgare una lacrima”annotava “L’Illustrazione Popolare” nel 1888.Perché “Meravigliosa festività” ”è questascriveva nel 1591 Giuseppe Carnevaledottore in leggeela Vara”… per l’altezza e grandezza sua; e anco per l’ammirabile artificioe magistero: si tiene che siala più bellae pomposa cosa del Mondo”.Messina distrutta dal terremoto del 1908fu ricostruita nel 1926 e da alloranuovamente così come da quasi 500 anniogni 15 d’agostofesta dell’Assunta rivediamo la Vara trascinata dalla bracce e dalla fede dei messinesi per le vie della città.LA VARA DI MESSINAFONTE: Sito Internet http://space.tin.it/edicola/cinpallo/messina/vara.htmLA MACCHINA DELLA VARIA DI PALMI (Messina)FONTE: Sito Internet http://wwwI2000net.com/palmi/varia/carro.htmLA VARIA DI PALMI (Messina)La stessa premessa fatta per la vara (bara) vale per la variaavente lo stesso significatodi Palmi.La variameraviglioso e gran carro scenico alto sedici metripesante: duecento quintalirappresenta l’assunzione della Vergine al cielo.La base chiamata “Cippu”che ricorda nella sua forma e nella composizione il Carroccio - simbolo delle libertà comunali - è costruita con robuste travi di legnofra esse incrociate e imbullonate. Nel “Cippu” sono fissate cinque grosse e lunghe stanghealle quali occupano posto duecento giovani (imbuttaturi) scelti fra i contadinii marinaigli artigianii mulattierie i bovari – rappresentantile maggiori categorie lavoratrici di un tempo – per il trasporto a spalla della pesante macchina ecome vuole la tradizioneprestano aiuto alla corporazione dei marinaii pescatori e i soldati di mare della vicina Marina di Gioia Tauroin gran parte oriundi palmesi. Il piano superiore del Cippu di forma circolare ospita insieme agli “angeli”sistemati sulla “ruota persiana” girevole intorno all’asse del cerchiogli apostoligiovani volenterosiun sacerdote e un chierichettointorno all’avello vuoto della Madonna.Da questo piano si partono le raffigurazioni e i personaggi sistemati in varie dislocazioni di posti. Dalla base verso l’alto s’ammirano gli angioletti con vesti bellissimedue grandi dischi con raggierauno dorato e d’argento l’altroraffiguranti il Sole e la Luna checontornati da ghirlande di fiori e da schiere d’angeli girano su se stessi; poipiù in altoc’è collocata una bella sfera azzurra che rappresenta la Terrasulla quale occupa posto il “Padreterno” einfinequasi sospesa nel vuotola MadonnaAnimellacoronata dall’aureola di dodici stelle.I carri trionfali di Messina e di Palmiquelli di Rosarnodi Seminaradi Randazzo e d’altri centri ormai decadutihanno sicura analogia con i Gigli di Nolai Ceri di Gubbioi Candelieri di Sassari e della Sardegnail Carro di Santa Rosa di Viterbocon i Misteri di Campobassoi Cilii di Noto e le Candelore di Catanian’è identicaseppure non ugualmente resa comprensibile anche l’origine ed il reconditosimbolico significato di richiesta e di resa di grazie.LA MACCHINA DI SANTA ROSA DI VITERBOTraiamo dal Quotidiano La Nuova Sardegna di Sassari del 14 agosto 2001 e dall’articolo a firma d’Eugenia Tognottiquanto segue:Poche festepopolari e religiosecome quella dei Candelieri sono così inestricabilmente inserite nella trama delle vicende storiche di una città da rappresentarne l’anima e l’identitàirrorate come sono dalla linfa vitale dei valori più profondi. Una festa che sta a Sassaricome il Palio sta a Siena oancora megliocome la spettacolare festa della Macchina di Santa Rosa” sta a Viterbo. Quest’ultimaanzinel suo intreccio d’elementi religiosidi costume e di folklorema persino nella spettacolarità e nella scenografiala richiama così da vicino da suggerire continui rimandi al visitatore che abbia ancora negli occhi l’affascinante e coloratissimo spettacolo della “faraddha” del 14 agosto lungo le vie infocate di Sassarinel pomeriggio di uno dei giorni più caldi dell’estate. Così la “macchina di Santa Rosa”una sorta di “campanile” alto quasi trenta metridell’impressionante peso di circa cinquanta quintalisorretto da un traliccio metallicoevoca i giganteschi ceri che ondeggiano durante la discesa. Nel frattempo i cento animosi “Facchini di Santa Rosa”come sono chiamati – vestiti di bianco e con una cintura rossa -che portano sulle spalle il 3 settembre d’ogni anno richiamano alla mente i “nostri” portatori. Sudore e faticastanchezza e concentrazionepassione ed emozione accomunano gli uni e gli altri. I primi nella loro trionfale marcia per il tragitto di circa un chilometrocon sostelungo tutta la cittàe la corsa nella salita finale per circa centocinquanta metri fino alla chiesa di Santa Rosa; i secondi anche qui stabilito dal disegno urbanistico della città per arrivare alla chiesa di Santa Mariadove un complicato rituale di precedenze regolal’ingresso dl coloratissimo e coreografico corteo.Similmente alla “faraddha di li candareri” anche la Festa di Santa Rosa si perde nel buio del lungo medioevo eanche qui c’è un voto che affonda le sue radici in uno di quegli eventi calamitosi che nella prima età moderna scandivano inesorabilmente la vita delle popolazioni mediterranee sotto il segno delle guerredelle pestilenzedelle carestie e della fame.Quasi contemporaneamente ai sassaresiil 3 settembre 1664il popolo di Viterbodopo sette lunghi anni di pestilenzapromise solennemente a Santa Rosa di rinnovare ogni anno la processionedi rendere la “Macchina” sempre più alta e più belladi recuperare la tradizione e di affidare l’organizzazione ai più facoltosi signori della città chea turnoprovvedeva alle spese eanche quiil potere civile ha un suo ruolo nei rituali della festa. Èinfattiil sindaco di Viterboalle 21dopo aver rivolto un salutoa dare l’autorizzazione a “muovere” la Macchina. A questo puntoil capo dei Facchini raduna – per ciascuna fila - i suoi uomini sotto di essa affinché tutti siano ai loro posti. Le luci della città si spengono: un simboloun segnaleun’immagineed è a questo punto che giunge il solenne incitamento “sollevate e fermi”. La Macchina ha un sobbalzosi alza da terra e poggia interamente sulle spalle dei facchini cheal grido di “Santa Rosa avanti” cominciano a muoversimentre la mole illuminata riverbera suggestivamente la sua luce nelle strade buie della città e una folla strabocchevole piange e invoca la santa.Una festa veraautenticache riassume in se tutti gli aspetti della migliore tradizione culturale e folcloricolocale: così com’è vera e autentica la festa dei Candelieri – con un’accentuazione degli aspetti “laici” – così ricca di una storia che s’intreccia con quella dei Gremile antiche corporazioni di mestiere; eancoracon quella delle orgogliose istituzioni municipali chetalora in contrasto con i dominatori a difendere la “festha manna”i ruoli di tutti gli “attori” prendenti partecipanti alla scena della festa - dagli uomini dei gremi al parajo maggiore – le funzionipersino i gesti e le parolecariche di valenze simbolichecome quello dell’augurio “a zent’anni”e a stabilire minuziosamente gli spazi del potere civile e religioso.Nell’epoca insidiosa della cultura totalenell’evolvere veloce della modernità verso l’effimeroil volatileil leggeroil virtualec’è qualcosa di consolante in questa continuitàin detti rituali immutati da secoli in cui affondano le radici di un’identità oggi smarrita anche perché nessuno muove davvero alla ricercaalmeno finora.I CILII DI NOTOFONTE: Sito Internet http://www.sicilia in vetrina.com/orovsr/noto.htmlLA MACCHINA DI SANTA ROSAFONTE Sito Internet http://www.LamacchinadiSantaRosa/Armonia.htmI CILII DI NOTO (Siracusa)Noto è famosaoltre che per le sue bellezze naturali e artisticheanche per la sua storia e le sue tradizioni culturalisempre vive e rinnovate nel tempoma accentratesi negli ultimi secoli attorno alla figura e al culto di San Corrado Confalonierial quale si dedicano due feste nel corso dell’annol’una a febbraiol’altra in agostocon quattro solenni processioni che vedono sfilare le confraternite d’origine medioevaleil capitolo diocesano e due lunghe teorie di ciliienormi ceri riccamente dipinti e ornati a colori vivaciportati dai fedelialti più di due metri. Quella dei cilii è una tradizione antichissimache si perpetua fedelmente ed è caratterizzata dalla corsa che è fatta all’interno della cattedrale nel momento di rientro dell’arca argentea a conclusione della processione.Si contano quattro tipi di ciliidistinti con le lettere dell’alfabeto dalla "A" alla "Z" e chiunque seguendo le istruzioni dettate da un’antica tradizione artigianale può costruirsene uno e partecipare così alla processionedurante la quale se ne può contare alcune decine. Il loro peso non è indifferente e perciò per sorreggerlo ci si dota di una resistente fascia che è indossata a guisa di bandoliera e sulla cui parte inferiore è fatta basare la parte bassa del grosso ceroadornato in cima di caratteristici e particolari addobbi checome si è già affermato sono di diverse caratteristiche.Essendo pur ovviosi rimarcano ugualmente le affinità con le altre feste in cui gli elementi rappresentativi sono i cerila corsa con la quale con la quale sono trasportatianche se a Noto questa è limitata soltanto allo spazio disponibile entro la chiesa che li raccogliema soprattutto la copiosa e gioiosa partecipazione del popoloLA SAGRA DEI MISTERI DI CAMPOBASSOAd avvalorare le numerose teorie esistenti che vogliono collegare i Mistericompresi anche quelli di Trapani con antichi riti greci ed orientali senza porre in discussione il credo cristiano e le sue verità rivelatesì ritiene sia suffiente ricorrere all’analisi del termine che le definisce: “Misteri”.Scopriamo così che esso deriva dal grego mistèrionin altre parole cosa segretaperché proprio con detto termine s’indicavano “anticamente culti segreti verso numerose divinitàCerere ed Elensi soprattutto” (da: VOCABOLARIO ETIMOLOGICO DELLA LINGUA ITALIA d’Ottorino Punigiani – Letizia Editore – Genova 1988 pag. 863).Dei misteritratteremo più avanti nei capitoli riservati ai culti e i miti orientali e greci e di questi in paticolare riferendoci a quelli Eleusini in onore del dio Dioniso.In tutti i casidei riti di allora con quelli dei nostri giornisi deve evidenziare che molti punti di contatto sono rimasti.Fra questi:· La processione accompagnata dalla musica e dalle torce;· La rievocaione di un dramma..· La rappresentazione di quest’ultimo;· Il periodo di sostadi purificazione che ci fa pensare alla nostra quaresima.· L’inizio delle celebrazioni avveniva al principio della primavera.(Dalla pagina Web http://www.processioni misteri.it/misteriantichita.htma cura di Luana BONFIGLIO)Prefazione.La Sagra dei Misteri è una delle manifestazioni regionali che sono radicate nell’animo delle popolazioni della regione Molisele quali la considerano uno dei momenti più espressivi della storia di una regione e che fanno da anello di congiunzione tra passatopresente e futuro.Comprendere il valore storico dei misteriè anche capire la storia di una cittàdel suo esisteredel suo divenire.I Misteri non sono solo folkloretradizionema anche momento d’aggregazione educativacon valenze storicheurbanistiche ed economiche. Una manifestazione legata a radici del passatoalla sua cultura e storiama che mantiene inalterati nel tempo sacralità e spiritualità cristiana che da secoli ha contraddistinto la gente di Molise.La Lauda.La prima forma di rappresentazione sacra fu La Lauda. I credenti cercano d’esternare il sentimento religioso attraverso il culto delle immagini. Uno dei temi più sfruttati è quello della passionemorte e resurrezione di Cristo.Un’altra manifestazione del sentimento religioso fu LA PROCESSIONEil popolo partecipava fattivamente infiggendo addirittura sofferenze al proprio corpo per la conquista del paradiso. (Battenti). Con l’avvento delle crociatei sentimenti religiosi si manifestano nella riconquista da parte dei cristianireduci dall’oriente e che trovano nelle sacre rappresentazioniil mezzo didattico migliore per esternare e spiegare visivamente attraverso la raffigurazione dei “Misteri”i momenti più importanti della fede e della chiesaanche se l’origine e lo scopo di tali spettacoli siano essenzialmente religiosimolto spesso furono alterate da elementi di dubbia religiosità e scene di profanità pagana.I Misteri.A Campobasso sono conosciuti col nome di “MISTERI” che un tempoquesti s’allestivano e si disfacevano tutti gli annivariando di forme e costumicon il patrocinio di congregazioni religiose laiche le quali sostenevano le spese d’allestimentoil giorno dell’uscita dei misteri coincideva con il Corpus Dominila maggiore festa della cristianità istituita da Urbano IV nel 1264.La rappresentazione avveniva su palchi mobili o fissi con scenografie elementarii copioni erano in linguaggio popolare e gli argomenti rispettavano la vita e fantasia delle platee di fedeli cui si rivolgevano.A Campobasso come descrivono Michelangelo Ziccardi e Alberto Trotta noi non troviamo immagini dialogate ma “QUADRI VIVENTI” muti che rappresentavano i momenti di vita della chiesain posizioni statiche e senza dialoghi. Una sorta di CULTURA DELLA VISIONE dove l’immagine diventa rappresentazione del veroattimo di cronacama soprattutto comunicazione biunivoca tra quadro vivente ed osservatore.La parola non serve per comunicare l’avvenimentobasta la staticità del personaggio per comunicare all’utilizzatore i sentimenti e il “phatos” dello stesso ea sua volta – l’osservatore comunica l'emotivitàl'attimo fuggente” ai personaggi che dipingono parte del quadro vivente creando un dialogo fatto di gesti e sguardi.In quelle forme di rappresentazionepossiamo trovare addirittura quelle del teatro greco o romano enel 400 addirittura si cerca di canonizzare le rappresentazioni dei Mistericreando regole per non cadere nel goffo e nel profano.A Firenzeaddiritturaci si rivolgeva a Filippo Brunelleschi impegnato nel progetto della cupolaper studiare qualche artifizio. Brunelleschi creò la prima macchina processionaleuna sorta d’albero sui cui “rami” s’appendevano le comparse e gli attori che su quel ”ingegno” fatto di legno e ferro si muovevano in una sorta di ballo.Era come passare dalle immagini statiche di un proiettore di diapositive a quelle in movimento di un nastro magnetico televisivo. Angelimadonne e diavoli acquistavano vita in quel movimento ritmico fatto di passi dei portatori.In questo clima prendono vita le processioni e con esse le rappresentazioni sacre che rimangono il modo più immediato di partecipazione popolare.Nello stesso tempo si sviluppano le prime fieregli iniziali mercati che in concomitanza delle rappresentazioni sacrevedono arrivare nei luoghi interessati maree di fedeli che al momento religiosouniscono quello commerciale ed economico. Scambi quindi di merce e di culture diverse sugli scenari naturali delle processioni.Non è da sottovalutare dunque il momento socioculturale della processione che vede affiancati popoli e persone con usi e costumi diversiaccomunati dal sentimento religioso del Cristianesimoche fruiscono di spazi e di percorsi urbani del tessuto urbanistico.La trasformazione di quadri viventi in stabilinon indecorosi e goffilontani da forme d’irreligiositàavviene a Campobasso nel 1740data in cui la borghesia locale suggella la sua ascesa con l’affrancamento dal servaggio feudale.Non solo dunque cose al poterema anche all’affermazione di moralità. A differenza d’altre cittadinea Campobasso i gruppi sono ventitréformati da persone e non da statue.In origine i Misteri erano ventiquattro nelle tre chiese che provvedevano all’organizzazione della processione del Corpus Domini. Sei di essi non ressero alla prova che il Di Zinnoautore degli stessifece con i modelli di cera da lui creati prima di poggiarci le persone.Paolo Saverio Di Zinno vissuto tra il 1718 e il 1781 d’origine contadinastudiò a Napoli a spese dei suoi fratelli presso la bottega di Gennaro Franzese. Di Zinno tornato a Campobasso iniziò la sua carriera di scultore come testimoniano numerose sculture che ancora si trovano in non poche chiese del territorio molisano e persino in DalmaziaDi Zinno eredita da Napoli l’impronta della scultura delle linee esatte ed equilibratee v’inserisce il suo gusto personale. Sua passione e spontaneità derivante dai luoghi della regione Molise che lo conducano ad alleggerire le masse e rimuovere le sue figureaccentuandone la spiritualità e la vita in un mero pittoricismo plastico.Struttura degli ingegni.Le macchine e gli ingegnisono realizzate in strutture ferrose applicate su basi di legno. La lega usata ha la particolarità essere flessibile e non spezzarsi alle sollecitazioniche il gruppo dei portatori provoca quando si portano in giro per la città.I personaggi sono sistemati in apposite imbracature imbottite con ovatta e cuoio a mo’ di selliniper essere ergonomiche e per attutire al massimo i colpi della sollecitazione.Le speciali imbracature fanno sì che le figure poste in altosiano sistemate con la massima sicurezzasenza essere di nuocimento a chi occupa posto sugli ingegni durante il lungo tragitto per la città.I portatori in numero da 16 a 20 occupano posto sotto le sbarre sistemate inferiormente alle basi scenografiche di legno dipinto e mantenendo costantemente il passoscandito anticamente da tamburi e trombenell’era moderna invece dalle bande musicaliche eseguono durante la processione il ritmo di Rossini.(Tale manifestazione riporta alla mente degli AA. Il ricordoovviamente in forma ridottadi un’analoga rappresentazione che era interpretata da dei piccoli attori sordomutiospiti di un istituto assistenziale sassareseche è gradito ricordare con tanta tenerezza e simpatiai quali per l’impegno che profondevano nell’interpretazione delle parti loro affidateriferite alla natività di Cristo niente avevano da invidiare a degli attori “consumati”. Ragione per cui i loro quadri viventiseppure statici come quelli di Campobassostrappavano - come sì sol dire - applausi a “scena aperta”(dei quali loro si rendevano però contosoltanto dalla frequenza e durata delle palme delle mani degli spettatori che battevano l’una sull’altra).LA FESTA DELLA SEGAVECCHIA DI FORLIMPOPOLILa Festa della Segavecchia a Forlimpopoli si svolge nella settimana di mezza quaresima significando la condanna ad essere segata vivadi una vecchia forse di non facili costumi che nel Medioevocontravvenendo alle Leggi della Chiesa aveva ingoiato addirittura crudo un salsicciotto. Questa è simbolizzata da un fantoccio di cartapesta di almeno cinque metri d’altezza e che nel passato quando non esistevano ancora le linee aeree elettriche ad attraversare le vie della cittàraggiungeva anche i sette e più. È una festa molto popolare con grand’afflusso di partecipanti non soltanto dalla Romagna ma anche da altre regioni.A stimolarci a fornire notizia di questa sagranon è soltanto la singolarità dell’avvenimentoma i suoi significati che con gran maestria sono spiegati da Alberto Aramini nel sito Internet: http://www.segavecchia.it/la_storia.htm e che collimano perfettamente con quelli chesino a adessonoi abbiamo sostenuto.Afferma Aramini:“Pochi si danno pena a comprendere l’intimo significatoa risalire le originia cogliere dentro il mitola funzione reale. È anche vero però che la festa ha subito nel tempo un processo di trasformazione e d’adattamentoe non è facile coglierne il nocciolo primitivo. Tuttavia nel variare del tempo e della società restano essenziali due fatti: la data di svolgimento situata in un punto critico delle stagionidella vita campestre e la partecipazione popolare …”Prosegue Aramini:“ … La terra quale madre sta alla base del mito e più esattamente la fertilità: fertile è tutto ciò che si porta nel proprio ventreciò che produce e rende.Il culto della Terra Madre è già presente nella civiltà neoliticain quella del Bronzo a Cretaecon continue variazioni del tema fondamentale nella civiltà greca e romana.Antropologi e ricercatori quali Granet e Frazer hanno trovato manifestazioni del rito della fertilità nelle più diverse parti della terra e presso società che traggono tutta la loro sussistenza dalla terrain altri termini società agricole.La fertilità è assunta simbolicamente come donnavalgono per esempiole piccole statue dai larghi glutei scoperte nei santuari della Mesopotamia; ma anche nei miti giapponesiindonesiani e oceanici la donna è legata alla fertilità o alla fecondità della terra.Un mito della fertilità si compone interamente come ciclo di vita – morte – nuova esistenza.Questo stretto processo del mondo agricolo è statoin particolare modocolto dalle popolazioni del bacino mediterraneo e si manifesta all’originenel mito di …”Qui Aramini descrive i miti di DemetraGiovePersefoneAde e altri (che noi abbiamo già narrato) e prosegue:“La morte è simbolizzata dal soggiorno agli Inferi di Persefone: Demetra interrompe la vita vegetalema l’uomo dei campi ha la certezza della sua rinascita al ritorno sulla terra della prima.Con questo mito i popoli dediti all’agricoltura superarono la contraddizione di morte e vita e instaurarono quello della periodicità: in autunno l’esistenza appassisce e muore nell’invernoma rinasce a primavera e produce i suoi frutti nell’estate.A proposito della Segavecchia e del mito della fertilitàc’è da considerare l’intervento cristiano-medioevale che sposta in modo palese l’antica sostanza agraria e l’implicita connessione del processo vita – morte – nuova esistenzain un problema di tipo morale religiosoquello di peccato pena – dannazione. La Vecchia spogliata del suo mitoè degradata a donna di dubbi costumila quale non ottempera alle disposizioni ecclesiali sul digiuno quaresimale; mangiainfattidei salsicciottie per sì piccolo peccatola Vecchia è condannata ad essere segata viva.La “dannatio capitis” quale elemento centrale del nuovo rito non ha l’aspetto gioioso della “fugarèna” (falò)del fuoco datore di vitama si fa didattica rappresentazione del supplizioche il Medioevo vuole rito pubblico e insieme salutare catarsi.Nello stesso tempo che il rito agrario esaltava il ritmo della natura e delle sue forze vitalie ancora il valore della promessa e la speranza di un buon raccolto propiziandoli con il movimento di morte e vitaquel cristiano medioevale punisce la trasgressione alla regola. Alla rappresentazione della natura – madresi sostituisce quella dell’uomo fragiledebole e peccaminoso.Quest’intromissione snatura il valore del mito antico ma non riuscendo ad eliminare la figura della Vecchia è costretto a concessioniperciò risalta la contraddizione di Festa di mezza quaresima d’esecuzione capitale; insomma si festeggia e si punisce.Il “Dio che muore”è immiserito a creatura umanacon l’aggravante della magia della stregoneria e il frutto che essa porta in seno è ucciso con lei (in realtà la vittima era una giovane donna incinta: n.d.A.).Tale degradazionedovuta ad elementi coltisia chierici sia laici è continuata nei secolianche in quelli vicini a noiquando la “Vecchia” fu identificata nella regina dei ladridei truffatoridegli zingaricome fece un certo abate Missirini chenella sua mentalità razionalisticaconsiderava evidentemente ogni festa popolare uno sprecouna superstizioneun atteggiamento colmo d’ignoranza.In quest’ultimo secoloa voltela festa ha anche assunto il carattere della trasgressione e della mascheratama tali elementi sono rimasti complementari e non hanno intaccato a fondo il motto della fertilità che la sorregge. I Forlimpopolesiinfattihanno continuato a considerare la loro Vecchia come simbolo di positività e a voleresotto tutti i regimicome ritorno della primavera ed esaltazione del rapporto natura e generazione (considerazioni e principi che similmente sono adottati da tutte quelle popolazioni di pretta origine agrariache imperterrite continuano a celebrare le loro feste con candeliericandelorecerigiglicilii e altro: N. d. A.) …”* * *Dopo i truci antefatti narrati più soprasi potrebbe pensare che i giorni della mezza Quaresima a Forlimpopoli inducano all’orrorepiù che alla preghiera e alla penitenza.Al contrario sono giorni di festa e di matta allegriatanto checome s’è già dettoarriva gente da tutta la Romagna e anche da fuori.I motivi del singolare passaggio dalla memoria di un feroce castigo alla celebrazione di una spensierata felicità popolaresono diversi: l’origine va forse ricercata nel fatto che la cupa leggenda medioevale si è sovrapposta ai miti e ai riti solari della Terra Madre (tramandati nelle società contadine fin dai primi giorni della storia) e dunque è un festoso ritorno alle originipiù che un’incomprensibile degenerazione. Il tempo in ogni modo confonde in una disinvolta mescolanza le due tradizioni e le relative varianti rituali.IL CARNEVALE DI BOSAFONTE. Sito Internet http://www.museo dellafesta.it/bosa/pag01.htmLA SEGAVECCHIA DI FORLIMPOPOLIFONTE: Sito Internet http://www.passatore.it/feste/56.htmLA FESTA DI SAN GIOVANNIQuello di S. Giovanni è l’unico nataleinsieme con quello di Cristoche la Chiesa celebra nel suo ciclo calendariale.Quest’unicitàper la qualeper esempionon si festeggia il dì natale d’altri santi illustridi patriarchi e altridovette essere spiegata e giustificata ai cristianie la cosa non doveva essere tanto semplice se S. Agostino dedicò sei dei suoi sermoni all’argomento. Certo non è un caso se a quest’unicità e parità di condizioni tra Cristo e Giovanni in rapporto al culto s’aggiunge l’antichità delle due celebrazioniche si perde per entrambe nella penombra delle origini cristianee la coincidenza col solstizio estivo e invernale eche le due celebrazioni siano state pensate originariamente in rapporto reciprocosiano state inserite in uno sfondo comune di religiosità paganacon la funzione d’assorbire entro il culto ecclesiastico di due manifestazioni complementari e preesistenti del culto agro-solareappare dai continui rapporti d’analogia (battesimo) e di connessione reciproca (l’uno “anticipa” l’altro) istituiti fra il santo e Cristo fin nei testi remoti.Il Vangelo stessosoprattutto in un puntooffriva ai teologi la premessa fondamentale della politica culturale da seguire nei confronti della “festa di S. Giovanni”. Fu Giovanni stessosecondo il testoa definire la propria funzione nei confronti di Cristo ed usò quest’espressione: “Illum (Jesum) oportet crescereme autem minui.” (Giov.III30).Nell’elaborazione teologica il passo evangelico è presto assunto come mito che giustifica e storicamente condiziona il rito: il crescere di Gesù è nella crisi solstiziale d’invernoonde trae l’incremento del sole; il diminuire di Giovanni è nella crisi del solstizio dell’estateonde il sole comincia a decrescere. La prima elaborazione teologica del brano evangelicoè in S. Agostinoil quale ne fa il cardine intorno al quale poi si sviluppa l’azione culturale della Chiesa nei confronti di due fra le celebrazioni più importanti dell’anno religioso paganoche a Roma sono la Festa di Fors Fortuna il 24 giugno e quella del Sol Invictus il 25 dicembre. A queste festeappuntocorrispondono nel calendario cristiano Natale S. Giovanni. L’adattamento del culto cristiano al sostrato pagano richiedeva una giustificazione teologica eparticolarmente ingegnosa e accorta si presenta quella addotta da S. Agostinosulle orme dello scritto evangelico. “In nativitate Christi dies crescit – così scrive il dottore cristiano – in Johannis nativitate decrescit. Profectum facit diescom mundi Salvator oritur; defectum patitur cum ultimus prophetatarum nascitur”. Il solstizio estivo segna col suo decrescereuna fine: quella del Vecchio Testamento rappresentato da Giovanni. Il solstizio d’invernoche inizia la fase crescente del solesegna una nascita: quella del Nuovo Testamento e dell’Era di Cristo. In questo modo il complesso mitico-rituale di S. Giovanni e quello del Cristo si condizionano e fondono in un ciclo unicoquale meglio non poteva essere trovato per adattarsi al complesso solare e agrario. Le due festeperòhanno anche un altro punto in comune: è propriamente nella nottea S. Giovanni e a Nataleche s’accentua la sacralità. A mezzanottenella festa di S. Giovanniavvengono prodigi d’ogni sortas’apre il cielosi traggono vaticini e altro; a mezzanotte di Natale avviene il prodigio per antonomasia.Nel calendario romano il dì 24 giugnoche segna la celebrazione di Fors Fortunaè indicato anche come “Solstitium”“Lampas”o addirittura come “dies lampadarum”. Da un canto se ciò pone inequivocabilmente la giornata sotto il segno del culto solare (“Lampas” era designazione del solstizio)d’altro canto rimanda ad un’usanza che vedremo attestata fino ai tempi recenticonsistente nel portare fiaccole accede (lampades) per i campi nel dì di S. Giovanni. Onde è chiaro che il culto di S. Giovanni formalmente ha assunto in sé la religione romana del Sole con i suoi riti connessi. Il culto solare aveva raggiuntonei tempi in cui si propagò il Cristianesimouna diffusione universale e serviva in certo modo da legame politico e religioso fra tutte le genti dell’Imperoche poi il culto solare avesse almeno in quest’occasioneun fondamentale contenuto agrarioè – oltre che dalla celebrazione di Fors Fortunadivinità originariamente solare e agraria – dal fatto che proprio in questo giorno (dies lampadarum) religiosamente s’inaugurava la mietiturae Cerere era perciò – a quanto pare – l’altra dea dedicataria. Il ritocol quale fiaccole accese erano portate attraverso i campi di granoripetevano forsecome ad Eleusi il mito nel quale (Demetra) Cereredella terra madreandavaal lume di fiaccolealla ricerca della figlia Persefone – dea del grano – rapita e tratta sotterra da Plutone: mito che adombra la scomparsa della vegetazione dopo il raccolto.Su un tale sostrattopoteva ben svilupparsi la festa di S. Giovannila quale ha diffusione pressoché universale entro il mondo occidentalee particolarmente tra le plebi rustiche si presenta con un rituale pagano complesso e tuttora vivaceattestante anche oggi con tutta chiarezza le sue origini precristianeche in certe località almeno si possono far risalire fino ad epoca preistorica. La festa in generale conservaincorporata in se stessatutte le impronte di una genesi agrariaper entro una società che trae dall’agricoltura l’intera ragione di vitache Giovanni Battistanella sua figura di “rigeneratore” e di “profeta di una nuova era” quale la tradizione lo plasmòavesse in sé i caratteri di un’antica divinità agricolasi vede nei riti agrari della sua “festa”oltreché nell’icografia più anticache lo rappresenta in unione con rami e tronchi d’albero spezzati e rigermogliantisimboli di una vita che periodicamente si rinnova.Vero è che il consenso e il seguito dato dalle plebial culto del santopongono di per sé il problema dei limiti dell’efficacia proselistica nell’azione della Chiesae dell’eventuale degradazione di un culto ecclesiastico a quel pagano. Il problema fu avvertito con schietta sensibilità fin da S. Agostinoall’inizio dell’opera di conversione del paganesimo promossa dalla Chiesa. Del restoancora nei secoli XI-XII gli eretici Catari accusavano sintomaticamenteBattista come “ministro del diavolo”ma si veda la polemica di S. Agostino nel suo oggetto immediatoche è il punto che più c’interessa.Il passo dice testualmente che “Natali Johannisde solemnitate superstiziosa paganaChristiani a mare veniebant et se baptizant” eil predicatore cristiano aggiungevalevando la prima voce contro un uso riconosciuto e condannato per pagano: “Adiuroobstringonemo facia”. È assai indicativo e interessante che proprio Agostinoche ci fornisce la prima notizia della festività di S. Giovanni come sacra “solemnitas” canonicaci fornisca gli stessi elementi atti ad intendere retrospettivamente l’intento seguito in origine dalla Chiesa d’andare incontro ad una festa antichissima e ben radicata nelle usanze popolaricambiandone il titolare e tentando di sopprimerne gli aspetti pagani più compromessi. Ben s’intende con quanta forza il padre della Chiesavalendosi unicamente della sua autorità episcopalepremesse per sradicare l’uso del battesimo paganocongiunto proprio con la festa di Giovanni Battista: “Scongiuroobbligo che nessuno abbia ripeterlo”.Il monito del dottore cristiano doveva riferirsi ai fedeli di tutto il mondoeppureesso non dovette avere efficacia neppure nella sua curia africanase a tutto oggi nell’Africa settentrionale vige il battesimo "pagano” per il solstizio d’estate. Del restoalcune favorevoli circostanzeci pongono in grado di poter seguire questo rito sia nella sua diffusioneche coincide con quella della festività cui è connessa – universale o quasi -sia nella sua persistenza tenace e ininterrottafino ad oggi.Sono noti i riti prettamente pagani celebrati durante la “festa” di S. Giovanniquali quelli dei fuochidel battesimo pagano in riva al mare o ai fiumiignudi; magici di divinazionedi guarigioneorgiastici della fecondazione e della fertilitàsessuali di comparaticodi “ierogamia” simbolica o no.Alla finela Chiesa non riuscendo nel suo intentofin dai primi secoli di una festa solstiziale agraria e paganala ridusse nella propria mitologia inserendovi la figura di S. Giovanni come titolareavendo individuato in lui la figura più adatta per riscattare formalmente al Cristianesimo un rito fondato sull’idea di morte-rinascitapoiché egli con il rito battesimale aveva riscattato ad una superiore significazione (morte-resurrezione) un antico rito magico di rinnovamentoessendo confluiti in questi elementi d’origine varia e rustica (quale: culto di Cereredi F. Fortunasd’Adone e altri femminili).Di fattofra i culti devozionali moderni del cattolicesimo popolarenumerosi sono quelli che hanno la loro radice nella politica di compromessod’adattamento e di recuperopraticata dalla Chiesa dell’alto medioevoper assorbire e bloccare i vecchi culti pagani. Tali sono le festività del Natale e di S. Giovannigli stessi culti mariani e dei santii pellegrinaggile processioni per impetrare la pioggia e il raccolto. Altri rituale di carattere penitenziale come i “vattienti”“battenti” o “fujenti”.IL CARNEVALE DI BOSAEntrando a Bosa (NU) il Martedì grasso colpisce la presenza quasi egemonica di un’unica maschera. Gruppi d’uomini adultisparsi per i paesi in maniera spontanea e non organizzatamascherati da donna in lutto con una bambola rottasmembrataspesso macchiata di rosso all’inguine.I gruppi possono essere riuniti ed allora si odono una serie di canzonialcune delle quali hanno l’aria d’essere composte sul momentoin conformità ad una traccia già notaoppure possono muoversi per il paese ed allora si vedranno queste maschere esibirsi in drammatiche lamentazioni per la loro bambina che ha avuto una disgraziaè morta dopo essere stata violentataè sul punto di morire eccetera. Di norma il riso interrompe queste lamentazioni quando cominciano ad essere esagerate.Parallelamente a tutto questoc’è un’ostentazione da parte di “queste donne in lutto” d’esagerati simboli fallici recati in manoa spallain carriole e altro.“È inutile dire quali suggestioni può offrire ad un etnologo un simile ritoche sembra comporsi sul tema arcaicoaddirittura protoagricolodi un dema femminile ucciso mediante smembramento e dalla cui morte derivano agli uomini fecondità e fertilità” (Clara GalliniIl Consumo del SacroFeste lunghe di SardegnaBari1971).Le spiegazioni su questa festa possono essere molte e complesseanche se chiaramente traspare la discendenza da antichi riti della fertilitàsu cui si sono innestati nel corso della storia altri eventisi rimanda questa spiegazione alla bibliografia in merito ed a successivi interventipreferendo soffermarci a quello che è oggi il Martedì Grasso a Bosa.Nel modo già descrittos’incontra questa festa pagana in cui tutto il paese e gli spettatori si riconosconola simbologia sessuale è non solo evidentema abbondantemente enfatizzatal’amplesso è spesso mimato in un’azione teatrale in cui sono coinvolti gli spettatorifra risate e scherzi chenon essendo volgaricoinvolgono i presenti in spontanee “invenzioni teatrali” in cui lo spettatore è parte integrante della scena e della pantomima. A Bosa in quel giorno non c’è un dentro o un fuori della festacosì com’è veramente labile il confine fra partecipanti e spettatori.Escluse sino a non molti anni or sonoanche le donne prendono parte a queste manifestazioni in maniera attivaanche per quel che risultain posizione più defilata rispetto agli uomini. Il vino contribuisce a far cedere gli ultimi freni eper le vie del paese si assiste per alcune ore a questo “gran teatro” in cui tutti sono protagonisti ed anche se il canovaccio è unoinfinite sono le variazioni. Non soltanto a Bosaperòrivivono i suddetti riti.LA FESTA DEI “GIUDEI”Non tutti i giorni sono uguali per visitare S. Fratello (Messina). Nella Settimana Santainfattiin questo paese già per molti aspetti singolareavviene qualcosa unico e straordinario: la Festa dei Giudei.Mirabile e spettacolareogni anno essa ripetein un difficile compromesso con la sensibilità cristianale feste dionisiache di primaveraappassionanti l’eroslo spirito orgiasticol’energia vitale che la natura sprigiona nel tempo della sua rinascita annuale. Nello stesso tempo che il mondo cristiano è in lutto per la passione e morte di Cristole strade di S. Fratello sono pervase dall’agitazione collettiva e dalla più sfrenata allegria. Centinaia d’uomini mascherativestiti di colori sgargiantiche si figurano uccisori di Cristomettono a soqquadro il paeseconcedendosi le sfrenatezze e le licenze del più permissivo carnevale. Fra scoppi di squilli di trombacanti licenziosi e gesti d’intendimento eroticopercorrono a nugoli vicolipiazzestradechiassosi assaltano bottegheabitazioniortimentre il vino scorre a fiumi. Il momento culminante della festa è il Venerdì Santoquando la popolazione porta in processione l’imponente Crocifisso ligneo seicentesco (della scuola di Fra’ Umile da Petralia)che le donne seguono in gramaglieavvolte in scialli neriintonando lamenti e mortori. A questo punto i Giudei si radunano a sciami intorno al corteo e l’intensa carica emotiva accumulata nell'attesa protrattasi a lungoesasperata da tre giorni d’ebbrezzadivampa come un incendio. Essi assaltano il corteo e trasformano la celebrazione di quello che nella versione cristiana è il momento più luttuoso e penitente in un’esplosione di danzepiroetteappostamenticantisquilli di trombacolori e fragori. Per tutto il tempo che dura la processione di S. Fratello è un solo allegro frastuono. Gli ingredienti delle feste dionisiache ci sono tutti: il vinol’erosla danzagli atteggiamenti orgiastici ed eccessivi. Nel costume la coda e le scarpe di lana caprina fanno evidente riferimento all’aspetto dei satiricreature devote a Dioniso. Questi elementi convivono – con esiti incredibili - con la Festa cristiana della Passione di Cristoa documentare la convivenza nei secoli della tarda antichitànella stessa comunitàdi una parte cristiana e una pagana. La prima sempre più maggioritaria e repressivala seconda sempre più minoritaria e trasgressiva. Il cristianesimo – scrive Nitzsche – diede da bere la cicuta ad Erosma questo non ne morìsi trasformò in vizio. Così il piacere diventò peccato e Dioniso il Diavolo.I cristianiovviamenteall’affermarsi della loro religionecercarono in tutti i modi d’impedire la festa dionisiacache i pagani continuavano a celebrare nello stesso periodo dell’annocon il solo risultatoperòd’esaltarne la parte trasgressiva. Fu così che i satiri (non ancora diventati Giudei) indossarono la mascherala qualeoltre ad assicurare l’anonimatoassai bene si prestava a quel rimescolamento dell’identità che è la possessione dionisiaca. Non soltantoma vi aggiunsero un sarcastico sberleffo. Di fronte all’impossibilità di reprimere quei satiri sfrenati in preda alla possessionesi cercò in un secondo momento di “addomesticarli”inserendoli nella Sacra Rappresentazione com’espressione del negativo su cui alla fine il bene trionfacome avvenne per esempio per la festa dei Diavoli a Prizzi. Attraverso questo passaggio i satiri di Dioniso diventarono Giudei (vale a dire soldati romani uccisori di Cristo) e il loro costume si modificò con l’aggiunta degli elmi galeatima – come inorridito osservava il Pitrè –loro non interpretavano bensì impersonavano compiaciuti la parte di Giudei! Dopo gli ultimi tentativi di repressione operati durante il fascismola festa si ripete ancoratrasgressiva e assordantecom’evento paganoche il cristianesimo non è riuscito né a reprimere né a fagocitareLA FESTA DEL “MUZZUNI”Fu solo dal IX secolo che il cristianesimo si radicò profondamente nei cuori e nelle menti degli abitanti dei Nebrodiallorché in queste contrade irte di rocche e fortezzesi concentrò per quasi sessant’anni la resistenza cristiana contro l’avanzata dell’Islam.Prima della conquista araba una cristianizzazione c’era pur statama s’era affermata assai lentamentetra resistenze di varia naturapiù come imposizione ideologicache come scelta interiore e collettiva dell’intero corpo sociale. Basti pensare che ancora alla fine del VI secolo d. C. l’autorità ecclesiastica si vedeva costretta a ricorrere alle maniere forti per “convincere” i nostri contadini e pastori della superiorità del messaggio cristiano. Ne fa testimonianza una lettera di papa Gregorio Magnoche nel 593 comunicava al vescovo di TindariEutichio chefacendo seguito alle sue (d’Eutichi) sollecitazioniaveva richiesto la collaborazione dell’autorità bizantina (praetor)per estirpare i pagani chegrazie alla protezione dei “potentes” latifondistipersistevano nell’idolatria nelle campagne della sua diocesi. Una dimostrazione indiretta di quanto la religione antica fu dura a morire si può riscontrare anche nelle tracce evidenti di paganesimoche ancora oggi permeano alcune feste religiose dei Nebrodi (eprobabilmente le stesse motivazioni possono essere addotte per altre regioni dov’è noto come in alcune zonespecialmente impervie e selvosequanta fatica e difficoltà durò l’esercito a tenerle soggiogate soltanto militarmentequali la Siciliala Basilicatala Campaniail Laziola Toscana e la Sardegna (in quest’ultima regione come s’è visto numerosi abitanti della Barbagiapreferivano assoggettarsi ad una specie di tassa pur di essere esentate dal praticare i novelli riti cristiani) e non nel resto d’Italia dove una simile e fiera opposizioneper motivi di natura geografica (orografica) e politicanon avvenneanzi come s’è visto pure in precedenzaa debellare il paganesimooltre ai numerosi editti di Costantinocontribuirono forse le pene gravissime che erano comminate dai concili ecumenici della Nuova Chiesaalle quale s’aggiunsero in modo risolutivo quelle dell’impero romano – nei luoghi facilmente accessibili - con ValentinianoArcadioTeodosio e Onorionel 392394 e 399il cristianesimo potè attecchire in pieno)ma in nessuna di esse l’impronta pagana è così evidente come nella festa del Muzzuniche si celebra nel solstizio d’estate ad Alcara li Fusiin coincidenza con i festeggiamenti in onore di S. Giovanni Battista. In vari angoli del paese sono predisposti degli altari con al centro il muzzuniconsistente in una brocca o bottiglia mozzataadornata con origioielli e fazzoletti di setadalla quale zampillano spighe di grano e giovani steli di garofano e lavanda. Gli altari sono addobbati con coloratissimi tappeti locali (le pizzare)vasi fiorilavori e ricami. In un clima di festa e allegriasi mangiano dolci preparati in casasi combinano fidanzamentisi stringono comparanze. I preti ovviamente non sono presenti. In questa festa troviamo propostoall’interno di una tenue cornice cristianai riti pagani di propiziazione della fecondità terrena e del raccolto agricoloche nell’antichità si celebravano in occasione delle Dionisie agresti (dicembre-gennaio) e delle feste dedicate a Adone (giugno-luglio)al sopraggiungere della stagione estiva e del nuovo raccolto. Adone era una divinità largamente venerata nel mondo antico. Secondo la forma più semplice del mitoegli era nato dall’amore incestuoso di Mirra per il padre. Per la sua straordinaria bellezzas’invaghirono di lui Afrodite e Persefone dea sotterraneale quali se lo disputaronofinché Zeus non decise che Adone avrebbe trascorso un terzo dell’anno con Persefonealtrettanto con Afrodite e il restante tempo a suo piacimento. Ovviamente il giovane dio decise di trascorrere con Afrodite anche i giorni a lui personalmente concessi. Per questa ragione annualmentea primaveraAdone lasciava il regno sotterraneo di Persefoneper rinascere alla vitapersonificando in tal modo il senso della morte e della rinascita della vegetazione. Il suo culto – espressione della visione ciclica dell’esperienza umana e della vita cosmica tipica delle società agricoles’esprimeva attraverso il rito della falloforia e della preparazione dei giardini d’Adoneda parte delle giovani donnecui era caro il dio. La falloforia consisteva nella processione del falloovvio simbolo della feconditàdi cui il muzzuni è un’evidente trasposizione. In maniera altrettanto evidente i “lavuri”che le giovani donne preparano nei giorni della festa e depongono sugli altari adorni d’ori e ricami intorno ai muzzunisono una derivazione dei giardini d’Adone d’ellenica ascendenzache simboleggia i campi di grano.LA FESTA DI S. ANTONIO ABATE IN SARDEGNAUn'altra chiara dimostrazione del come il cristianesimo si servì delle sue festività religioseper emendare i riti pagani della falloforiaunitamente a quella dedicata a San Giovanni Battistal’altra è relativa a S. Antonio abateche stranamente coincide con l’inizio del periodo carnevalesco.Similmente ai tempi nei quali le selve costituivano dei templi per adorare la divinitài giovani della Sardegna dei paesi che vanno da Dorgali a Silanus e Siniscolada Sedilo ad Oroseida Abbasanta a Torralbada Noragugumene a Santu Lussurgiuda Oniferi a Mamoiadada Dualchi a Torpèuna volta con i carri a buoiora con i trattorivi si recano per raccogliere e trasportare sulla piazza del villaggiodei gran quantitativi di legna da ardereminuta e di grosso tagliocon i qualiallestire la sera della vigilia della festadei giganteschi falòin onore del simpatico abate che narra la leggendaaccompagnato da un porcellinoscese agli inferi e nel fuoco eterno che vi ardevaaccese il suo bastone di ferula che prese ad ardere lentamente e quasi nascostamenteriuscì così a riprendersi dal diavolo il fuoco che questodispettosamenteaveva tolto agli uominiai quali lo restituì.Attorno a quei falò giganteschi s’allestiscono la sera della vigiliafesteggiamenti con massicci consumi di vivande e in particolare di bevande che contribuiscono in notevole misura a fare esplodere l’allegria con danze e cantiindubbiamente retaggio delle ataviche feste della feconditàmentre i bambiniforse a memoria dei rapitori di Dioniso che si mascherarono con polvere e cenerecon il carbone dei tizzoni spentisi tingono il volto di nero eche la festa sia più pagana di cristianalo dimostra che al santo sono rivolte delle canzoncine piuttosto maliziose e impertinenti.Particolare curioso oforsesignificativo è il fatto che i paesi nominati e qualche altrofanno parte di quelle zone della Sardegna che mai furono completamente soggiogate dall’invasoreil quale quindinon riuscì mai ad imporre le sue leggi eforse anche quelle favorevoli al cristianesimo cheprobabilmente durò molta fatica a debellare del tutto i riti paganicosì come abbiamo visto anche in altre particolari zone della penisola.A Mamoiada detta festa è contornata da un altro avvenimento eccezionale le cui origini sì perdono ugualmente nella notte dei tempi ecome si è già accennato richiamano i “lupercali” dell’antica Roma: i mamhutones e gli issohadores (o issoccatores).Alle ore quattordici del giorno della festa inizia la cerimonia della loro vestizionedi panno e fustagno con corpetto rosso e scialletto ai fianchi il costume dei secondidi pelle di montone quello dei primichiuso dall’imbracatura con i campanacci e tenuto da una bandoliera ornata da campanelli dal trillo argentino e squillante. Poi i due gruppi mascheratia passo ritmato dagli issohadores che danno il tempo e mostrano la loro abilitàsi dispongono or l’unopoi l’altroattorno ai ben quaranta falò che ardono in vari punti del paese. Poi il tutto si scompone e in un clima di gran confusione e allegria inizia la vera festacon eccessi di consumo di vivande e dell’ottimo vino della campagna circostante.Si ha notizia che gli stessi rituali dei fuochisì celebrano in Abruzzo in occasione delle Feste di San Giuseppesempre da parte della civiltà contadinaALTRE FESTE RELIGIOSELa Festa dei Giudeiperònon è la sola a presentare motivi d’interesse etno-antropologico. Per l’antichità della storia di questa terra e per il naturale conservatorismo dei comportamenti religiosiin almeno una dozzina tra le feste dei Nebrodi si sono potute sedimentare e conservare impensabili stratificazioni di cultura religiosa popolareche ne fanno eventi folclorici di profondo significato storico e culturale. Le Feste pagane. In taluni casi si tratta di vere e proprie feste paganeappena dissimulate dalla cornice cristianacome la Festa dei Giudeiche si svolge nella Settimana Santa a S. Fratello ola Festa del Muzzuniche si celebra ad Alcantara li Fusinel solstizio d’estate in coincidenza della festa di S. Giovanni Battista. Più di frequente gli elementi pagani si sono frammisti a quelli cristianideterminando un complesso originale di comportamenti ritualicome avviene nella Festa di S. Sebastiano a Tortorici o in quella di S. Giacomo a Capizzi. A Tortoricisono parte integrante del ciclo dei festeggiamenti dedicati a S. Sebastiano la processione dell’alloro (la domenica che precede il 20 gennaio) è la processione dei Nudiche si svolge in due riprese il 20 gennaio e l’ottava successiva. Vestiti di biancoebbri e scalzi i trentadue “nudi” gestiscono in proprio il simulacro del Santo (senzain pratica l’intervento del clero)portandolo in processione per le vie del paese e facendolo “danzare” prima di riconsegnarlo in chiesa. A Capizzi la festa di S. Giacomo culmina il 26 luglioin un clima d’esaltazione collettivacon l’abbattimento della parete di una piccola casacon la vara (bara) del Santo in guisa d’ariete. La tradizione popolare vuole che al posto della modesta costruzione si trovasse anticamente un tempietto dedicato alla dea Cibeledistrutto dal Santo per testimoniare la vittoria della religione cristiana sul paganesimoma alcuni studiosi nello sfondamento del muro vedono una trasposizione delle falloforie grechecelebrate per propiziare la fertilità. Dalla riuscita dell’operazioneinfattiil popolo s’attende l’abbondanza del raccolto e l’esaudimento delle grazie richieste.Ci appare indubbio che tutte le manifestazioni pagane-religiose “passate in rassegna”attuino un sincretismo originato dal sostrato dell’umanità nel quale si è radicato il ricordo poi sopito dei famosi culti della fertilitàa noi trasmesso in maniera inconsciacosì come si trasmettono i geni ereditari.Non ci si deve stupire o scandalizzare per quest’affermazioneperché conferma un comportamento del tutto legittimo e naturale. Lampanti esempi ci provengono:Dal Giapponedove religioni fra loro diverse possono coesisterenei cittadini del Sol Levante e non è infrequente il fatto che templi buddisti e scintoisti sono costruiti uno accanto all’altro. I Giapponesi non trovano nulla di strano nell’amalgamare i precetti di entrambe le religioni nel loro stile di vitacosì come nel fare proprio qualcosa della sensibilità cristiana. In praticail sincretismo religioso sarebbe parte di un altro più ampio di natura culturalein netto contrasto con altre culture dove le questioni di fede come in Kossovo sono usate per dividere i popoli.Dalle isole caraibiche di Cubadove la Santeria importata dagli schiavi nigeriani nel secolo XVII convive tranquillamente con il Cristianesimoil cui nome dei propri santi è stato dato alle loro antiche divinitàin onore dei quali però continuano a celebrare i loro riti e di Haiti dove si pratica il culto vudù.Dal Brasile dove si celebrano i riti del candomblé o macumbaoccultando così le loro pratiche magico-religioseeppure non c’è una persona che pratica questi ritiche non è battezzata: la Chiesa per ragioni d’ecumenismo “chiude un occhio” etalvolta entrambi.FESTE TIPICHE ESTINTE ED ESISTENTI ASSIMILABILI AI CANDELIERI DI SASSARIDENOMINAZIONE LOCALITA’ DATA D’’ORIGINE FESTEGGIATO MOTIVAZIONI_______________________________________________________________________________________________________Candelieri Sassari Anno 1540 Vergine Assunta Grazia ricevutaCandelieri Pisa Anteriore al 1285 Vergine Assunta Devozione.Candelieri Iglesias Verso il 1285 Vergine Assunta DevozioneCandelore Catania Anno 1126 S. Agata Grazia ricevutaCarnevale Bosa Imprecisata Festività (*)Ceri Gubbio Anno 1160 S. Ubaldo Grazia ricevutaCilii Noto Anno 1636 S. Corrado Confalonieri Devozione.Gigli Nola Anno 431 Paolino Vescovo Grazia ricevuta.Giudei S. Fratello Imprecisata Passione Cristo ConsuetudineLu Muzzuni Alcara li Fusi Imprecisata S. Giovanni Battista Devozione.Macchina S. Rosa Viterbo Anno 1664 Santa Rosa Grazia ricevutaMisteri Campobasso Anno 1264 Corpus Domini Devozione.Misteri Trapani Imprecisata S. Gabriele Arcangelo Devozione.Sagra Varie località Imprecisata S. Antonio abate Tradizione.Sagra Varie località Imprecisata S. Giovanni Battista Tradizione.Segavecchia Forlimpopoli Imprecisata La Natura Festa della fertilità.Vara Messina Anno 1535 Carlo V Tributo di fedeltà.Varia Palmi (ME) Imprecisata Madonna Assunta Devozione.Feste d’origine pagano-falloforichesostitutive dei riti della fertilità e delle Grandi Madricome le su elencatesono praticate un po’ ovunque in SardegnaSicilia e nell’Italia Centraleconfermando la diffusione del rito e l’apprezzamento.Non è possibile definire riferimenti storici precisigiacché le manifestazioni popolari di festa orgiastica e licenziosa sono sempre state praticate in sordina in piccole comunità ed hanno acquistato dignità d’effettuazione diffusa soltanto dopo che si è risolto il contrasto del cristianesimo alla propria supervisione e moderazioneche non ha abolito il rito anticoma lo ha guidato ad essere variamente praticato (CandelieriCiliiCandelore e altro) restando intatto il valore simbolico del manufatto recato in processione.(*) San Gregorio Magno (590-604 D.C.) invitò ospitoneDuce dei Barbaricini a porre fine ai riti pagani.SINCRETISMOEsaminando attentamente i pur diversi riti che si celebrano nelle sagre “passate in rassegna”noi non possiamo fare a meno di costatare che essi sono permeati di sincretismoche il redattore della pagina Web http://www.Sicretismo-glossario.htm così definisce.“ … Sincretismo significa fusionemescolanza tra ideepratiche e credenze appartenenti a diverse tradizioni religiose. I sostenitori del sincretismo religiososostengono che l’idea di Dio fa parte delle immagini simboliche che gli esseri umani hanno elaborato nel corso della loro storiaper dare valore alle contraddizioni tra la vita e la mortema non è per niente strano che simboli appartenenti a religioni diverse possano sovrapporsi fino ad identificarsi.” Tutto ciò a prescindere dalle altre disquisizioni d’ordine religioso e spirituale.Il settimanale CORRIERE DI SALUZZO del 19 gennaio 2001 – Società e Culturaarticolo a cura di Laura Rossiprecisa:“ … In altre parolein praticail sincretismo prende elementi delle varie realtàli mette insieme e crea una nuova concezione filosoficareligiosa o quant’altro. In questo modo il sincretismo è un atteggiamento riduttivo nei confronti delle forme dottrinali originarie da cui trae gli elementi perché li riduceli svuota di significato per crearne uno nuovo. …”Al fine di dimostrare come fosse facile attuare tale sincretismo ci riferiamo a quanto affermò lo studioso tedescoErwin Panofskyil quale evidenziò che nella città di Romafra il I e IV secolo dopo Cristosotto l’avvento del cristianesimocome ad una statua d’Apollo era sufficiente sostituire la corona d’alloro con una di spineper farne un Cristo. Tale fenomeno Panofski lo denominò “disgiunzione”. La mostra tenutasi a Roma al Palazzo delle Esposizioni sino al 20 aprile 2001mostrò quanto sincretismo esistesse per le strade di Roma dove appaiate e astanti s’elevavano anche le statue di Cristo e Apollo. Dal sito Web http://www.italica.rai.it/principali/argomentii/arte/aurearoma.htm.Roberta FidanziaLa religione popolare nel medioevohttp://www.storiaonline.org/a.religione.htm – Pubblicato il 24.02.2001afferma:“ … La Chiesa combatterà contro questi riti cercando in tutti i modi di distruggerli associandoli alle forze negative dei demoni.La magia diventa quindi una specie d’inganno diabolico che per lungo tempo ha allontanato gli uomini da Dio. Tutti gli dei paganiper i cristianinon sono divinità ma diavoli.Il pagano convertito al cristianesimoperònon dimentica il suo passato di pagano. Si rammenta del fatto che certe praticheche la Chiesa definisce superstizionialcuni riti e formule possono aiutarlo anche in casi disperati. Prima di abbandonarsi alla volontà del Dio cristianoè facilequindiche nei casi d’estremo bisognosenta la necessità anche di questi riti della sua precedente esistenza pagana.La Chiesadunquecon il passare dei secoliparadossalmente s’impossessa di certi riti pagani cristianizzandoli. Per esempio il caso delle ordalie (o giudizio di Dio: n. d. AA.). Con esse “fu riconosciuto il fatto che Diogiudice giusto ed onnipotentedava ragione soprannaturalmente a colui che vinceva la prova”. La Chiesadunques’avvaleva di una procedura pagana per attestare la veritàma la cristianizzava inserendola in una dimensione religiosa“che serve ad annullare la necessità di ricorrere al paganesimoalla magia”. Queste esigenze nascono dal fatto che la mentalità dell’epoca era ancora pervasa d’elementi magici e si può affermare che n’avesse bisognoperciò la Chiesa rende questi elementi liturgici. “La Chiesa elabora tutta una serie di preghiere che non solo mira a sacralizzare la provama anche ad impedire che la vittoria avvenga con l’aiuto di mezzi magici”…”.Sì può quindi tranquillamente affermare che il politeismo strutturalmente non è mai mortoné è relativamente scomparsa la cultura portanteproprio per merito dalla Chiesa seppure a suo tempo fosse stata fortemente criticata per un comportamento non ortodossoche non sta a noi giudicarema forse è stato meglio così per tante stupende sagre che continuano a vivereappagando lo spirito e rallegrando i cuori con i loro caratteri ludici.NELLE LOCALITA’ INDICATE IN CARTINA OLA RELATIVA PROVINCIA PER QUELLE OMESSE – EVIDENZIATE IN ROSSO - SI’ CELEBRANO SAGRE SIMILARI A QUELLE DEI CANDELIERI DI SASSARIORIGINE DEI CANDELIERIMISTERO E VERITA’ SU UN ANTICO RITOLo storico Tola afferma che la Festa dei Candelieri fu istituita nel 1580anno della pestee rinnovata nel 1652data in cui Quesada Pilola vuole iniziata.Angius concorda con Tolama obietta che il vero anno della peste è il 1583non il 1580.Costa afferma. Sempre nella succitata opera:“… dopo mie ricerche personalisono riuscito a persuadermi che i Candelieri e il votosono due avvenimenti ben distinti. I Candelieri sassaresi rimontano almeno al secolo XIIIal tempo del dominio pisano e per quanto s’attiene al voto pronunciato dalla cittàè anch’esso d’origine remota; poiché cenno dei Candelieri io trovo nell’archivio municipale molto prima dell’anno 1580 indicato da Tola. Esporrò qui il risultato delle mie ricerche che si lasciano interamente all’apprezzamento dei lettori”. Prosegue Tola:“Fin dal 1902 (nel giornale La Nuova Sardegna) dimostrai l’origine pisana dei Candeliericon documenti che riassumerò brevemente.Nella seconda metà del secolo XIII (1250-1290) la città di Sassari si trovava sotto il dominio dei pisani. Nell’Archivio Comunale non esistono più documenti di quell’epocama si conservano però gli Statuti della Villa d’Iglesiasanch’essa pisana verso il 1285perché sottoposta alla signoria dell’Ugolino Conte della Gherardesca. In codesti Statuti (confermati da Don Alfonso d’Aragona nel 1327)c’è un lungo Capitolo in cui si dettavano norme per costruire i candeli o candelecti (indubbiamente i candelieri odierni)che dovevano portarsi in chiesa da altrettante corporazioni o maestranzenel giorno sacro alla Vergine Assunta (forse una trasposizione dell’antico culto alla Gran Madre: n. d. AA).Questo capitolo è scritto in volgare pisano e né riporto qualche brano:“Ordiniamo che li candeli che si faranno a honoris et reverencia de la Nostra Donna Vergine Madonna sancta del mezo di gosto (sic) si devono fare candili octo di cerain praticauno per l’Università di detta Villa (il Comune ossia il popolo) la quale possa gostare piò di libbre 25 d’Alfonsini minuti et quattrovale a dire uno per ogni quartieredi 40 Alfonsini … Li quali Candelecti debbiano venire in detta piassa della Corte la sera che si denno presentare et offerire all’Eclesia di Sancta Chiara. Et quando muoveranno de la ditta piassa per andare alla chiesavada innanzilo candelecto dell’Università (Comunità); secondo quello della Montagna (operai e minatori delle miniere): Poi quelli delle Corporazioni dei quattro quartieri cittàdini (in pratica di Santa Chiaradi Mezzodi Fontana e di Castello) settimoquello dei Vinajoli (tavernai)ottavo quello dei lavoratori (e tra essi i fonditori ed altri impiegati delle miniere) …”.Il Codice prescrive ancora di costruire quello della Montagna como a loro parrà piò bello e per tutti s’ordina che la cera sia lavorata a fioretti senza mistura alcunasalvo colore da pingerema c’è di più: negli Statuti si fa menzione dei fusti vecchi da adoperarsi in luogo di li novi che fare si dovrannoe ceri da mettersi sopra le trabacchele quali devono custodirsi quanto li candelecti che s’offriranno.È dunque certo che i “Candelecti” consistevano in ceri colorati ed a fiorettida collocarsi sulle trabacche(forse speciali piedistalli di legno) per essere trasportati a braccio(mediante stanghe infilate nelle trabacche) ed offerti dalle otto Corporazioni alla Chiesaprecisamente come s’usava a Sassari nel secolo XVII.Rechiamoci però da Iglesias a Pisa nello stesso periodo. Lo storico Tronciaccennando all’impresa fallita dei fiorentiniche nel 1291 volevano invadere la città di Pisadescrive le feste celebrate in quell’occasione:“Et avvicinandosi la Festa dell’Assunzione (antica resurrezione degli idoli pagani: (n. d. AA)della gloriosissima Verginesolennissima nella città di Pisas’andava preparando per celebrarla con la solita magnificenza”. A questo punto scrive dei venti giovinetti che uscivano a cavallocoperti di panno scarlattorecanti due bandiere: quella della Comunità e quella del Popoloquindi sono descritti i tre premi per la corsa dei barberidue formati da drappi di velluto e di seta (da qui la denominazione di “palio o drappo” – n. d. a.) ed un terzo un premio di scherzovale a dire una coppia d’oche ed una resta d’aglio.Dopo di chegli anziani si recavano al Duomopreceduti dai donzelli e dai “trombetta”accompagnati dai Capitani e le loro masnade; e dopo la funzione in chiesa avveniva la processionecon le Corporazioniil CleroL’Arcivescovogli Anzianiil Podestà e altritutti con li candeli accesi.“La mattina della festa dell’Assunta (dice ancora la relazione) s’offrivano i ceri sopra le trabaccheportate da giovani vestiti in livrea con pompa magna; seguivano gli Anzianiil Podestàil Capitanola masnada a cavalloe poco dopo seguivano tutte le arti (Maestranze) portando ciascuno il suo grosso cero miniato …. Eseguita l’offertauscivano ad accompagnare la Cintura d’Argentoportata con gran pompa sopra una carretta ….Il giorno dopoognuno si procurava un posto a sedere per vedere correre i palii e c’erano numerosi concorrenti anche dai paesi vicini …”.Chi non trova un’intima relazione fra i Candelieri di Sassarili candelectiTrabacche d’Iglesias e di Pisa nella Festa dell’Assunta del mezo di gosto? (agosto).I Gremi sardi associarono più tardi la festa dell’Assunta al voto della peste: trovoinfattinei citati annali di Troncil’anno 1383 che la peste era scoppiata in Pisa“et ognuno si raccomandava all’intercessione della Santissima Vergineportando candele di cera accesegrosse o piccolesecondo la possibilità delle persone” (Negli Annali Pisani del Tronci s’afferma che la festa dei Candelieri pisani fu istituita nel 1291quale ringraziamento alla Vergine per lo scampato pericolo dell’invasione della città da parte dei fiorentini.)Avevo già esternato questa mia opinione fin dal 1902quandoparecchi anni dopolessi in una lettera di Lodovico Ballediretta a Don Pasquale Tola il 26 luglio del 1828 (Am.) “Io credo la festa dell’Assunzione anticamente pisanaed è ciò che io scoprirò dal confronto delle loro circostanze … “.Non mi sembra dunque un giudizio avventato l’ammettere che i Candelieri di Sassari e quelli d’Iglesias furono copiati da quelli di Pisaquando sotto i Pisani si trovava la Sardegna del secolo XIII. D’altra parte molte feste quasi simili a quella dei Candelieri si celebrano in molte parti d’Italia.Combatterò ora l’opinione di Tolarilevando come i Candelieri di Sassari e con essi forse il votorisalgono di là dal 1580anno in cui Tola li interpreta istituiti.In un libro dell’Archivio Comunale trovai una preziosa Ordinazione del 5 agosto 1531la quale stabilisce l’ordine da seguirsi nell’entrata degli otto Candelieri alla Chiesa di Santa Maria. La trascrivo integralmente:“Notacio gue se fa del modo los Candalers de N. S. de mij agost se offerensen costumen entrar en lla iglesia de Nuestra Senora de Betlè quescunm any; y se fa esta nota a IV (4) de agost de MDXXXI (1531) …El primo entra lo candaler del poble (agricoltori); el segon entra lo dels mercadersel tercio lo dels satres (sarti). El quarto lo dels sabateres (calzolai) ”. Per questi ultimi due è detto anche che ogni anno devono alternarsi nella preminenza. Seguono poi i Candelieri del fusters (falegnami); pastorsortholans y carradors. Aggiunge che quest’ordinazione si fa per le gare che ciascun anno avvengono sobra desta entradareggendo il Canceller en Cabo Don Juanne Manca (Am.).”Prosegue Tola:“Qui richiamo il lettore ad un’importantissima notizia da me accennataparlando della Cattedrale. È che nel 1598 los massaios (agricoltori) avevano riottenuto una Cappella com’era stata posseduta dai loro predecessori della Confraria del Popolo per molti anni addietro e in tempi lontanisotto l’invocazione della Madonna del Popolotitolo dato alla Cattedrale per la Vergine che si venera ancora sull’Altare Maggiore.Non pare a voidi trovare un nesso in questo gremio principale detto del popolocon le maestranze dello stesso cui si concedeva un posto distinto in Iglesias e a Pisa? Consideri il lettore come sarebbe più facile ricostruire la storia se s’avessero tutti quei documenti che furono distrutti o andarono perduti nel volgere dei secoli e quanto sia difficile trovare le scarse e brevi notiziecollegarle e svolgerle senza alterarle.Quanto io ebbi la fortuna di trovare sui Candelieri per la cessazione delle peste fu fatto più voltee più volte sospeso e da ciò l’errore di Quesada Pilo che li ritiene istituiti nel 1652. Certamente da qualche tempoallorala cerimonia votiva non si celebrava più e questo spiega forse il silenzio dello storico Vico che nel 1638 non ne fa nemmeno menzione e che i Candelieri esistessero prima del 1531 s’evince anche da una relazione del 1694in cui si dichiara che mancano in Archivio le carte per stabilire la data della fondazionema si testifica che da un libro del 1504 (oggi perduto) era che in tale anno la città nominava los obreros de los Candaleroso colunnas coronadas y bien aderocadas que llevan los pastoreslos carradoreslos sapateroslos ortholanoslos sastrelos alvaniles y carpintieroslos labradores y los mercaderes”.In molte relazioni dei Consiglieri di Sassari al Viceréverso lo stesso anno 1694 io leggo: “Por mas de cien y cinquanta anos tiene esta ciudad per voto indispensable de festejar l’Assunzione llevando la vigilia alla chiesa di S. Maria octos colunnas o candeleros …”.È chiaro che con quel più di cento cinquant’annisi risaliva già al 1540ma quei consiglierianche retrocedendo di 40 anni la data di là dal tempo indicato da Tolaloro ignoravano la vera origine della cerimonia per le lunghe interruzioni avvenute.Dalle memorie del frate claustrale Spanoscritte nel 1693Sisco toglie la notiziache per la cessazione di due pesti il popolo recava a S. Maria otto cerie per comune allegriaportavano anche (?) una colonna con nastrie che questa funzione era celebrata per le tre pesti del 15041514 e 1652. Si noti la peste del 1504com’è dal documento originale accennato dal Municipio nel 1694; e più i candelieriindipendenti dai cerei che si recavano a parte.Tanto Tola che Angiuscome pure altriscrisse che in origine i Candelieri erano di cerae che in seguito si costruirono di legnofino al 1848 in cui si riprese l’antica usanzama ciò non è esatto eanche nel 1718 si trattò di tornare alla vecchia usanza. In seduta del 22 febbraioil Consiglio deliberò a maggioranza di far chiamare tutti gli operai dei Candelieriperché invece del solito oggettocomprassero ciascuno un sirio de sinco libras per offrirlo alla Madonnael dia che il Magistrato Civico soleva recarsi a Santa Maria. Certo è che ben presto si fece ritorno alle colonne di legno perché la festa riusciva più bella ed attraentee perché la cera costava quanto un occhio a Sassari ed’ordinario si faceva venire dal Continente.Naturalmente i frati erano scontenti poiché i cerei s’offrivano sul serio alla Chiesamentre le colonne si portavano via.Trovo nell’archivio altri appunti che gettano ulteriore luce ed ombra sulla strana funzione dei Candelieri.Il 24 marzo 1545 si nominano obreros de los Candaleros Pedru ParuncelloBattista Culozzo e Giovanni Reis.Fra le spese del 1545 si notano 40 soldi corrisposti a soso operaios dessu Candaleri dessos mercates secundu su acostumadu.Altre lire sarde 36 si pagano il 15 giugno 1557 per faguer ses candaleris qui han servidu su die dessu Santissimu Corpus de Cristu et ottavacome ogni anno sogliono farsi. Parrebbe dunque che i Candelieri prendessero parte alla processione del Corpus dominisalvo che non si tratti di candele o ceri votivi soltantoinfattinel 1557 noi abbiamo altra nota pro sos Candaleris fatti pro Misereredi dieci libre e un’oncia di ceraa soldi 19 la librama come spiegare allora il Candeliere dei Mercanti nel 1545?Il CandeliereIl Candeliere ocolunna incoronadaè composto di tre parti: la basealla quale s’innestano le stanghe per essere trasportato; il fusto cilindricosu cui è dipinta l’effigie del Santo o meglio della Madonna Patrona del Gremiocon vari ornati in colore e la parte superiore. Il fusto o colonnasovrapposta alla baseha un capitello in maggioranza esagonalesul quale si sistemano numerose banderuole d’orpello e di broccato ein quello degli agricoltoria ciascuna banderuola s’unisce una spiga di grano.Alla base di detti capitelli s’attaccanotutti intornoinnumerevoli e lunghissimi nastri di vari coloriciascuno dei quali è tenuto teso da un membro del rispettivo gremio checon opportune manovreprocura che stia il più in alto possibile in posizione verticalesenza sbandamenti e in giusta tensione.Nel candeliere di calzolai si nota questa curiosità: invece dei nastri di setadetti vetti o bola bolapartono da esso lunghe fettucce di cotonedai vivaci e stridenti colorisono le stesse fettucce che si usano per ricavare i cosiddetti “tiranti” degli stivali.Il cilindro ligneo dei sarti è sormontato da un braciere di rame con fregidentro il quale arde per tutta la sfilatauna fiamma alimentata da della stoppa imbevuta d’olio.I nastri sono in tutti lunghissimipersino venti o trenta metritalché è veramente pittoresco vederli ondeggiare sulla folla quando i candelieri sfilano per le vie della cittàal caratteristico suono dei pifferi e dei tamburi (Tola sostiene che possano simboleggiare i raggi di luce che s’irradiano verso il basso ad illuminare gli affiliati al “gremio”. Soltanto il Candeliere degli agricoltoridetto del poblenon possedeva nastri e in loro vece al capitello era fissato un mazzo di spighe e di fiori d’oleandro: attualmente però anche questo candelo è munito di nastri).Dietro a ciascun candeliere sul quale sono dipinti degli emblemi o gli strumenti di lavoroatti ad individuare la “corporazione” alla quale appartengonova l’Operaio maggiore del suo Gremio egli operai minoritutti vestitisalvo leggere varianti che noteremodi raso neroalla spagnolacon giustacuore dalle maniche a sbuffibavero o gorgiera biancaspadino alla cinturalunga cappa e sombrero alla moda detta di Don Basilio.Sin dal 1855unitamente a quelli ufficiale fecero la comparsa dei piccoli candelieri (candalereddi) che però furono poi sospesi perché ritenuti d’impaccio e motivo di rallentamento nel procedere della sfilata. Attualmente tale consuetudine è stata ripresa con notevole entusiasmo da parte dei piccoli fedeli.Questo costumeportato con gravitàquasi solenneè comune a tutti i Gremisalvo che l’operaio maggiore non indossa la cappama pugnale alla cintola e lunga spada. Originale tra tutti è l’antico costume degli agricoltori portato ora da Viandanti econsistente nel tradizionale cugliettospecie di sottoveste di pelle giallognolacome quella di dainoaderente alla vita per mezzo di una cintura e attraversata di sbieco sul petto da un’altra fascia. Su questa sottovesteche scende oltre le ginocchiai Parai indossano il tradizionale abito a falde e la lunga cappa. Ora i Massai vestono l’attillato abito a coda di rondine con spadino e una specie di feluca per copricapo.Tutti indistintamentecapi o semplici operaiportano calzoncini corti e calze aderenti al polpaccio.Ciascun Gremio possiede una bandiera propriache è portata in tutte le processionima quidietro i Candelierii Parai portano piccole bandiere di broccatocon ricche frangeche in maggioranza recano dipinta nel centro la sacra Immagine della Madonna o del santo sotto la cui protezioneè posto il Gremio.La bandiera grande è una soladi seta biancacon l’asta d’argento sormontata da una statuetta della Madonnasempre adorna nel giorno della festa da un piccolo mazzo di fiori. È quella del gremio degli agricoltoriche durante la mattina del giorno 14 loro portanosmontata al Palazzo Municipalesul cui balcone sventola assieme a quella della Nazione e della Città ed è consegnatapoidal rappresentante del Comuneall’Operaio Maggiorequando la processione dei Candelieripartita dalla Chiesa del Rosario(anticamente di S. Caterina). Dopo essere discesa lungo il Corsosi ferma davanti al Civico Palazzo (anticamente Palazzo Civico).Compiuto l’atto di consegna della bandierail Sindaco (Capo Giurato un tempo) con gli altri rappresentanti del Comunepreceduti dai Mazzieri con le mazze d’argentos’uniscono al corteo che continua a sfilare giù per il Corsoper Porta S. Antoniofino a S. Maria. (Non si può omettere di citare che la danza e le evoluzioni che dai portatori sono impresse a ciascun candelieresono ritmate dal suono e dal rullare continuo dei pifferi e dei tamburi).Gli unici strumenti suddetti scandisconoin particolare il tamburoil ritmo della danza dei Candelieridetta lu ballu.. I loro suonatori detti tamburinaggiu e pifferaggiusono delle figure molto caratteristiche ed accompagnano con il suono dei loro strumenti le manifestazioni pubbliche laiche e religiose: nei tempi andati assolvevano anche il compito di banditoriannunziando lieti e tristi avvenimenti.Qui arrivati i sette candelieri si schierano nel piazzale per lasciare accedere in chiesa per primo quello dei Massaied entrati nel tempiotutti e otto si dispongono intorno al letto dell’Assunta.Non senza un gran significato morale è questa precedenzadetto onore tributato al Gremio degli Agricoltori: esso è come un riconoscimento di benemerenzaun attestato di gratitudine alla nobile fatica che col sudore della fronte trae dalla terra il pane così necessario all’uomo.In relazione a questo tacito omaggio che Sassari giustamente concede ai suoi agricoltoriè bene ricordare quanto lo storico Siotto Pintoraffermava nella sua Relazione al Consiglio Divisionale di Cagliariparlando dei Monti granatici:“Non è a casoné per vana e ridicola consuetudine dei nostri antichiche il Candeliere dei Massai ha la precedenza sopra di quelli degli altri Gremi d’arti e mestieri. Dinanzi alla Chiesa di Santa Maria come alla presenza della meta d’ogni umano perfezionamentos’avvera la massima evangelica: i primi saranno gli ultimi e questi i primi”.Finita la cerimoniail Gremio degli Agricoltori riaccompagna i Consiglieri sino alla Casa Comunaledove sono offerti dei rinfreschivini e dolci a tutti gli intervenuti. Tale cerimonia è mantenuta sino ad oggi.Le colonne coronaterappresentano in fondo un grosso cero ele molte banderuole d’orpello che adornano il capitellonon fanno che imitare la fiamma. La parte inferiore secondo menon è altro che l’antica trabacca pisanaossia il candeliere che sostiene il cero.Fu detto e scritto che in origine il voto di ringraziamento era quellodi portare a S. Maria (ogni Gremio per parte sua) un cero di cento libreche in seguito si sostituì con una colonna di legnomolto più economica e appariscente (anche cosìforsesi gabbavano i santi: n. d. a.). Più volte si tentò di ritornare all’anticoma la sostituzione non tardò ad essere abbandonata. Si pensò talvolta di renderli più semplici “sopprimendo i nastrile bandiere e soprattutto quell’improprietà e indecenza dei facchini cherecando a spalla questi pesanti candelieriavviliscono e turbano una così devota funzione; potendo inveceresi più snelli e leggeriessere trasportati da due persone con abito della Confraternitasenza insegna e da altri e due soggetti dello stesso Gremio”. La proposta era molto sensata … ma non se ne fece nulla.A proposito dei facchini fornisco un particolare che si trova nella lettera di Basile del 26 luglio 1828da me altrove citata. Egli scrive:“Io ebbi dal defunto Don Maurizio Scardaccio una notizia che non mi è riuscito a verificare. Egli mi narrava che ai portatori del Candelierein anticosi donava una scarpa nuova e quattro reali in danaro per l’acquisto dell’altra”. Io non dubito del fattopoiché lo scherzo era assai comune nelle feste predilette dei sassaresi dei quali è ben conosciuto lo spirito umoristico. Il 1° agosto 1848il Municipio scrive all’Arcivescovo Varesini per gli ordini da impartire al clero ed alle croci parrocchiali che devono assistere alla discesa e presentazione dei Ceriche si sostituiscono agli antichi Candelieriper rendere a questa pia funzione l’aspetto devoto e decente (Am.).In altra letteradiretta ugualmente all’Arcivescovoil 20 luglio dell’anno successivo (1849)si afferma che il Consiglio “dopo mature discussionitrovò l’innovazione più coerente al gusto del secolo (?) e a conservare la decenza; e perciò ha stabilito d’osservarsi nel presente anno e nei successivi in perpetuo una tale innovazione” (Am).Questa perpetuità però durò pochi anni. I Candelieri anzi si sospesero del tutto fino al 1856 in cui i Gremi reclamarono l’antica cerimoniadopo la strage compiuta dal colera nel 1855né mancò chi attribuì appunto a quest’omissione il flagello che aveva funestato la città.L’ordine di sfilata dei Candelieriad eccezione di quello dei Massai che è rimasto sempre ugualenel corso dei secoli ha subito alcune variazioniscissioni ed anche sostituzioni è attualmente il seguente: 1) Piccapidreri (piccapietre) – 2) Viaggianti (viandanti) – 3) Zappadori (contadini) – 4) Masthri d’ascia (falegnami) – 5) Urthurani (ortolani) – 6)Cazzuraggi (calzolai) - 7) Trapperi (Sarti) - 8) Frabigamuri (muratori) - 9) Massai (agricoltori).Affermerò in ultimo che Candelieri quasi identici a quelli di Sassari sono ancora in uso a Ploaghead Ozieri econ maggiore pompa a Nulvi. Soltanto in Ploaghe i Candelieri sono duequello degli Agricoltori e dei Pastori; Ozieri ne possiede trei due suddetti più quello delle altre maestranze in comune. I Candelieri di Nulvi sono tre come quelli d’Ozieri ed hanno una forma speciale: sono piattigiganteschi e ornati d’arabeschi in cartapesta e di statuette.La particolarità dei Candelieri di Ploaghe è che sono portati in chiesa per quattro volte l’annonella festa dell’Assunta e del Corpus Domini e nelle rispettive ottave. Ciò fa pensare che anche a Sassari si facesse altrettantoe spiega pure la notizia sui Candeleris dessu Corpu de Cristu et octavada me trovata nella carta del 15 giugno 1557 (Am.)Io li credo costruiti tutti ad imitazione di Sassaridopo la peste del 1652che fece molta strage anche in quelle tre ville.” Termina Costa.* * *Accertata la provenienza del rito dei Candelieri sassaresi da Pisa: si tratterebbein altre paroledi una tradizione introdotta in Sassari dai podestà pisani fra il 1250 e il 1290 e inerente ad una processione celebrata nell’Alto Medioevo in onore della Vergine Mariaalla quale poi i sassaresi abbinarono quella relativa all’assolvimento del voto pronunciato in occasione dell’epidemia di peste su citatasorge spontanea una domanda: ”Come giunse in questa città il culto pagano della fertilità dal quale deriva?Iniziamo con il rispondere che sebbene la storia dell’origine di Pisa è poco notamolti pensano che abbia avuto origine da parte degli Etruschialtri dai Greci e altri ulteriormente dai popoli Liguri.Sembra però che Pisa sia più antica di Roma e addirittura la più vecchia delle città marittime d’Italia e d’Europa. Il suo nome è antichissimo e pare che derivi da una parola greca il cui significato era “prateria” o “delta”: ciò potrebbe significare che i Pisaniabbiano ben conosciuto l’antica civiltà Greca nella quale maggiormente si diffuse il culto del dio Dioniso e i riti misteriosi e falloforici celebrati in suo onore.Seguiamo coll’affermare che Pisa etruscacommerciava attivamente e le sue navi solcavano i mari sempre cariche di prodotti che essa ricavava dalle sue ricche colline.In epoca romana la città in questione accettò di essere governata da Romala quale garantiva sicurezza e le permise di divenire uno dei centri più importanti della repubblicatanto che si arricchì di templipalazziterme e strade.Dopo la distruzione di Cartagine a causa dei Romanicoi quali i Pisani collaborarono in maniera notevolenon essendo stati però ricompensati adeguatamentesi ribellarono. Roma rimediò nominando Pisa colonia militare.Sotto l’impero d’Augusto Pisa raggiunse un’enorme potenza. I Pisani solcavano il mare in lungo e in largo e risalivano anche il Rodanospingendosi fino all’Oceano Atlantico lungo le coste dell’Africaa sud e fino alle Coste britanniche verso nord.La decadenza dell’impero di Carlo Magno e le lotte fra città rivali favorirono gli attacchi corsariche Pisa combatté dapprima con interventi modesti e in seguito sempre più audaci.Nell’anno 828 il Marchese Bonifacio allestì una piccola flotta e compì la sua prima mossa. Partendo dal porto pisano sbarcò tra Ustica e Cartagine in Africa e durante un aspro combattimento tenne testa ai Saraceni.Verso il 1000 i Saraceniguidati dal re Musetto si stabilirono nella Corsica e nella Sardegna e successivamente invasero il territorio romano. Il Papa fu costretto a fuggire ma i Pisani andarono in suo aiuto: l’ammiraglio Orlandi con una flotta di navi scelte sbarcò a Civitavecchiavincendo e catturando 18 navigli nemici e molti prigionieri riuscendo anche a riconquistare la Sardegna.Altre imprese vittoriose portarono alla conquista di ReggioAmalteaTropea e Nicotera.Successivamente Musetto riconquistò la Sardegna e ancora una volta i Pisani dovettero accorrere unitamente ai Genovesi a liberare l’isola.Nel 1050ancora una voltaMusetto s’impadronì della Sardegna e s’incoronò re; Papa Leone IX chiese di nuovo l’aiuto dei Pisani che fecero rotta verso l’isola ma i venti li spinsero verso la Corsica. I Pisani furono accolti bene e v’impiantarono le insegne del proprio dominiomentre Musetto si diede alla fuga e lasciò di nuovo la Sardegna ai Pisani nel 1052.Nel 1063 i Pisani conquistarono Palermo e ciò procurò loro molte ricchezze.Concludiamo col porre in evidenza di come i Pisani ebbero contatti con numerosi altri popoliquindi con i relativi miti e riti e non si può escludere che anche loro abbiano ereditato quelli arcaici della Gran Madre Natura e della fertilitàpoi emendati e santificati dal cristianesimo.Giunti a questo puntosi ritiene d’effettuare una sosta di carattere descrittivopoiché come gli AAqualche lettore si sarà posta la domanda: “Perché quando si vuole ingraziare o esprimere riconoscenza al divino s’accende o s’offre un cero o candelapossibilmente accesi?”Riteniamo che in merito si possano formulare delle risposte d’ordine materiale e spirituale.Nel primo casoda sempre esiste la consuetudinequando si tratta d’ottenere un qualcosa d’essenziale per l’esistenza di prometterein particolare alla divinitàdi ringraziarla a voto esaudito con qualcosa di prezioso ed alloraspecialmente nei tempi antichidopo gli orii gioielli e gli argentifra le altre materie preziose seguiva la cera (abbiamo visto più sopra quanto brigava il Comune di Sassaridato il suo costoper risparmiare sull’acquisto e così dicasi per i gremi e le corporazioni che dovevano assolvere il vototanto che si giunse a sostituire i candelieri con dei cilindri lignei.Nel secondo di natura spiritualela materia di cui è costituito il cero è fra le più pure esistenti in materia e simboleggia la sincerità dei sentimenti; la sua fiamma rischiara le tenebre la fuga del “male”e il suo volgere verso l’alto l’aspirazione a raggiungere l’entità soprannaturalema soprattutto: la vivida e fervente fede in lei. Ciòprobabilmenteriassume anche il cero pasquale della religione cristiana.La Chiesa di Santa Maria· Campu Longu· La Madonna DormienteL’odierna Chiesa di Santa Maria di Bethlemall’interno della quale si svolge il rito di mezz’agosto dell’offerta dei candelierisorge in un antico luogo di culto che era conosciuto con il nome di “Campu Longu”.Campu Longu – spiegano gli studiosi di tradizioni popolari –era un immenso sitoattorno all’attuale cattedrale dove anticamente i pellegrini si radunavano per celebrare riti propiziatori e di fecondità. La principale caratteristica di Campu Longu era la ricchezza d’acquesimbolo di fertilità e di purificazione. Pare che i pellegrini giungessero da tutto il circondarioa piedi o sulle loro cavalcature per partecipare alla veglia notturna di mezz’agosto nel corso della quale si svolgeva la cosiddetta “incunatio”rito collegato alla presenza purificatrice dell’acqua.I riti cristiani che si sono sovrapposti al paganesimo delle popolazioni residenti in questo territorio si sono fusiin modo visibile alle tradizioni e alle credenze della gentein un processo che gli studiosi definiscono di “sincresi”. Ovunque la Religione Cristiana ha cercato di sradicare e d’inibire questo tipo d’interferenze paganeche avrebbero potuto intaccare l’integrità della fede cristiana e anche i riti di Campu Longu subirono nei secoli moltissime trasformazionifino a scomparire completamente.Nei primi anni dell’insediamento dei fratii pellegrini spesso si rifugiavano in chiesa per sfuggire ai malefici delle streghe durante la veglia di mezz’agosto. Furono molti i bandi pubblicicon i quali si proibiva alla popolazione di rifugiarsi all’interno della chiesa dove si predicava quel Vangelo che con l’andare del tempo si sostituì quasi completamente alle vecchie credenze.La memoria di Campu Longu rimaseperòper lungo tempolegata al nome della chiesa che nel corso dei secoli fu chiamata Nostra Donna del Bosco (AngiusCossu e Lamarmora).Non a caso i frati avrebbero scelto quell’antico luogo di culto perfettamente adeguato alla loro “regola” di vita (che imponeva lavoro e dunque ampi spazi di movimento) esoprattutto prezioso dal punto di vista strategico per l’evangelizzazione di un popolo cheda secoli vi si radunava spontaneamente.Secondo un’antica tradizione dove sorge oggi la cattedrale cresceva un bosco di ginepri dove fu rinvenuto il simulacro della Vergine Santa. Per questo motivo i fedeli edificarono in quel luogo una chiesetta dedicata alla Madonna.La Chiesa di Santa Maria di Bethlem fu edificata certamente prima della morte di San Francesco (1226)poiché tutte le chiese affidate all’Ordine Francescano ocostruite mentre il santo era in vita furono intitolate alla Madre di Dio e soltanto dopo la morte di San Francescopresero il suo nome. La data di costruzione della chiesa è confermata dai tre emblemi araldici scolpiti nella facciatasul lato destro e sopra la zoccolatura. Il primo (tre sbarre oblique) appartenente ai Ghibelliniil secondo (un gallo) appartenente ad Ubaldo Visconti di Galluramarito d’Adelasia di Torres e deceduto nel 1238il terzo (numero sei ciotole con dentro una moneta) è l’insegna della marcatura dei banchieri.Non a caso la processione della tradizione offerta dei candelieri coincide con la veglia di mezz’agosto e si conclude proprio all’interno di questa chiesa la cui importanza fu rafforzata nel periodo della dominazione pisana con la fondazionea Pisadell’Opera di Santa Maria. A Sassaridunque la chiesa di S. Maria assume un’importanza fondamentale collegata all’attività delle neonate “confrarie” d’arti e mestierianche questecome del resto l’offerta dei cerid’impostazione pisana.La Madonna Dormiente.La documentazione locale scritta non fornisce elementi sufficienti per la datazione della festività sassarese di mezz’agosto. Si ritiene in ogni modo che le celebrazioni procedano di pari passo con l’affermarsi del culto mariano in Sardegna rafforzatonel IV e V secolo dalle intense immigrazioni monastiche. Già nel V secolo si celebrava il giorno della nascita di Santa Maria chestando agli scritti apocrifimorì il 16 gennaio e risorse il nove d’agosto.Considerando l’immenso sviluppo ottenuto dalla festività di mezz’agostol’Imperatore Maurizio (582-604) dispose che il 15 stesso mese fosse considerata festa di tutto l’Impero Romano. Secondo alcuni storici questa disposizione avrebbe favorito anche nella nostra isolache il quel periodo era dominata dai bizantinil’introduzione di questi cultinella versione orientale della koimesis (dormitio) e della metastasis (transito) Virginis.Devilla riferisce che fin dall’antichità la festività dell’Assunta era celebrata nella chiesa di Santa Mariagià S. Maria di Campu Longupoi di Bethlemconsacrata il 20 maggio del 1453 alla Vergine Assunta. Esiste un lungo dibattito sul fatto che la Madonna sia veramente “morta”.Nei primi tre secoli dell’era cristiana non giunseroinfattidocumenti sull’Assunzione. Fanno eccezione alcuni scritti apocrifi che descrivevano gli ultimi giorni della Vergine in modo differente e fantasiosotanto da rendere increduli anche i lettori del tempo. Il problema teologicoripreso anche nel nostro temposuscitò un ampio dibattito tra i cosiddetti “mortalisti” e gli “immortalisti”senza portareperòa conclusioni univochefino a chePapa Pio XII rimise il particolare della morte della Vergine a studi teologici nuovi e approfonditi. La “morte” di Maria fu dunque veratuttaviaper la teologiasi trattò di un processo diverso dal “morire” d’ogni altro essere umano. Una tesi che conciliò entrambi gli schieramenti. L’icona che rappresenta la Vergine Dormiente è in tutti i casi d’importazione orientale di derivazione bizantina. Lo s’evince da alcuni particolari tipici dell’iconografia ortodossa come il diadema d’argento massiccioi sandali dello stesso metallo e le dita inanellate.* * *Nell’intento d’approfondire ma anche chiarire il significato dei Candelierinell’interpretazione popolare diffusaabbiamo posto a punto una scheda con alcune domandeche abbiamo rivolto a circa 300 personeper conoscerne il parere.Nell’elaborazione della scheda abbiamo puntato alla risposta emendata da ogni sottinteso culturale e religioso.Le domande rivolte e scritte su una schedaerano le seguenti:1) Che cosa pensa dei Candelieri?2) Che cosa rappresentavanosecondo Leie che cosa rappresentanooggii Candelieri?3) Come giudica l’ipotesi che i Candelieri facciano pensare a miti e riti paganiemendati e benedetti dal cristianesimo?Alla prima domandasu 260 soggetti richiesti di un parere le risposte sono state:a) “È la festha manna” (È la Gran Festa)la festa di tutticoinvolgente – 86%;b) “È una bella festa” – 10%.c) “Non mi crea problema né me ne pongofaccio festa anch’io” – 4%.Alla seconda domanda è stato risposto:a) “Ritengo siano oggetti devozionaliche richiamano a fare festa e perpetuano un voto di devozione” – 82%;b) “Grandi e grossi cericon bandatamburo e piffero come tutte le feste del popolo” – 14%.c) “Boh…!” - 4%.Alla terza domanda i pareri sono stati:a) “Non ci credo” - 48%;b) “Sorprendente ma possibilecome tutto quello che c’è tramandato”- 48%.c) “Sicuramentedata l’anzianità della festa e la simbologia” – 24%;d) “Boh…! Non ne so niente né niente ne voglio saperemi basta godermi la festa” – 4%.Come si può osservare la tipologia delle risposte rispecchia l’incertezza del parere e sola concorde opinione è la partecipazionegodibiledella gente ad un’autentica festa di popolovoluta e celebrataper di piùin un periodo di totale riposolontano dai lavori primaverili ed estivie i prossimi adempimenti autunnali: è un periodo di ferie e alla gente piace goderlo.Alla gente comune interessa solo la celebrazione della festa e soltanto all’uomo di cultura piace conoscere gli aspetti che nasconde e la mascherano. Restain ogni modola convinzione di qualcosa d’insolitodi particolaredi “festha manna…!” superiore e diversa da ogni altra; ciascun anno più vecchiapiù vissuta e apprezzata.ANALOGIE E SIMILITUDINIGli AA Hanno citato all’inizio di quest’operaun’elementare legge di chimica inerente alla trasformazione della materia egiunti a questo punto della stesura eavendola comparata con il prodotto dello spiritos’accorgono quanto sia pertinente anche in campo religioso e spirituale.È stata operata un’ampia disanima dei riti e culti pagani paganicon particolare riguardo a quelli inerenti alla fecondità e fertilità della terra e l’andamento delle stagioniper dimostrare l’incontestabilità dell’assunto in merito alle sagre e feste di popolo dei Candelieri di SassariCeri di GubbioGigli di Nola etc.ritenendole dirette eredi dei succitati culti e ritiche hanno privilegiato il Dio buonodella gioia e dell’amore e che hanno dato origine alle procedure religiose di festadanzaoffertesalmodie e preghiereosanna e fervore religiosoin una parola di quanto piace ai sensi ed all’animaproprio per dimenticare paure e dolorepianto e desolazionetristezza e bisogni vitali.È necessario premettere che tutte le religioniin qualsiasi luogodall’EuropaEgittoGreciaMedio OrienteRomaetc.all’IndiaOceaniaantico MessicoPerùetc. hanno assimilato dal paganesimo analogie e similitudiniattribuendo simbolismi differenti in forza della teologia di ciascuna.Limitando la nostra brevissima inchiesta a quanto successe per il cristianesimopotremo sintetizzare taluni aspetti comuni al paganesimo ed al cristianesimo ed evidenziare come quest’ultimo abbia trasformato il mitoproponendolo rivisto e corretto e come facente parte di verità di fede.Vediamo brevemente e limitata al cristianesimo la riproposizione di molti miti e riti pagani:· Il tradimento di Seth nei confronti d’Osiride; Penteo. Di Giuda per Gesù Cristo;· Lo smembramento e comunione d’Osiridedi Dionisodelle Madonne Nere o Bruneistituzione dello SS. Sacramento sotto le specie del pane e del vino da parte di Gesù Cristo (SS. Vangeli).· La divinizzazione d’Osiride e di Dionisonato mortale ma figlio di Zeus; di Gesù Cristo perché figliolo del Dio Padre fattosi uomo.· La resurrezione d’Adoned’OsirideDamuz-Tammuzdi Dionisod’Attis e di Gesù Cristo.· I miracoli di Dioniso (baccanti)di Mosè e del Cristo;· La craterizzazionein altre parole la mescolanza dell’acqua col vino in un bacile che tanto richiama alla mente il rito delle ampolline nella santa messa cattolica;· La discesa agli inferi di diversi dei e di Gesù Cristoprima della sua resurrezione.· Demetra che riceve il cuore di Dioniso-Zagreus e lo pone in un cofanetto che tanto richiama il culto cristiano del Sacro Cuore di Gesù;· L’albero di natale che risale al culto arcaico delle divinità arboree.· Il fuoco delle Vestali che ardeva continuamente come ora la lucerna posta accanto ad un tabernacolo cristiano nel quale si conserva il Santo Sacramento.· Il culto della Dea Madre: Eva e la SS. Vergine Mariaetc. etc.· Il digiuno imposto ai seguaci della dea Attisprima d’accostarsi ad un cibo divino equello imposto dalla religione cristiana prima d’accostarsi allo SS. Sacramento della Comunione e il “battesimo” imposto ai seguaci del dio e ai cristiani.È indubbiamente merito del cristianesimo se tali culti e riti non si sono estintima purificati e modificatirielaborati e benedettisono arrivati sino ad oggi senza perdere la loro iniziale sacralità.La chiesa cristianasempre sensibile alla difesa della moralità e del decoro ha voluto prima seguire e poi conoscere meglio ed approfondire il significato mitico e rituale della maggiore parte delle feste paganecelebrate con gran partecipazione popolare e solennità. In un lento e ponderatoragionato procedere verso un desiderato sincretismoil cristianesimo s’è fatto carico di provvedere ad impostazione nuova di molti ritiproponendone novelli ed originali ma diversi da quelli primitivi e quando non è stato possibile rimuovere le inveterate abitudini pagane il cristianesimoritenendosi il vero ed unico depositario della verità rivelataha anche minacciato di comminare pene severe fino alla fineper richiamare alla verità chi ancora errava lontano dalla fede ed è così che mitiriti e simbologie pagane sono stati promossi cerimonie e allegorie cristianein una lodevole opera di ricupero che non ha abolito il vecchio rito ma l’hanno promossobenedicendoloa liturgia cristiana.È ciò che è avvenuto per i Candelieri!Colonne di cera o ligneedi dubbia simbologia falliforme e forse originariamente e solamente falliforme (Erodoto)che rappresentava l’immagine della feconditàsenza infigimenti o dubbisono stati promossi simboli benedetti e devozionalisempre validicome facenti parte di un rito propiziatorio o di ringraziamento(ma proprio per tale scopo erano stati proposti e celebrati!).A bene osservare c’è solol’intervento salvifico del cristianesimo che non ha voluto banalizzarein nessun casoil mito ed il rito primitivoma li ha rinnovellati e riproposti in edizione rivedutaemendata e corretta.Quandooggiassistiamo alla sfilata dei Candelieri dobbiamo vederli quali sono e li ammiriamo ma pensare anche a che cosa rappresentavano per i nostri primitivi progenitori che li celebravano già da mille anniprima che il cristianesimo si rivelasse e s’interessasse della moralità e decenza delle pubbliche feste e solennitàunione e festa di popolo.Il mito e il rito dei Candelieri sono visti sotto diversa e migliore lucecosì pensandoe cresce il valore simbolico dei Candelieri che da ieri (lontano) ad oggi (presente) hanno assolto ed assolvono funzione di faro e di fede per innalzare il cuore e la mente al divinoall’eternoa pensieri di pace e serenitàLA TRANSIZIONE DALLE CREDENZE PAGANE ALLA RELIGIONE CRISTIANA E I MITI SALVATIOSCURATI O ESTINTIIndubbiamente il transito dalle credenze pagane alla fede cristiananon fu breve e indoloreperché anche gli adoratori degli deisubirono primacome i cristiani in seguitopersecuzioni e martirisenza considerare i presunti pagani che furono perseguitispesso erroneamentedalle cosiddette Santa Inquisizione della Chiesa di Roma e cheper i quali pur ridimensionati nel numeroIl Papa ha chiesto perdono.Panteisti e paganifurono vittime di persecuzione dal 65 al 536 d. C. ma ciò nonostante ed anche in appresso tanto gli empi paganitutti dediti al teatro ed al circoquanto i pii cristianidediti alle chiese ed al comunicativo salmodiareamavano e bramavano le festetanto proibite e calunniate matuttavia mai disertateDel restosono gli stessi Padri della Chiesa a mostrarci le trasgressioni dei fedeli cristiani nell’impazzare e folleggiare come nelle arcaiche feste della fecondità ed Agostino narra chedopo le grandi persecuzioni durante le quali molti cristiani erano ricaduti involontariamente nel paganesimomolti che sarebbero voluti ritornare cristiani se n’astenevano per non rimpiangere le pericolose e tuttavia antichissime voluttà.Ci si domandò che fareallora? Semplice: “Parve opportuno – come sarà ripetuto anche da altri autori – celebrare ulteriori giorni festivi in onore dei santi e dei martirinon con tale sacrilegio quantunque con simile lusso”. Insommasi cambiò il nome della divinità cui dedicare le “voluttà”: ma così si perse l’antica coerenza tra ideologia e vitasi tolse ai ludi il loro valore religioso di mimesi della vita verache era l’altissima virtù del paganesimo. D’ora in poitra ludi e religionetra svaghi e morales’instaura ugualmente una contraddizione insanabilee ne scaturirà un inguaribile spirito d’ipocrisiaun divaricarsi tra predica e praticache accompagnerà tutta la civiltà cristiana.È indispensabile considerare chefra tanti valori spiritualice n’è un altro umanoquello costituito dal popolo che non rinuncerà mai ad esternare la sua riconoscenza od ad impetrare le grazienel modo più spontaneo e adattocosì com’è sempre avvenuto sin dalla notte dei tempicon canti danzelibagioni e banchettie ciò dev’essere stato posto in conto quando la Chiesa ha raggiunto il “compromesso” di cui appena più sopra.Eccoli quindi lìancora oggi i nostri candelierile candelorecerigigliciliivare e altroaccompagnati da una folla eccitata e festante che è la vera protagonista della festa e la cui voce non poté essere spentaabbinati come si è spiegato appena più sopra alla festa della Madonna Assunta in Cielorealizzandosi così quello strano connubio fra sacro e profano che i nostri Padri della Chiesanon riuscirono a sopprimere ed alloraecco quegli antichi riti simbolici non più profaniperché purificati e benedetti“scendere” o percorrere le vie e le piazze d’alcune nostre cittàdove le antiche orge si sono trasformate in sane ed entusiastiche espressioni di gioia del popoloche è il vero e l’autentico protagonista.È l’unica spiegazione razionale e vera che possiamo fornire perché l’esibizione di un antico simbolo riproduttivo si sia identificato in un ceroun candeliere o in un altro marchingegnoconservando sempre però il suo originario significato di morte-resurrezionefecondità e fertilità e omaggio alla Gran Madre Terra.Niente di trascendentale quindi che possa far storcere il naso a qualche “bacchettone” incallitoperché i simboli che oggi si perpetuano sotto altre e diverse formenon erano né sono assolutamente da considerare osceniperché mai sono stati considerati talianzi essi furono sacriquale tramite del quale il Buon Dio ha dotato l’uomo affinché potesse perpetuare la sua specie.È ancora ritorna alla mente quella breve legge di chimica di Lavoisier citata all’iniziosecondo cui i corpi si trasformanoma non si distruggono. In altre parole: “Niente di nuovo sotto la luce del Sole!”.IL SERPENTE VISTO COME SIMBOLO FALLICOFONTE: Sito Internet: http://www.giocities/psychoisto2000.htmLINGA DI SIVA E YONIFONTE: Sito Internet http://www.misterisvelati.it/lingayonipaestum.htmlANCORA QUALCHE ALTRA CONSIDERAZIONE SULLE SAGRE DESCRITTECerti riti assolutamente paganiesistevano molto prima del cristianesimo.Chi ammiraper la prima volta i Candelieri (ma anche la Candelora di Cataniai Ceri di Gubbioi Gigli di Nolai Cilii di Noto e i Misteri di Campobasso e altri)è meravigliato quando osserva come “macchine” tanto pesanti sono portate a braccia da nerboruti “facchini” (portatori) e lo spettacolo è tale da stimolare a meditare eforse a smarrirsi. Poila meraviglia e il fascino dell’ignoto prendono il sopravvento e il pensiero indugia nell’immaginare il significato reconditosimbolico e religioso della manifestazione: in merito si sono scritte storie che narrano retroscena celesticon personaggi animati da vizi e virtù molto terrestriappassionanti come tutti i protagonisti delle favole e dei miti.Non esistono dubbidopo tutto ciò che si è riesumato e narrato primache i Candelierii Cerii vari “marchingegni” i Gigli ed altrosiano espressioni pagane di culti preistoricidi cui esiste tracciaancora oggianche presso certe tribù nel cuore dell’impenetrabile Amazzoniain Africa ed Oceania.È il culto della potenzadella fecondazione del suolo e degli esseri presenti in naturache trionfa e s’afferma. Era il culto falloforicodi cui narra Erodotoche lo descrisse nella Valle del Nilo all’incirca nel 450-447 A C.ma l’identico culto era praticato dalle tribù cananite ed è ricordato anche nella Bibbia (il vitello d’oro e il serpente di bronzo che ricorda quel tentatore mai dimenticato).La religiosità primitiva esplodeva naturalmente e il tutto era indirizzato ad avere l’abbondanza che offriva la natura ed il gaudio che procurava ai sensi epoiesistevano gli esempi degli Deiproposti in quei perigliosi tempiche con le loro intemperanze e turpitudini (le giudichiamo oranoitali!)invitavano a godere ed essere felicimagari terminando con il grido di “EvoéEvoé”che era invocazione e ringraziamento.Tuttoperòscorre e muta.I secoli non sono trascorsi invano e l’avvento del cristianesimoche pure ha avuto origine nel Medio Oriente dove avevano esordito i riti di cui abbiamo trattatoha necessariamente temperato la carica tempestosa dei sensi che si scatenavano nelle festività pagane ed ha indirizzato verso divinità più castigate e meno permissive le manifestazioni sensualiche divennero espressione d’adorazionefede e ringraziamento per eventi luttuosi superati prodigiosamente e grazie alla preghiera.ORIGINI DI SASSARINotizie sui primi abitatoriLe notizie sui primi abitatori di Sassari sono quanto mai incerte e diverse.Forse lo scrittore più attendibile in meritoperché il più colto e preparato è Enrico Costa ed è a luiperciòche “diamo la parola” per narrarci quanto ha scritto in merito nella sua ponderosa opera: “Sassari”Gallizzi EditoreSassaririedizione del 1987.“ L’anno 412 d. C. dopo l’alba di un giorno d’Aprilefurono vedute dalla città di Torres due grosse navi che si dirigevano alla rada dell’Isola dell’Asinata (de la Senàra) verso il trabucado. Il governo di Torres inviò subito una barca per scoprire se erano amicie ciò perché molto si sospettava di loro. La barca tornò indietroed i barcaioli sbigottitidissero di non aver osato parlareperché avevano veduto molta gente. Si spedirono allora due barche edalle poche parole scambiate con gli uomini dei naviglisi seppe che costoro erano forestieri e che chiedevano di parlare col Governo di Torres.Le barche tornarono con l’ambasciatae fu permesso agli ospiti di scendere a terra.Nel secondo giorno sbarcarono nel porto di Torres due uominii padroni delle navi. Erano due fratellicelibiil cui linguaggio si comprendeva a stento. La popolazione di Torres mal soffriva la loro presenzaperché dubitava di loro. Uno però degli abitanti di Torresche era forestiero anche luicomprese il dialetto che parlavanoe servì loro da interprete.I due stranieri affermarono di provenire dalla Tartaria precopenseda dove erano stati espulsi dal loro Governo perché ribelli. Con loro conducevano e soccorrevano 112 famiglie e si chiamavanol’uno Arborialsotee l’altro Sossoinate Geridon. Costoro chiesero della terra per stabilirvisiie cheinfinepossedendo danari (buana monda) ed essendo carichi di pietre preziose non domandavano altro.Gli anziani di Torres si raccolsero in Consiglio per decidere in propositoperché il popolo non voleva quegli stranierie mormorava sospettosonon comprendendo il loro linguaggio. Dopo molti giorni di discussionefu deliberato di concedere loro la terra per abitarvi e per fabbricare capanne e si destinò loro il Bosco dei Gineprilontano da Torres dodici miglia o legheverso il villaggio di Sirkisdove in seguito sorse per volontà della madre di Marianoregolo di Torres il monastero delle Benedettine.Presso quel bosco si stabilirono le dette famigliee aprirono un’ampia e lunga strada fino al sito chiamato Campu de Furros dove è oggi il Convento delle Monache Cappuccine; si costruirono delle capannee imposero il nome d’Arboria a quella contrada che si estende moltofino al sito dove oggi è posto il Convento del PP. Claustraligià appartenenti alle Benedettine. Del qual Convento ha questa città lo jus patronale per avergli ceduto la chiesa e i beni nel 1220.Crebbero con gli anni quelle due grandi famigliema siccome nacquero fra di loro screzi e malumoripensarono di dividersi le capanne. Le famiglie però di Sossoinate Geridon erano incontentabili e più indisciplinate e commettevano frequenti furti; motivo per il quale furono espulse dalle famiglie d’Arborialsote Kaloss’allontanarono e si stabilirono in un sito chiamato Tanagad (Taniga) dove Sossoinate eresse capanne e formò i villaggi d’EligaGeridu e Sossoinate (Sorso).Ciò nonostantenon si quietaronoma continuarono a dare molestia alle famiglie d’Arborialsoteassalendo di notte e in pieno giorno per derubare e commettere assassiniiportando così il disordine nei villaggi di QuerquiLualdaFraguesaSettepalmiTaverrae altri formati dal partito avversotanto che gli abitanti di questi si unirono con Arborialsoteinseguirono Sossoinate fino allo stagno di Platamonae colà lo uccisero. Trasportarono quindi il suo cadavere ad Eligoidove rimase esposto per tre giorniattorniato da molte donne scarmigliate che urlavano e piangevano come altrettanti cani (perros). Lì lo sotterraronoconficcando tante spade attorno alla sua sepoltura.Lasciati finalmente tranquilliquei d’Arboria continuarono a fabbricare casee si posero sotto il Governo della città di Torresi cui abitantidi giorno in giornoabbandonavano la loro patria per abitare e popolare il nuovo paeseseguendo l’esempio d’altri piccoli villaggisinché il paese d’Arborialsoteingrossato dagli abitanti di TorresNonoiOttanaQuiternoBiqueccaTousse e molti altridivenne in pochi anni una città ragguardevole cui fu imposto il nome di Tataridove nell’anno 988 d. C.per ordine del Prelato di Torres s’eresse una chiesa che fu servita dal licenziato Giacinto Monaquellouomo di spirito e buon religioso. Per di più s’elesse il Plebano che fu un tal De Fara. Nell’anno 1253 Tatari fu denominata cittàed era la residenza dei suoi vescoviil primo dei quali si chiamava Prosperogiunto dalla città di Torresla quale in quel tempo era quasi distrutta dalla crudeltà dei nemici.Nel 1422Pietro Spano trasportò a Sassari la Cattedrale di Torres con tutte le sue antichità e preminenze.Questa relazione si rinvenne nell’anno 1519 nelle carte di Monsignore Don Salvatore Alepuse fu stampata nell’anno 1644 nella Stamperia dei Padri Servitia petizione ed ordine di Monsignore Arcivescovo Don Andrea Manca.Cristiani natiChi potrebbe assicurare che la città di Sassari non debba la sua origine ai primi Cristiani sbalzati nella Provincia Turritana? Una volta posti nella china delle congetturebisogna chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare!Così come consta da documentiil primo titolo della nostra Cattedrale fu la Madonna del Popolo o Del Bosco; ed è probabile che in origine avesse quest’ultimo titolo. Si ha da tradizione popolareche un giorno alcuni pastoriinoltratisi nel fitto del Bosco dei Gineprivi trovassero la rozza effigie (non si è informati se scolpita o dipinta nel legno) di una Madonna. Fu ciò per i nuovi credenti come una rivelazione del Cielo ed a breve distanza dal luogo dove fu rinvenuto il simulacroche questi eressero la chiesetta chededicarono alla Madonna del Boscoin memoria della sua origine. A questa chiesa accorrevano per devozione i pastori delle terre vicinei qualipoco per voltacostruirono intorno ad essa le loro abitazioni.Divenuto villaggio quel gruppo di casettedivenne per conseguenzadetta piccola chiesa una parrocchia alla quale si diede il nuovo titolo di Nostra Donna del Popoloper significare forse la nuova popolazione colà formatasi.Questaperò è un’opinione molto controversa e contestata da diversi storici. (Afferma Costa nella su citata opera): la mia particolare opinioneche poco si discosta da quella di certi scrittori di favoleè che la chiesa formò il villaggio! Il lettoreperòfarebbe opera santa a non credere mené questi signori!TurritaniEsposte al lettore le principali opinioni degli antichiriguardo alle prime origini della nostra cittàsi fornirà ora un cenno delle più verosimiliaccettate dagli storici moderni. Fra gli antichi dipartimenti del Regno di Logudoroc’era anche quello di Fluminariacosì denominato perché tre fiumi costituivano i suoi confini naturali: quel Turritanoil rio di Mascari e una parte di quel d’Ottava. Pare che Sassari fosse Capoluogo di questa curatoria. Certo è che nel secolo XIII era il paese cospicuo di quella regioneperché fortificato da un castello di cui è cenno nelle carte dei camaldolesi di quell’epocanelle quali trovasi citato il Castrum Sassaris equalche volta Castrum Saxiabbreviazione del nome della città.Le frequenti invasioni dei moriche furono a più ripreseespulsi dalle suddette terreha dato forse origine alla fondazione di questa rocca. È assai probabile che i Giudici della città di Torres (la quale e perché la sua aria non era molto salubree perché la terra non era sicura essendo esposta alle continue aggressioni dei barbareschi) quando non risiedevano in Ardara (dove possedevano una Reggia) abitassero nel Castello di Sassaridove trascorrevano la stagione estiva e che gli abitanti di Torres si ritirassero più volte a Sassari per liberarsi dalle vessazioni e molestie dei Vandali (da considerare che Torres era una colonia di Roma ecome questaera certamente frequentata da gente di razze diverseche praticavano i più svariati culti e fra questinon mancavano certamente quelli derivanti dal culto d’Iside e di Dioniso: n. d. AA)verso gli anni 440 di Cristosi legge in molti libri antichispecialmente d’autori che trattano dei Santi Martiri TurritaniGavinoProto e Gianuario.Sassari intanto cresceva di famamentre la città di Torres decadeva ogni giorno a vista d’occhio. La posizione di Sassari era una delle più belleper ricchezza di vegetazioneper abbondanza d’acque e per eccellenza di clima; motivo per il quale le vicine popolazioni (tutte d’estrazione agraria: n. d. AA)poco per voltadisertarono dai loro paesi per stabilirsi a Sassari equando il Giudicato di Torres decadde per la morte di Michele Zanche chechiuse la serie dei Regoli del Logudorola maggior parte di quella superba metropoli emigrò a Sassari. Per tale motivo si vededi punto in biancosorgere la città in questione con così tanti abitanti che nel 1278 DorgodorioArcivescovo di Torresla divise nelle cinque parrocchie che esistevano sino alla fine del 1800.Torres nei tempi antichissimiera la seconda città ragguardevole dell'Isola. S’affermava fondata dai Betulonesio Turrenos nel 1216 dalla Creazione del mondo esecondo altri da Ercole il Libico o Libissonis. Si sorvola però su queste amene storielle. Certo è che Torres era ancora in piedi nel Medioevoma ha subito tante e tali peripezieche appena oggi hanno lasciato tracce della sua passata grandezza. Un tempo però vantava superbi templisontuosi edificiacquedottibasiliche epersino un Campidoglio. Non soltanto era colonia romanama fu elevata dall’imperatore Trajano all’onore di municipio: l’afferma Spano.Sassaridunque non èche una figlia dell’antica Torrescome oggi questa può definirsi una figliola della moderna Sassari. Capricci della fortuna che costringe alle città subire la stessa sorte degli uomini.Fenici e romaniDopo i disparati pareri emessi dai diversi storicici troviamo sempre al “sicut erat”; ne sappiamo meno di prima. Tutti gli autori dei moderni dizionari geografici continuano a scrivere a fianco della parola SASSARI: città d’origine incerta. Ciò grazie agli storici checome i pesci: uno divora l’altro.Ci siano perduti nel 1250oper dirla con una frase efficacissima: la nostra storia si è affogata in un bicchiere d’acqua.”Lasciando stare gli storicituttiin maggiore o minore misuraantichi o modernici nasce spontanea una domanda: “ E' esistita una Sassari feniciacartaginese o romana?”. Risponde Costa nella sua opera succitata: “Penso di sì e non sono lontano dal credere che la città di Sassarisi sia ingrandita moltiplicandosi per virtù propriasenza il bisogno di prendere a prestito oricorrere ai moltiplicandi e moltiplicatori di Torres. Il motivo che indusse Dorgodorio nel 1278 a dividere la città di Sassari in cinque parrocchiefuche il popolo era talmente cresciuto e l'abitato così esteso che ben difficilmente si poteva accedere massime d’invernoall’unica parrocchiache era quella di San Nicolò: per battezzarsi e per chiedere la Curiasi doveva far ressa alla porta di chiesacome oggi a quella del teatro quando c’è uno spettacolo eccezionale.La città di Sassari non si è formata in una notte enon è improbabile che essa fosse un’antica cittàcresciuta un po’ per volta senza il concorso dei turritani eche esistesse una Sassari romana contemporanea di Torres è innegabile. La questione sarà del nome di battesimo che s’ignora. Per avvalorare questa notizia non c’è bisogno degli storici: è sufficiente la presenza di non pochi nuraghifra i quali quello di Li Luzani e l’altro a Sant’Orsoladistrutto nella costruzione della ferrovia. L’origine di Sassari è sotto terrae bisognerebbe scavarla. L’indole della mia pubblicazione non mi permette di dilungarmi troppo: noterò soltanto alcuni fatti che potrebbero attestare che una popolazione romana dorme i placidi sonni sotto le nostre case (e ciò avvalorerebbe le conclusioni degli autori di quest’opera anche sulle origini dei candelieri e dei loro significati)le vigne e gli oliveti.Or sono pochi anniimpiantando una nuova vigna nella regione denominata: "Li TroniLi Bombi e Tanca di Monsignori"in sul principiare del prato si rinvenne una necropoli. Vi si rinvennero molte monete romanefra le quali una d’Alessandro Severoacquistata dall’amico P. Placido Bettinalivalente dilettante d’archeologia e collezionista d’oggetti antichi.In un’altra vignanella stessa regionenegli architravi della porta del caseggiato ci sono due bellissimi bassorilievi di marmo anche se molto deteriorati dal tempoi quali dimostrano chiaramente che sono i frontoni di due sarcofagi romani. I proprietari del podere hanno per tradizione non lontanadi essere stati trovati nello scavare le fondamenta della stessa casa.Una moneta d’Augustocon l’iscrizione Previdentia sotto all’Arafu consegnata al suddetto Bettinali dall’insegnante elementare Antonio Sassuche la trovò scavando un pozzo in un suo podere nel Fossu di la nozzidi là dal Colle dei Cappuccini.Presso la Chiesa di San Biagionel costruire la stazione ferroviariafu scoperta una tomba nella quale si rinvenne un vaso per unguenti in terra cotta ed una moneta ossidatae quindi illeggibile; dal taglio però si può riconoscere essere de successori di Costantino.Una moneta d’Arcadio fu rinvenuta scavando nella regione di Monteoro.L’avvocato Cocco Lopez nel suo predi di Lu Regnuha ritrovato a più di un metro di profonditàalcune monete romanefra cui una di Galla.Verso la Porta di Sant’Antonioin un ortodietro la chiesa dei Servitici sono i resti di un bellissimo acquedotto romanodel quale si vedono alcuni archi.Varie monete ed alcuni oggetti della bellissima raccolta d’antichità del defunto canonico Don Luigi Sclavofurono pure trovate nelle vicinanze di Sassari.Non sono dunque sufficienti questi rinvenimenti per dedurne cheanche noi possiamo aspirare alla gloria oggi ambita da tutte le città del mondo: di “passeggiare” sulla polvere dei Romani?Inoltresotto i nostri Romanichi lo sa? Non possono anche dormire i Fenici? Si è accertato che nella regione Crabulazi (forse corruzione di Tibulazi) alcuni contadiniintenti a scavaretrovarono una specie di nicchia in pietra. Credendo d’avere trovato un tesoro inaspettatoruppero con le vanghe il ripostiglio e vi si trovò un rotolo di piombo in laminesulle quali erano incisi strani e curiosi carattericome affermarono quei contadini. Indignati del disinganno essi fusero quel piombo per ricavarne palle per fucili. Quei fogli non potrebbero forse appartenere ai Feniciagli Iberi oad altri popoli antichissimi?CananeiForse potremmo essere puri cananei? Il Padre Bresciani nel 1845 scriveva:“I Sardi mostrano di riscontrarsi coi Fenicipoiché gli abitatori delle grandi città praticano le adunanze alle loro porte ea Sassari più che a Cagliarile brigate ai portali vi rendono il costume cananeo. Alla Porta di Rosellod’Utzeri e di S. Antonio io ho visto quel radunamento d’uomini per trattare dei loro negozicome si legge nella Sacra Scrittura!”Il buon Bresciani ci vorrebbe far credere che i nostri zappatori siano cananei! – Ci mancherebbe anche questa!Dopo quanto su espostonon vi pare dunque che dei Fenici e dei Romanin’abbiamo avuto anche noi? – Mi si potrebbeè veroaffacciare la ragioneche forse questi popoli sono tutti morti senza prole e chenoi non possiamo aspirare all’onore della loro paternità ed è per questa sola considerazione che noi dobbiamo accettare la versione moderna d’essere figli di Torres.Ora riepilogando: essendo figli dell’antica Torresabbiamo noi nelle vene un po’ di sangue romano – Io credo poco alla virtù del plasmaperciò se i sardi si dovessero studiare per virtù dei lombinessuna nazione del mondo potrebbe vantare mescolanze più assortite d'umori.FeniciGalliGreciCartaginesiVandaliPisaniGenovesiSpagnoli eche lo sa? Tartari ancheognuno avrà recato la sua stilla di sangue all’Isolaperciò l’uomo a qualunque razza appartengaè nato per amare enon sempre la donna esegue l’analisi del sangue prima di concedere un sorriso e un bacio al suo amante!”Sin qui Costa.* * *In tutti i casiritornando alla nostra tesiun fattoci appare certo: che i sardi hanno conosciuto tutti i rituali antichiche si celebravano allora dei quali era giunta l’eco.* * *Finora abbiamo sempre creduto ad un’immagine esclusivamente religiosa relativamente ai recenti candelieri; da oggi in avanti lo schermo sul quale abbiamo visto tale immagine diventa diafano e forse non cambia la splendida utopiama sopravvengono suggestioni forti per richiamare l’attenzione epuò darsi e speriamoil consensosu quanto abbiamo creduto opportuno far conoscereperché siamo certi che … “fare qualcosa di nuovo può esseretaloraun grosso errorema non … il compiere niente di nuovo e dare tutto per scontato è il più grande di tutti gli errori …!”Quanto abbiamo significato e documentato niente toglie al valore sacrale del rito dei Candelieri ed apparecchiature affini: Ceri di GubbioGigli di NolaCandelore di CataniaCilii di NotoVara di MessinaVaria di Palmi ed infinite altre espressioni devozionali che si possono assimilare ai Candelieri; sono manifestazioni di richiamo ed elevazione dei cuori verso l’altodi sintesi gioiosa di vivere una vita che tutti i giorni noi pensiamo e sogniamo felice e tuttavia trascina nel vortice “che mai non ferma …”e s’è voluto apposta per farci dimenticareinebriandoci di gaudio e spensieratezzadel triste “memento homo …!”.Il fatto che festeggiamenti simili a quelli dei Candelieri abbiano diffusione universale conferma la nostra asserzione dell’essenza dell’universalità del mitoche vanta non secoli di vita ma millenni e in quelli trascorsi non era valido né noto il carattere sacrale e ispirato a devozione di quei cilindriconi o “macchine” che rapportiamo ai Candelieri e che devono avere avuto la stessa matrice arcaicacom’è espresso anche dai monumentipietrebetilicolonnetorri e altro che sono presenti in ogni plaga abitata e calpestate da piede umanodall’inizio della comparsa dell’uomo sulla terra.L’essenza immodificabile del rito traspare da ogni manifestazione ritualeconfermando la regola che vuole il mito eterno e sempre trasparente … mentre il rito può cambiaree l’abbiamo visto nelle diverse espressioni e pratiche che ha assunto a GubbioNotoNolaMessinaCataniaForlimpopoliAlcara li FusiTrapaniViterbo e altri … secondo le genti e dei tempi di celebrazione; possiamo affermare che il mito è staticofermouniformementre il rito è dinamicocangiantesi adatta ai tempi e alle genti che lo celebrano. In ogni casoperòesiste un collegamento logicoun filo conduttore comuneche li fa sembrare diversi anche se tradizionalmente sono uguali.Con buona volontà ed impegno considerando ogni ritoanalizzandone le fontil’effettuazione e la partecipazione popolarenulla trascurando nell’indaginesi risale al mito che l’ha generato e favorito la diffusionericordando che il centro e l’anima d’ogni rito vanno cercati nella mitologia e nei misteri tramandatici dall’antichità (Fischlegel).I GREMIIl termine “gremio” è ricorso più volte nel testo di quest'opera ein particolare quando si è trattato della festa dei Candelieridella quale sono l’elemento umano più rilevante. Forse il suo significato è poco conosciutosi ritiene quindi necessario colmare tale lacuna.Per adempiere ciònon s’è trovato di meglio che ricorrere a riportare l’articolo di Manlio Brigaglia su di un libro d’Antonello Mattonesull’affascinante istituzione cittadinaapparso sul quotidiano La Nuova Sardegna del 14 agosto 2001.“ … I Candelierila Festha Manna. La festa dei Gremi. In realtà il termine Gremi è piuttosto arbitrario: lo dice il professor Antonello Mattoneuno dei massimi conoscitori della materiache proprio quest’anno ha curato per un editore cagliaritano un volume sui Gremi e la loro storia. Un volume con un titolo lungoma molto esplicativo. “CorporazioniGremi e artigianato” dunquetra SardegnaSpagna e Italia nel Medioevo e nell’Età moderna”. Quarantaquattro autorialtrettanti saggi832 pagine. Una specie d’enciclopedia sulla storia di quest’affascinante istituzione cittadina della Sardegna prima catalano-aragonesepoi spagnolainfine piemontese. Dalla metà del Quattrocento alla fine dell’Ottocento.Una storia che va chiarito subitoesclusivamente urbana. In altre parolei Gremi nacquero e vissero soprattutto nei centri maggiori dell’isola: non solo la vita quotidianama la stessa storia di CagliariSassari e Oristano sono state animate dalla loro presenza. Confraterniteperòsono esistite anche in centri minori: come si sai Candelierisimbolo della loro stessa esistenza“escono” anche a NulviPloaghe e Ozieri ed in altri luoghi.Secondo i diversi studiosi che hanno collaborato al volumefino alla metà del Quattrocento non si parla di Gremi e quando appaiono organizzazioni di lavoratori di diverso tipo (e dunque anche di differente importanza nella vita delle comunità cittadine) il nome che è usato per loro è quello di Cofrarias (in catalano e poi in spagnolo)di Cofradìas (in sardo)di Corporazioni (ad imitazione del termine usato nella Penisola italiana). Il termine “Gremio” è usato dai governanti piemontesiche lo assumono dalle organizzazioni di questo tipoche esistevano in Catalogna: le stesse alle quali s’erano ispirate (o erano state ispirate) le consimili istituzioni sardeche però in Sardegna avevanocome si è dettoil nome di Confraternite.Le Confraternite erano organizzazioni potentiperché governavano l’intero sistema produttivo cittadino e riunivano tutti i lavoratori della città (ma sarebbe meglio parlare d’artigianatia patto di comprendere fra loro anche i fornitori di particolari serviziper esempiogli addetti ai trasporti e i lavoratori dell’edilizia). Essi proponevanoin praticatre compiti fondamentali.Il primomolto sempliceera quello di garantire agli associati il monopolio del mestiere. Solo chi apparteneva alla confraternita poteva esercitare quel mestiere e produrre le relative merci. Nella confraternita s’entrava spesso con una piccola provae in ogni modo solo quando un maestro accettava di prendere nel proprio “atelier” il giovane apprendistache nei documenti è chiamatoin sardodisckente”, dal latino “discere”, imparare. Dopo un periodo spesso non breve di duro tirocinio il maestro assegnava all’allievo un particolare compito d’esame (che consisteva nell’elaborazione di uno dei prodotti propri dell’arte”): se era superato (in genere a controllarne la riuscita erano chiamati anche altri maestri), il diskente era assunto nel piccolo Olimpo dei detentori dei segreti del mestiere. Secondo compito quello d’esercitare un ininterrotto controllo sui prezzi, da una parte per calmierarli, quando tendevano a salire, dall’altra per garantire un livello che assicurasse la sopravvivenza della produzione e anche la sua remunerabilità. Terzo compito, collegato alla natura religiosa dell’associazione, svolgere un servizio d’assistenza mutualistica nei confronti degli appartenenti alla confraternita: il che accadeva in caso di malattie, infortuni o morti dei soci. In caso di morte la corporazione assisteva le vedove e gli orfani, provvedeva alle cerimonie funebri e alle messe di suffragio, spesso anche alla sepoltura del socio. Questi tre compiti messi insieme, assicuravano gli appartenenti alle confraternite e più in generale alla stessa, un potere reale dentro la città. Intanto, fa notare lo stesso Mattone, il “nocciolo” della società cittadina era quasi interamente formato dagli appartenenti alle confraternite. Se si escludono i funzionari di governo, i magistrati, chi svolgeva una “libera professione” (si noti l’aggettivo “libero”, che significava proprio, all’origine, la non appartenenza ad un’organizzazione chiusa, “obbligata”, com’era appunto quella delle (confraternite), tutti quelli che producevano, dentro la città, appartenevano al sistema delle confraternite. Una statistica del Settecento, ricorda Mattone, registra nella sola città di Sassari, su non molti più diecimila abitanti, circa 1500 “carrettieri”, in altre parole – come diremmo noi oggi – addetti ai trasporti. La loro funzione (come quella dei “viandanti”, che andavano a vendere e comprare merci nell’intero territorio isolano) era essenziale, tanto nell’approvvigionamento della città (di un’organizzazione dei trasportatori di merci tra Sassari e Porto Torres si parla già negli Statuti sassaresi, che pure non fanno cenno ad altre forme d’organizzazione di lavoratori-produttori) quanto all’approvvigionamento della stessa campagna. Non bisogna dimenticare, infatti, che per gran parte dei secoli in cui operarono le confraternite, in campagna (in pratica in tutto il vasto territorio rurale intorno alle città, spopolato o punteggiato di piccole “ville”) non si poteva vendere merce se non durante le sagre e le fiere aperte a date fisse. Così la città forniva agli abitanti della campagna tutto quello che occorreva loro in utensili da lavoro e in oggetti della vita quotidiana (dall’aratro alla scodella di ceramica), mentre rastrellava nelle campagne, a titolo di pagamento delle merci prodotte dai lavoratori urbani, tutte le eccedenze agricole. In qualche modo si potrebbe dire, la città esercitava il suo ruolo, in altre parole l'egemonia sulla campagna, proprio grazie agli artigiani che producevano le merci e ai “Viandanti” che trasportavano il controvalore in mercanzie “agricole”. C’era, però, un’altra funzione, se si vuole non meno importante, cui le confraternite assolvevano: molti dei diskentes non erano sassaresi di nascita, ma provenivano dalle campagne. Entrando nel mondo del lavoro cittadino loro diventando sassaresi, contribuivano a quell’integrazione fra mondo delle campagne e quello della città che è stato fondamentale nella vita stessa di Sassari. Questa centralità delle confraternite, in quella piccola ma complessa macchina sociale che era Sassari, aveva un suo specifico riconoscimento nella parte che ai loro membri era fatto nell’amministrazione della città. Sin dalla fine del Quattrocento, infatti, dei cinque consiglieri che erano chiamati a far parte della Giunta che affiancava il “veghiere” (che era il capo dell’amministrazione civica) uno era sorteggiato fra gli appartenenti alle confraternite: né va dimenticato che “artigiani” erano considerati, in questo sistema, anche i “labradores” cittadini, vale a dire i contadini che abitavano in città, e gli ortolani. Quei “labradores” sono gli antenati degli attuali “massai”, che tanto prestigio hanno poi nei secoli all’interno del sistema delle confraternite. Vale la pena, a questo punto, ricordare tre osservazioni che emergono dai diversi saggi del volume. La prima è che questi lavoratori di cui stiamo parlando, ed ai quali – come si è visto – s’applica più propriamente il termine di “artigiani”, non producevano, come saremo portati a pensare, solo merci di prima necessità. Al contrario erano capaci di mettere sui mercati oggetti di particolare raffinatezza: sia per la loro intrinseca natura sia per l’abilità con cui erano stati lavorati. Il Museo del Duomo di Sassari ha una preziosa collezione d’argenti – candelabri, reliquari – e una serie di punzoni che tanto a Sassari quanto a Cagliari, servivano a “firmare” gli oggetti prodotti da questi bravissimi lavoratori. A Sassari esisteva una “Via degli Argentari”, o dell’Argenteria che prendeva nome proprio dal fatto che lungo il suo percorso, erano schierate diverse botteghe d’orafo: oggi quella via, un tempo luogo di transito importante nell’urbanistica cittadina, è Via a Rosello. Del resto, nel volume di cui stiamo parlando, un bel saggio di Laura Galoppini mostra come gli abitanti della Sassari del Trecento conoscessero abiti e oggetti d’arredamento (in gran parte, però, provenienti dall’esterno della città, anzi da quello della Sardegna: come capitava per esempio con le ceramiche – di cui nel libro si occupa Maria Laura Ferru – che erano originarie della Provenza o della Catalogna). La seconda osservazione riguarda l’origine di queste confraternite. Contrariamente a quanto si pensava normalmente, quando se ne faceva risalire l’istituzione all’influenza delle due repubbliche marinare del Tirreno, Genova e Pisa, esse nacquero con ogni probabilità soltanto in età catalano-aragonese e sui modelli, semmai, d’istituzioni analoghe di Barcellona (i gremios), appunto. È un fatto che le prime notizie su istituzioni come le confraternite si trovano a metà del Quattrocento e, qui nasce un altro interrogativo, che riguarda il ritardo con cui esse si formano rispetto al momento in cui la Sardegna entra, attraverso la conquista, nell’ordine della gran confederazione catalano-aragonese. Un’ipotesi sufficientemente probabile, è quella che collega questo ritardo allo stato di guerra “endemica”, che l’isola si trovò a vivere per quasi settantacinque anni fra lo sbarco del corpo di spedizione comandato dall’infante Alfonso d'Aragona e la pace di Sanluri: solo dal 1410 comincia lentamente a diffondersi un clima di maggiore tranquillità, nel quale gli abitanti delle città “regie” possono sperimentare le nuove forme d’organizzazione comunitaria. La terza osservazione riguarda il declino e la scomparsa dei Gremi come organizzazione di mestiere. Questo tramonto, che inizierà già ai primi dell’Ottocento, quando il mercato comincia a diventare sempre più mosso ed aperto e l’arrivo di commercianti della Penisola che si stabiliscono a Sassari e a Cagliari provoca l’immissione di merci prodotte fuori della città (e che il sistema produttivo cittadino non è ancora in grado di garantire).Nel 1829, quando Carlo Alberto, già designato successore al trono sabaudo, visita la Sardegna, a Sassari gli è sottoposta la domanda di liberalizzare il lavoro e il commercio: a questo punto gli associati ai Gremi, nella loro parte più avanzata, mostrano interesse a sottrarre il lavoro alle regole ormai antiquate che “blindano” l’attività produttiva delle Confraternite. La svolta avviene subito dopo la metà del secolo. Verso il 1855 nasce a Sassari la Società di mutuo soccorso. La fonda un pittore-decoratore, Pietro Bossi, giunto da Torino per lavorare all’abbellimento del Teatro Civico. La Società, in se, è concorrente delle Confraternite soltanto per la parte che riguarda l’assistenza: ma non c’è dubbio che la sua apparizione contribuisce a porre in circolazione un modo di concepire non soltanto l’assistenza ma la stessa organizzazione dei lavoratori che colpisce direttamente il monopolio e l’esclusivismo produttivo dei Gremi. Non per niente la Società nata repubblicana e democratica è presto contesa fra i due partiti che animano la lotta politica cittadina, quel democratico-progressista che fa capo all’avvocato mazziniano Gavino Soro Pirino, e quel costituzionale-conservatore, che fa capo all’avvocato monarchico Salvatore Manca Leoni. Alla fine diventerà apartitica e lascerà spazio ad altre forme d’organizzazione. Nel 1864 una legge dello Stato unitario abolisce le Confraternite e le altre istituzioni consimili. Subito dopo nasceranno le prime leghe di resistenza fra operai e, all’alba del nuovo secolo, la Camera del Lavoro. È a questo punto che è scoperta l’anima dei Gremio. I quali, in periodo in cui lo stato laico italiano, tende a colpire tutta una serie di presenze della Chiesa nella realtà italiana (è del 1866 la soppressione degli ordini ecclesiastici e la chiusura dei conventi), rafforzano l’elemento religioso che è diventato una delle parti fondamentali della loro tradizione storica, e inaugurano un nuovo periodo della presenza nella vita della città. Una presenza che però non è soltanto religiosa. I Gremi sono ormai i portatori di una parte importante dell’identità cittadina: si può affermare che quello che era l’antico orgoglio del mestiere, diventa quello di conservare alla città la memoria di una forza sociale, che attraverso i secoli ne ha accompagnato e in parte anche prodotto lo sviluppo. È per questo i Candelieri sfilano così allegri e, - come afferma il poeta – “so’ baddhariani” (sono ballerini). LA PARTECIPAZIONE LAICA ALLA “DISCESA” DEI CANDELIERI Nel corso di stesura di quest’opera abbiamo posto più volte in evidenza il ruolo, forse preminente, interpretato da una delle due parti artefici (laica ed ecclesiastica) della Festha manna di la faradda di li candaleri (Gran Festa della discesa dei Candelieri) che si celebra in Sassari il 14 agosto d’ogni anno. Al fine d’evidenziare di quanto sia “sentita” dal popolo e dai suoi rappresentanti civici, in seno ad organi corporativi d’arti e mestieri, amministrativi e di giustizia la “sua festa” e non come si ritiene, la cosiddetta Cavalcata Sarda, anche se forse il sostrato che tiene in vita una e ha riesumato l’altra, affonda le sue radici in arcaici riti pagani. Stralciamo perciò dall’articolo dello scrittore e storico Enzo Espa, apparso sul quotidiano di Sassari La Nuova Sardegna in data 14 agosto 1973” “ … Attraverso la lettura dei testi storici, io mi sono formato un senso tutto mio di questa festività sassarese: perché mi è sembrato di capire il valore corale del rito dei candelieri e quindi il senso della sua sopravvivenza, che per me va oltre il mero fatto folkloristico. Mi documento attraverso una serie di carte inedite consultate presso l’Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato e Guerra, n. 1326, 1327, seconda serie. Nel 1823 il Magistrato Civico della città (il Sindaco di allora, per capirci meglio) aveva applicato una penale contro un cospicuo mercante della città, Carlo Antonio Magliona, reo di non aver partecipato in quell’anno alla festa dei candelieri. In difesa di Magliona, che era anche sottotenente dei miliziani, era intervenuto il comandante della fanteria, maggiore Nicolò Pilo, contestando la competenza di giudizio dell’autorità civica e richiamando Editti e Pregoni secondo i quali un militare non poteva rispondere ad altra autorità che non fosse il Viceré o il Governatore della città. Nel settembre dello stesso anno i Consiglieri del Magistrato Civico ripetevano la tesi che Magliona, poiché mercante era regolarmente associato ad una corporazione e quindi tenuto all’osservanza dei suoi capitoli statutari, che appunto prevedevano l’obbligatorietà di partecipazione a tutte le solennità fissate dal gruppo sociale. Una sua eventuale dispensa avrebbe quindi reso precario l’esito della festività del ferragosto sassarese: parere che condivideva anche il Governatore della città, Delaflechere. La vertenza acquista un particolare valore documentale allorché gli atti della causa passano alla competenza dell’Avvocato Fiscale patrimoniale di S. M., giacché costui vuole indagare sull’origine, la natura e lo spirito della festa dei candelieri. Visti in retrospettiva questi fatti possono apparire oltremodo singolari, per tutta una serie di motivazioni: non ultima quella di voler individuare l’origine della solennità e del voto, in un anno in cui si poteva disporre solo di testimonianze frammentarie e approssimative, poiché ancora non erano apparsi i lavori di Pasquale Tola (1828) e quelli di Vittorio Angius (1849), e si potevano conoscere esclusivamente le scarse testimonianze di Sisco e di Pietro Quesada Pilo (1652) o qualche documento disperso, che Enrico Costa riproporrà all’attenzione dei lettori nel primo volume della sua opera “Sassari”. Nel dicembre del 1823 un verbale della Giunta Civica chiariva all’Avvocato fiscale che quello dei candelieri era “un voto di comunità”, che tutti gli individui iscritti ad un corpo sociale erano tenuti all’osservanza del voto, o al pagamento delle penali, qualora non intervenissero cause di legittimo impedimento, come una malattia o uno stato d’estrema indigenza. È notevole come i rappresentanti civici di Sassari ripropongano, di tratto in tratto che la città ha giurisdizione nel voto e nelle funzioni delle festività di ferragosto (vedi E. Costa, “I Candelieri, Appunti storici” in “Ferragosto e l’esposizione, numero unico 1896”, documentando la loro tesi col fatto che i libros de consulado parlano della nomina d’obreros de los candaleros o columnas già dall’anno 1504, ma è da stabilire se questi obreros siano magistrati municipali come Costa suppone oppure delegati delle varie organizzazioni di lavoratori - di cui possediamo notizia maggiormente attendibile - incaricati di preparare a loro cura ceri o candeli, e di portarli in processione nei giorni delle festività come segno di distinzione di un preciso corpo sociale. Nelle more della causa si giunge al luglio del 1824, anno in cui l’Avvocato fiscale, in un importante promemoria, riassume i motivi generali della questione. Egli considera il problema, sotto due diversi principi: quello morale e quello giuridico. Sotto l’aspetto morale egli è d’accordo che un trasgressore non poteva essere punito attraverso sanzioni temporali. Egli però voleva anche chiarire se un voto, pronunciato pro tempore, secoli prima dai membri di una corporazione potesse moralmente e religiosamente vincolare nel futuro i membri di uno stesso gruppo. Considerando come liberi i membri di un gruppo sociale, libera doveva essere considerata la corporazione stessa, che da questi membri era espressa, Pertanto la multa sancita contro Magliona dall’autorità civica di Sassari non poteva essere considerata legittima. Circa il secondo volto della questione, l’Avvocato fiscale era d’avviso che ogni membro dell’arte era tenuto all’osservanza di tutti gli articoli statutari. L’Avvocato fiscale Podda, mentre da un lato diffida i mercanti a non allontanarsi da Sassari nel giorno della festività dei Candelieri e a non mancare ad essa, sotto pena del carcere o di severe ammende, ripete anche che “non lo spirito di religione o del regio servizio o del pubblico vantaggio sia quello che anima la città di Sassari … ma piuttosto l’interesse di lucrare le multe e le penali”…” Tutto ciò vuole significare, in ogni caso, quanto la città di Sassari, “tenga” alla “sua festa”, tanto addirittura da impiantare una causa in merito alla mancata partecipazione di un preposto a rispettare il voto a suo tempo pronunciato a Maria Vergine e che, forse proprio in funzione di quest’adempimento, nonostante altri organismi li abbiano sostituiti nella tutela dei lavoratori ad essi iscritti, i gremi continuano ad esistere. CONCLUSIONI Concludendo. Quello della fertilità, era il culto principale in tutto l’Oriente Semitico, dal quale ormai siamo certi, derivano anche quelli relativi ai ceri di Gubbio, i Gigli di Nora, i Candelieri di Sassari, Nulvi, Ploaghe, Ozieri, Iglesias, Siurgus Donigala, Nurri e altri oggetti similari, Prendeva forme svariate, come la perdita della castità durante le feste d’Adonis a Biblos, le orge diffuse in Palestina, Siria, Cipro e Babilonia durante le feste cicliche legate all’agricoltura (W.R. Smith, ibidem, p. 617). A Biblos, in Fenicia, in Babilonia e a Cipro erano pagati degli stranieri affinché acconsentissero a deflorare le donne vergini locali (Ibidem, p. 616). Una tradizione più tarda riporta che esisteva un’usanza Amorrita secondo la quale prima del matrimonio uomini e donne si abbandonassero ad orge per sette giorni consecutivi (Ibidem, p. 617). La Bibbia, anche, non può fare a meno di riportare che gli stessi riti di prostituzione avvenissero in Israele nel santuario di Silo e, poiché la versione ufficiale del testo fu compilata in un’epoca posteriore (VI-V secolo a. C.), quando questi riti erano diventati abominevoli agli occhi dei Giudei, il racconto biblico ne parla come se fossero stati considerati abominevoli anche ai tempi di Samuele. Ancora nel VI secolo a. C. Ezechiele parla dei culti della fertilità orientale, i quali avvenivano all’interno del tempio di Gerusalemme. Gli Ebrei dal ritorno dell’esilio babilonese in poi, sotto la cappa del senso di colpa, fecero una riattivazione degli insegnamenti di Mosè, l’Egizio, e rinunciarono a questi riti, ma i loro vicini semiti continuarono ancora per tutto il periodo ellenista e a Baalbek – Eliopolis, in Siria, questi continuarono tenacemente fino al IV secolo d. C. nonostante il cristianesimo che s’era affermato in tutta la regione. Degli altri riti in onore d’Iside in Egitto, di Demetra in Atene, di Dionioso-Bacco in Grecia e a Roma si è già parlato. CONSIDERAZIONI FINALI Nella premessa di quest’opera abbiamo affermato che nell’effettuare le ricerche inerenti a ciò che intendevamo dimostrare, avremmo applicato il massimo scrupolo e rigore possibili e, poiché abbiamo spaziato in tutti i periodi storici dell’umanità, qualche attento lettore, probabilmente, avrà notato che esiste una lacuna relativa al periodo che va dal 392, 394 e 399 D. C., quando già alcuni concili avevano comminato pene gravissime contro di coloro che nei giochi dei circhi, dei teatri e delle arene si scomponessero nel condurre dei cocchi e atteggiarsi da buffone; a queste condanne della chiesa cristiana, s’aggiunsero in modo risolutivo, a fine secolo quelle dell’impero. Gli imperatori Valentiniano, Arcadio, Teodosio e Onorio, rovesciando la tolleranza costantiniana e distorcendo la lezione morale di Giuliano, proibirono tutte le manifestazioni pagane, intellettuali e fisiche nei templi, nei teatri e circhi e, pochi anni dopo, nel 409, l’Imperatore d’Oriente, Teodosio II ripeteva la condanna con le stesse e anche più precise parole: “Di domenica, primo giorno della settimana, e a Natale, Pasqua e Quinquagesima, è proibito ogni divertimento dei teatri e circensi, tutte le menti dei cristiani e dei fedeli, siano occupate nei culti di Dio”. Si badi bene? Le menti: dalla politeistica e pagana libertà di culto si è ormai passati a quella monoteistica e cristiana costrizione, non soltanto dei comportamenti (mores), ma anche delle menti (doctrinas) che dovevano essere cristiane per forza e pensare come volevano la Chiesa e l’Impero, sino al secolo XI. Per ciò, forse, il suddetto lettore potrebbe anche muoverci qualche “appunto”. Desideriamo allora, come sì sole affermare, porre: “Le mani avanti” e permetterci di ricordare come quel periodo sia stato molto buio per tanti avvenimenti accaduti, sul cui mancato rinvio ai posteri, con certezza ha notevolmente influito, il fatto che la scrittura con caratteri mobili non era ancora stata inventata, nonché l’applicazione di severe o intransigenti norme di natura religiosa e politica, quali quelle derivanti dalla nascita delle monarchie asservite alle diverse Chiese ufficiali, dei feudatari assoggettati ai monarchi e anche dei liberi comuni ossequiosi della Chiesa. Questa in pratica, con i suoi chierici, una delle due branche nelle quali era divisa la società (l’altra era costituita dai laici), in pratica organizzava, sorvegliava e costringeva all’osservanza dei dettami del cristianesimo i fedeli ed, inoltre, con i suoi tribunali ecclesiastici, istituiti presso i vertici delle varie gerarchie religiose quali vescovi, abati e “capitoli” giudicavano e puniva inflessibilmente i peccati, in particolare quelli d’eresia o di natura pagana: frutto di spiriti del male e fattucchierie dei quali, riempirono il mondo e che combatterono con durezza e intransigenza. Istituzioni che costringevano a serbare segreti i riti d’origine pagana e perciò non è giunta ai posteri la testimonianza della loro celebrazione di cui, con dovizia di particolari, si è trattato negli altri periodi considerati nell’opera. Ciò, però non consente d’escludere che questi, in modo esplicito o mascherato non abbiano continuato ad essere celebrati, infatti, nell’introduzione di Marziano Guglielmetti ai “Saggi critici d’Enrico Antifoni e Clara Allasia, sull’opera d’Arturo Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo, a cura di Claudia Allasia e Walter Meliga, Bruno Mondadori Editore, anno 2002”, s’afferma: “ … come nel Medioevo la tradizione subentrasse alla conoscenza obiettiva, e la compisse impastata di fede, d’immaginazione e talora di superstizione. Graf ci restituisce un Medioevo popolato di “diavoli goffi e bizzarre streghe, di santi navigatori “irrequieti e audaci” che prendono il mare alla ricerca del Paradiso Terrestre, e di vulcani che ospitano eroi esiliati dal mondo.” Tutto ciò ci autorizza a ritenere che in tale “clima” abbiano continuato ad allignare i riti della fertilità e fecondità, facenti quindi parte della tradizione su accennata, radicati da millenni nelle consuetudini dei popoli e giunti, come abbiamo veduto, sino ai nostri giorni, seppure emendati, purificati e santificati dal cristianesimo. In tutti i casi, desideriamo chiudere quest’opera con le stesse parole pronunciate da Luana Bonfiglio in occasione delle sue ricerche sul termine “MISTERI” dal quale prende nome la processione di Trapani, scoprendo come questo vocabolo fosse già presente nell’antico Egitto e particolarmente venerato nella Grecia classica, come da noi riportato nel capitolo di quest’opera dedicato alla suddetta civiltà; in particolare nella trattazione del mito e dei riti che si celebravano in onore del dio Dioniso, ai quali la religione cristiana ha sostituito quelli di venerazione dell’Arcangelo Gabriele, quali quelli praticati a Trapani, che per alcuni particolari si gemellano con quelli di Sassari e con tutte le altre sagre in cui il simbolo dell’ardente fede e del ringraziamento alla divinità è rappresentato dai ceri. Tali parole che qui di seguito si riporteranno, ci confortano notevolmente sulla veridicità e bontà del nostro assunto, giunto senza che noi e lei si fosse preventivamente informati delle ricerche che lei aveva condotto, e che noi intendevamo condurre. È stato per fortunoso e piacevole caso che noi ne siamo stati informati (sito Web http://www.processionemisteritp.it/misteriantichita.htm): “CON LE RICERCHE AMPIAMENTE RIFERITE S’INTENDE AVVALORARE LE NUMEROSE TEORIE CHE VOGLIONO COLLEGARE I MISTERI AD ANTICHI RITI GRECI ED ORIENTALI, SULL’IMPIANTO DEI QUALI S’INSTAURÒ SUCCESSIVAMENTE LA TRADIZIONE CRISTIANA, BENEMERITA E SALVIFICA PER LA SOPRAVVIVENZA E CONSERVAZIONE DEI MITI E DEI RITI CHE CI FANNO VIVERE E COMPRENDERE LA TORMENTATA VIA PERCORSA DALLA LUCE DELLA VERITÀ …”. Gli Autori DIZIONARIETTO DEI PERSONAGGI E DEI TERMINI MITOLOGICI CITATI A · Accolito, seguace, fautore, specialmente in senso spregiativo. · Adepti, affiliati, seguaci, iniziati. · Adone, bellissimo figlio incestuoso di Cinira e Mirra. Amato da Venere, fu da questa tramutato in anemone quando morì azzannato da un cinghiale che Marte gli aveva aizzato contro per gelosia. Proserpina lo concesse a Venere per sei mesi l’anno. Il mito d’Adone simboleggia il risveglio della natura a primavera. · Afrodite, nome greco di Venere. · Aganippe, fonte sacra alle Muse sul monte Elicona, scatturita per una zoccolata del cavallo Pegaso; dava l’ispirazione poetica a chi vi beveva. · Agrionie, della città greca d’Agrinion. · Ah – Mun, dio maya del mais. · Aiace Telamonio, re di Salamina, il più forte dei greci dopo Achille. Morto questo ne pretese le armi in contesa con Ulisse. Non avendole ottenute impazzì e s’uccise. · An, divinità semitica del cielo. · Anatema, scomunica, maledizione. · Aniconia, privo di rappresentazione figurata. · Antesterie, feste ateniesi in onore di Dioniso celebrate, per tre giorni, nel mese detto antesterione (dalla seconda metà di febbraio alla prima di marzo. (In quest’occasione erano i padroni a servire i loro servi). · Antropofagia, uso di cibarsi di carne umana, cannibalismo. · Antropologia, scienza che studia l’uomo come appartenente ad una specie zoologica, in altre parole con metodi naturalistici. · Antropologico, cultore d’antropologia. · Apollo, dio romano figlio di Giove e di Latona, fratello di Diana. Identificato dai Greci con Febo (il Sole), il protettore delle arti, della medicina e dei vaticini. · Arconte, ciascuno dei supremi magistrati della repubblica ateniese. · Argolico, dell’Argolide (Grecia). · Arianna, figlia di Minosse Creta e di Pasifae; aiutò Teseo, suo promesso sposo, nell’uccisione del minotauro e, per mezzo di un filo, ad uscire dal labirinto. Abbandonata dall’eroe sull’isola di Nasso, sposò il dio Dioniso, ottenendo l’immortalità. · Asceti, che praticano l’ascetismo, persone di costumi austeri, dediti alla vita spirituale. · Aspersione, l’atto dell’aspergere con l’acqua benedetta. · Assiri, antico popolo abitante l’Assiria, comprendente l’Alta Valle del Tigri fino alle montagne dell’Armenia e le valli del grande e piccolo Zab · Astarte o, Isthart, dea fenicia sposa del dio Baal, venerata quale progenitrice di tutte le forme viventi e protettrice di varie città fenicie. Fu identificata dai greci con Afrodite. · Aritl, divinità tibetana. · Astarti o, Astarte, divinità cananea della fertilità · Atena, nome greco di Minerva. Impose il suo nome ad Atene. Gli ateniesi le dedicarono sull’Acropoli il Partenone e l’Eretteo. · Athum, divinità egizia, il creatore come Zeus greco · Attis, nella mitologia romana, dea della fecondità della terra; il suo culto come quello di Cibele, di carattere orgiastico, proveniva dalla Frigia. · Autoctono, nativo del luogo; originario, aborigeno. B · Baccanali, feste pagane in onore di Bacco; orgie, baldoria. · Baccanti, nell’antica Grecia le donne, dette anche menadi (folli), che eseguivano i riti orgiastici del dio Bacco e di Dioniso. · Bacco, · Bacco, romano. Si veda Dioniso. · Batchuè, dea madre del creato, ex Colombia, detta anche Tuzichogua. · Betilo, grossa e alta pietra infissa verticalmente nel suolo. C · Cadmo, mitico figlio d’Agenore, re dei Fenici. Partito alla ricerca della sorella Europa rapita da Giove, l’oracolo di Delfo gli ordina di fondare la città di Tebe. Ucciso un drago, ne seminò i denti, dai quali nacquero dei guerrieri che l’aiutarono nella fondazione della città. Sposò Armonia da cui ebbe Semele e Ino. · Castalia, nella miitologia greca, ninfa tramutata da Apollo in fonte e consacrata alle Muse. I pellegrini vi si purificavano e i poeti s’ispiravano bevendo alle sue acque. · Catartica, che opera catarsi, purificazione; liberazione dal dolore. · Cerere, dea delle biade e dei cereali, figlia di Saturno e di Cibele, madre di Proserpina. In suo onore si celebravano a Roma le feste dette Cerealia. Corrisponde alla greca Demetra. · Chihuacòatl, dea messicana della Terra. · Chimalman, dea atzeca che partorì vergine. · Chimera, greca, mostro con corpo e testa di leone, una seconda di capra sporgente dal dorso e coda costituita da un serpente. Figlia di Tifone e d’Echidna, fu uccisa da Bellerofonte. · Cibele, dea della fecondità della terra, molto onorata in Frigia; il suo culto, di carattere orgiastico, penetrò in Grecia, ove fu considerata madre degli dei e degli uomini col nome di Rea. A Roma il culto di Cibele si diffuse intorno al 205 a. C.: le furono consacrate le feste dette Megalesi. · Cimmeri, antica popolazione della Crimea; penetrata in Asia Minore nel sec. VIII a. C., guerreggio a lungo contro gli Assiri. Fu, infine sconfitta da Aliatte, re di Lidia (600 a. C.). · Cippo, colonna tronca e senza capitello, in genere con iscrizione, che può essere eretta come monumento funerario, oppure a commemorazione di un avvenimento; può servire anche da pietra confinaria o indicatrice. · Comparatico, da compare, padrino di un battezzando o cresimando; il padre del battezzato o del cresimato rispetto a chi lo tenne a battesimo o cresima. Rapporto, talvolta a sfondo sessuale, che si forma in occasione di certi riti d’origine pagana, fra un uomo e una donna anche se coniugati con altri; chi tiene mano ad un altro in azione poso pulita. D’anello. · Coribantismo, da coribanti, nella mitologia greca, divinità minori al seguito di Cibele. Fu loro affidato Zeus neonato, i cui vagiti i C. coprivano con danze orgiastiche per sottrarlo al padre, Crono che voleva divorarlo. Furono poi confusi con i Cureti. · Cosmica, appartenente al cosmo, universo. · Cosmogonia, l’origine dell’universo; narrazione e spiegazione mitologica o teologica o filosofica delle origini del mondo. · Cosmogonica, appartenente alla cosmogonia. · Cosmologico, da cosmologia: parte della filosofia che studia le leggi dell’universo. · Craterizzare, miscelare l’acqua col vino in un cratere; gran vaso usato anticamente per il vino. · Creatività, da creativo, che è capace di creare D · Delfine, la dragonessa serpentiforme provvista di un utero. · Demetra, la romana Cerere, dea delle biade e dei cereali, figlia di Saturno e di Cibele, madre di Proserpina. In suo onore si celebravano a Roma le feste dette Cerealia. · Diana, nella mitologia romana dea della caccia e dei boschi. Artemide in Grecia, figlia di Latona e di Giove, gemella d’Apollo, considerata pure la dea della castità e seguita da un folto gruppo di caste ninfe. Amò Endimione. Rappresentata come vergine cacciatrice con arco e frecce e la cerva bianca, che le era sacra, a fianco. A Roma protettrice degli schiavi. Era anche detta triforme, perché considerata divinità in cielo come Selene o Luna, in terra come Diana e nell’Inferno com’Ecate. · Dionisiache, di Dioniso o Bacco, sfrenato, scatenato, orgiastico. · Dionisie, feste in onore di Dioniso o Bacco. · Dionismo, da Dioniso o Bacco. · Dioniso, nella mitologia greca figlio di Zeus e di Semele, dio del vino, insegnò agli uomini la coltivazione della vite. Amò Arianna abbandonata da Teseo a Nasso. Il suo mito fu contaminato da elementi mistici e filosofici stranieri. Nella religione dei misteri gli s’attribuiva l’arte della divinazione e delle guarigioni. Le sue feste erano celebrate con riti orgiastici. Presso i Romani, Bacco. · Ditirambo, componimento corale della poesia greca che si recitava durante le feste dionisiache. · Dolmiche, di dolmen. · Duaumutef, divinità egizia · Dumuzi, poi Tammuz, sumero, dio della forza e della fecondità delle palme da dattero, sposo d’Inanna. E · Ecclesiastico, membro del clero, sacerdote. · Echidna, mostruoso essere metà donna e altrettanto serpente; figlia di Crisaore e di Calliroe, oppure di Tartaro e della Terra, madre delle Arpie, della Chimera, di Cerbero, dell’Idra e di Scilla, fu uccisa nel sonno da Argo. · Eleusi, antica città vicino ad Atene. · Eleusino, nativo d’Eleusi. · Ellenistica, da ellenismo, ciò che appartiene alla civiltà greca, specialmente nel periodo che va dalla morte d’Alessandro Magno alla battaglia d’Azio. · Eneolitica, dell’età del bronzo. · Epifanie, apparizioni, manifestazioni. · Era o Hera, nella mitologia greca, massima dea, figlia di Crono e di Rea, sorella e moglie di Zeus da cui ebbe Ares, Efesti, Ilizia ed Ebe; protettrice del matrimonio e delle partorienti. Giunone per i Latini. · Eracle, nome greco d’Ercole. · Ercole, dio romano, in greco Eracle. Eroe, figlio d’Alemena e di Giove: ancora in culla, quando Giunone gelosa, inviò due serpenti affinché lo uccidessero, li strangolò; ebbe Chirone come maestro e dopo le dodici fatiche impostigli da Euristeo, sposò Deianira. Uccise Nesso per gelosia, ma poi, avendogli Deianira, fatto indossare, inconsapevolmente, la tunica intrisa del sangue del centauro, colto da atroci dolori, si fece erigere un rogo e morì. · Erinni, nome greco dato alle Furie, divinità infere romane. I loro nomi errano: Tisifone (punitrice), Megera (odio) e Aletto (turbamento). · Erodoto, storico greco (tra il 490-480 a. C.) · Escatologica, da escatologia, dottrina riguardante il destino finale ed eterno dell’uomo e dell’universo. · Esistenziale, relativo all’esistenza o all’esistenzialismo. · Esoterico, segreto, da iniziati. · Estatica, d’estasi, che è in tale stato. · Estroversa, rivolta all’infuori; che o chi s’interessa del mondo esteriore ed evita l’introspezione. · Etnologica, che concerne l’etnologia: scienza che studia le razze umane, i loro caratteri fisici e morali e le relative relazioni sociali. · Evangelico, del Vangelo, conforme al Vangelo · Evemerizzato, da everismo, dottrina che tende a spiegare l’origine dei miti con la divinizzazione d’uomini insigni (da Evemero che nel suo Sacro scritto sviluppò tale metodo critico). · Evoé, grido d’incitamento e d’esultanza durante la celebrazione dei riti dionisiaci. F · Fallo, immagine del membro virile, in legno o altro oggetto di culto come simbolo della fecondità. · Fecondità, l’essere fecondo. Capacità produttiva di un terreno. · Fertilità è la facoltà di riprodursi, di cui è dotato in genere, ogni organismo vivente. · Filogenetico, da filogenesi, studio degli stadi successivi attraverso i quali. Nelle diverse ere geologiche sono transitati gli organismi viventi. G · Ged o Geb (la Terra), divinità egizia. · Genesi, origine, generazione, nascita, in senso proprio e figurato. · Genetico, che concerne la genesi o la genetica. · Giudicato, ciascuna delle quattro provincie in cui si divideva un tempo la Sardegna. · Giunone, si veda Hera o Era. · Glossa, nota esplicativa, chiosa a voce oscura o poco usata che richiede un’interpretazione; commento, illustrazione, postilla. · Graie, mitiche figlie di Forco e di Ceto, sorelle delle Gorgoni, di cui erano custodi. · Gremio, corporazione d’arti e mestieri. H · Horus, divinità egizia, figlio d’Osiride e d’Iside. · Hu – Tu, nome attribuito in Cina alla divinità della Terra J · Yoni, organo femminile, simbolo della dea indù Durga o Visnu. I · Iconoclasta, sprezzatore del culto delle immagini. · Idolatria, culto degli idoli. · Idra di Lerna, mitico mostro con sette teste, che rinascevano appena recise, ucciso da Ercole. · Ierodulia, prostituzione sacra. · Ieroedula, prostituta sacra. · Ierogamia, da ierologia, studio della storia delle singole religioni. · Il Matar, divinità finnica, considerata la prima donna del genere umano. · Inanna, divinità sumera della guerra, dell’amore sessuale, della fertilità e dei magazzini, sposa di Dumuzi. · Inibizione, proibizione, impedimento · Iniziatico, che riguarda l’iniziazione ad un culto, ad un’associazione, ad un particolare forma di vita. · Interiorizzare, rendere più intimo; trasferire qualcuno alla vita dello spirito. · Intrinseco, che è dentro la natura stessa di una cosa. · Introversa, volta in dentro. · Ippocratico, d’Ippocrate, famoso medico dell’antichità. · Isthart, divinità babilonese, della guerra e dell’amore sessuale che sostituì Inanna anche dea dei magazzini e dei temporali, sposa di Tammuz, associata al pianeta Venere e, come tale, protettrice delle prostitute. Più tardi divenne dea dell’Universo. · Itifallico, con più falli. L · Linga, simbolo fallico del dio indù Siva. · Litolatria, adorazione delle pietre. · Lustrale, che appartiene alla cerimonia del lustro v.// che purifica, che asperge. M · Macrocosmo, (gran mondo) termine filosofico designante l’universo, in contrapposizione all’uomo considerato come microcosmo (piccolo mondo). · Magismo, culto magico. · Mayaul, dea atzeca della fertilità e dell’agave, simile a Bacco e a Venere. · Mammellata, superficie di minerali con sporgenza arrotondata. · Megalitiche, di megalite: monumento preistorico, costituito da colossali blocchi di pietra grossolanamente tagliati e variamente sistemati per costruire altari o tombe. Sono megaliti i dolmem, menhir, i cromenlech. · Menadi, baccante. · Metamorfosi, trasformazione; in particolare, mutazione di un uomo in una pianta, in un animale o in una pietra, ritenuta possibile, presso i primitivi, per effetto di forze magiche o soprannaturali. · Microcosmo, piccolo mondo. · Minerva, nella mitologia romana, dea della sapienza e delle arti, originariamente venerata in Etruria. Nel I secolo il suo culto fu introdotto in Roma, dove fu identificata con la greca Atena, fu considerata la dea della guerra, della libertà cittadina, della medicina; con Giove Giunone costituiva la triade capitolina. · Mito, racconto favoloso intorno agli dei, agli eroi o alle origini, alle tradizioni e gesta di un popolo · Mitoleghimi · Mitoleghimi, racconti di miti tramandati ai posteri soltanto verbalmente. · Mitologia, l’insieme dei miti di una nazione. · Mitologica, della mitologia, del mitologo. · Modus vivendi o pensandi (modo di vivere o di pensare) · Moire, greche, Cloto, Lachesi e Atropo, figlie della Notte o di Zeus e di Temi, divinità al cui volere sottostavano dei e mortali. Presiedevano alla nascita, al corso della vita e alla morte degli uomini; abitavano nell’Ade, presero parte alla guerra dei Titani contro Zeus. Raffigurate come vecchie orribili, furono dai Romani identificati con le Parche. · Morfologia, studio delle forme. · Muse, greche, figlie di Zeus e di Mnemosine, divinità protettrici delle scienze e delle arti; furono identificate dai Romani con le Camene. I loro nomi sono: Calliope (poesia epica), Polimnia (quella lirica), Clio (storia), Euterpe (musica col flauto), Tersicore (danza), Erato (poesia amorosa), Melpomene (tragedia), Talia (commedia) e Urania (astronomia). N · Naiadi, nome generico delle ninfe dei fiumi (Potameidi), delle sorgenti (Creniadi) e dei laghi (Limnadi), erano figlie di Giove, presiedevano alla fecondità della terra e proteggevano i matrimoni. · Nebrizzare, da nebride, la pelle di cerbiatto, di capra o di leopardo con cui si coprivano le baccanti nei riti dionisiaci. · Nut (il cielo), divinità egizia O · Obbrobrio, gran vergogna // grave disonore, infamia- · Omofagia, il cibarsi di carne cruda. · Onirica, di sogno // delirio o, alterazione mentale che da alle idee la vaghezza confusa dei sogni. · Orfeo, nella mitologia greca è figlio d’Eagro e della musa Calliope. · Orfeo, nella mitologia greca figlio d’Eagro e della musa Calliope, famoso cantore e suonatore di lira, con cui ammansiva le belve e si faceva seguire dalle piante. Fu uno degli argonauti e vinse le sirene con la dolcezza del suo canto. Amò Euridice ed essendo ella morta il giorno stesso delle nozze, discese agli Inferi dove commosse tanto Proserpina e Plutone, che gli concesse di riportarsi l’amata sulla terra a patto che non si volgesse a guardarla prima che fosse uscito dal regno dei morti. Orfeo disubbidì ed Euridice ripiombò nell’Ade; disperato e disdegnoso di nuove nozze, fu dilaniato dalle baccanti. Sarebbe il fondatore del movimento religioso di tipo iniziatico detto Orfismo. · Orfiche, d’inni e poemi attribuiti ad Orfeo // culti mistici praticati nell’antica Grecia la cui fondazione si faceva risalire ad Orfeo // appartenente alla setta mistica che praticava l’orfismo; seguace di riti misteriosi. · Orfismo, culto orfico; l’insieme dei misteri di tale tipo. Religione dei misteri. P · Pachamama, dea atzeca, rappresentava la Terra. · Paletnologia, studio delle civiltà preistoriche. · Panellenico, relativo a tutte le stirpi elleniche. · Paredro, divinità pagana associata nel culto ad una più nota e poplare, in un fenomeno di sincretismmo religioso. · Parjania, nella religione veda (India) è la dea della fertilità · Pastorissa, la donna del pastore Gallurese. · Penteo, mitico re di Tebe; avendo proibito nella città il culto di Dioniso, il dio lo punì facendo impazzire la madre Agave che lo uccise. · Persefone, figlia di Zeus e di Demetra, dea dei cereali; rapita da Ades, divenne regina dell’Oltretomba. Per volere di Zeus, viveva per sei mesi con la madre e altrettanti col marito; per i Romani, Proserpina.. · Perseo, figlio di Zeus e di Danae; uccise Medusa con l’aiuto d’Atena ed Ermete. Liberò dalla prigionia di un mostro Andromeda, figlia del re degli Etiopi e la sposò; fu sovrano di Tirinto e di Micene. · Pleonastico, sovrabbondante di uno o più termini in una frase; fenomeno tipico delle forme enfatiche letterarie o del parlare familiare. · Podestà, magistrato che era a capo di un ente territoriale. · Preistorico, anteriore ai tempi storici. · Preolimpico, prima delle divinità olimpiche. · Primordiale, dei primordi, primitivo, originario. · Proliferazione, atto ed effetto del proliferare. · Proselistica, da proselitismo: il far proseliti, tendenza a conseguire tale risultato. · Pulsionale, da pulsione, impulso, stimolo emotivo, tendenza istintiva. R · Ra (il Sole), divinità egizia · Regolo, o giudice, capo di uno dei quattro giudicati nei quali era diviso la Sardegna una volta. S · Satiri, nella mitologia greca, divinità minori, formanti il corteo di Bacco; abitavano i boschi ed i monti. Avevano l’aspetto in parte d’uomini, in altra di capri. · Satiro, divinità minore del mito greco e poi romano, di vita e abitudini boscherecce. · Sciamano, tipo di stregone che opera in stato di sonno ipnotico. Agli sciamani è attribuita la facoltà d’entrare in comunicazione con le potenze soprannaturali mediante un’estasi raggiunta con procedimenti magici (sciamanesimo). · Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe e d’Armonia, ebbe da Zeus, Dioniso; morì incenerita, avendo voluto vedere Zeus nel fulgore della sua maestà. · Semitico, dei Semiti. · Sfinge, nella mitologia greca mostro alato dal volto di donna e dal corpo leonino. Viveva sul monte Citerone e proponeva ai passanti un enigma, divorando poi chi non lo risolveva; quando l’indovinello fu risolto da Edipo, si uccise. Nella mitologia egiziana era il simbolo del Sole; celebre la Sfinge d’El Giza, scolpita nella roccia (lunga m. 73,50 e alta m. 20). · Smembramento, lo smembrare, separazione in membri, in parti. · Solstizio, ciascuno dei due momenti in cui il Sole raggiunge, nel corso dell’anno, la massima declinazione. · Sostratto, strato sottostante, substrato. T · Tammuz, già Dumuzi, babilonese, sposo d’Isthart, dio della fecondità. · Tefnut, divinità egizia del mare e del deserto · Teologia, la scienza di Dio di tutto ciò che a Dio si riferisce. · Teseo, eroe attico, figlio d’Egeo, re d’Atene e d’Etra; librò l’Attica da mostri e briganti, con l’aiuto d’Arianna (che sedusse e poi abbandonò in un’isola dell’Egeo) uccise Minotauro: divenuto re d’Atene, attuò riforme e fondò le feste Panatenee. Aiutò Eracle nella guerra contro le famose donne Amazzoni, sposò la regina Ippolita, da cui ebbe Ippolito; partecipò con Piritoo alla lotta contro i Lapiti e i Centauri, al ratto d’Elena e Persefone. Rimasto incatenato nell’Ade, fu liberato da Eracle. Fu ucciso dal re Licomede di Sciro. · Teti, dea del mare, figlia d’Urano e di Gea, sorella e moglie d’Oceano, da cui ebbe le Oceanine e i maggiori fiumi del mondo. · Tiadi, baccanti. · Tiara, specie d’alto turbante rigido che era portato anticamente da principi e sacerdoti orientali // copricapo di forma conica portato dal papa. · Tiaso, nell’antica Grecia, membro di un’associazione dionisiaca. · Tieste, nella mitologia greca, figlio di Pelope e d’Ippodamia e fratello d’Atreo; avendo questo rifiutato di dividere il regno con lui, gli insidiò la moglie Aerope. Esiliato da Atreo e invitato da questi a rimpatriare dopo vari anni, gli furono offerti in pasto le carni dei figli avuti da Aerope. Inorridito, fuggì col figlio Egisto; questo lo rimise poi sul trono uccidendo Atreo. · Tirso, presso gli antichi Greci e Romani, asta munita in punta di una pigna o di un mazzo di pampini e con attorno, tralci di vite e ramoscelli d’edera, che era considerata come un attributo di Dioniso e portata da ogni Baccante nelle feste. · Titani, nome degli dei precedenti a quelli dell’Olimpo greco; figli d’Urano e Gea, si chiamavano Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono. Su istigazione della madre, mossero contro Urano che fu vinto da Crono. Aiutarono quest’ultimo nella lotta contro il figlio Zeus (Titanomachia), ma, sconfitti, furono precipitati nel Tartaro. · Tlazolteotl, dea totonaca della lussuria. · Toromorfiche, aventi le forme di un toro o dei suoi attributi. U · Uranica, una delle nove Muse dell’Astronomia. V · Venere, dea romana della bellezza e dell’amore, identificata con Afrodite. Amò Marte, Adone ed Anchise dal quale ebbe Enea. Paride, aggiudicò a lei il pomo della discordia, preferendola a Giunone e a Minerva. L’accompagnavano le Grazie e le era sacro il mirto. Z · Zeus, nella mitologia greca, massimo dio dei Greci, originariamente adorato come divinità dei fenomeni celesti e atmosferici, ordinatore dell’universo, signore degli dei e degli uomini. Figlio di Rea e di Crono, privò il padre del regno; nella divisione dell’universo diede al fratello Poseidone il regno delle acque, a Ades quello d’Oltretomba, tenendo per se il dominio del cielo e della terra. Fratello e marito d’Era, da cui ebbe Efesto, Ares ed Ebe, s’unì ad altre dee e mortali e fu padre di numerosi figli fra cui Afrodite, Apollo, Ermete ed Eracle. Era ritenuto protettore della famiglia, dei re, delle città e dei giuramenti; fu particolarmente venerato a Creta (monte Ida), in Arcadia (il Liceo) e in Attica (acropoli d’Atene). Identificato con Ammone e Giove, gli furono dedicati i giochi olimpici e in Olimpia gli fu eretto il famoso tempio con la statua crisoelefantina opera di Fidia. · Ziqqurat, voce babilonese, torre templare quadrangolare che s’eleva con terrazze degradanti, fino ad accogliere sull’ultima terrazza un tempio o una cella templare, tipica della cultura mesopotamica. Ziggurat. BIBLIOGRAFIA STAMPATA E ON LINE AA. VARI, Civiltà Nuragica, Electa, Milano, 1985 1) AA. VARI, Ichnusa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano, 1981 2) AUTORI DIVERSI, I Sardi, Ed. Mediterranea, Milano, Jaka Book, 1984 3) AA. VARI, Il Carnevale in Sardegna, Cagliari, 1989 4) AA. VARI, Storia dei Sardi e della Sardegna, 4vols, Milano, 1988 5) ABRAHAM Karl, Sogno e mito: uno studio di psicologia dei popoli, in Opere, B. Boringhieri, Torino, 1997 6) ADORNO F., La filosofia antica, Feltrinelli 7) AMMIANO Marcellino, Le Storie, TEA 8) ANAGRO Michele, Il Tamburo degli Spiriti, Della Valle Ed. - Torino 9) ANATI E., I Camuni – Jaka Book - Valcamonica una storia per l’Europa, Edizionidel Centro 10) Antichità classica, Garzanti 11) ANGIUS V. & CASALIS G., Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale negli stati di S. M. il re di Sardegna, Torino, 1833-1856 12) Antologia, Sociologia della religione, Hoepli, 1961 13) ATZORI, A Bosa il carnevale è festa di Popolo, in Altair N. 6, Cagliari, 1978 14) ATZORI MARIO, Il selvatico nelle tradizioni sarde. Uomini, maschere ed esseri fanyastici, Sassari, 1988. 15) ATZORI Mario.-SATTA M.M., Credenze e riti magici in Sardegna, Sassari, 1983. 16) BARRECA F., La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari, 1986 (sono le opere più recenti sull’argomento, tutte con ampia bibliografia) 17) BIANCHI U., VERMASEREN M. J. 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AKKADIA (Grecia), pagine 3, 35 e 36 8. ALCARA LI FUSI (Messina), pagine 8, 112 e 144 9. ALLE E COUVERT DIEPONE (Francia), pagina 394 10. AMAZZONIA, pagina 8 11. AMERICA CENTRALE, pagina 6 12. AMERICA PRECOLOMBIANA pagina 9 13. AMERICA, pagine 4, 16 e 75 14. AMORRITA (Asia Minore), pagina 152 15. ANATOLIA (Turchia), pagina 19 16. ANDALUSIA (Spagna), pagina 40 17. ANTEDONE (Beozia), pagina 57 18. ARAGONA (Spagna), pagine 120, 145 e 148 19. ARBORIA (Sassari), pagine 138 e 139 20. ARCADIA (Grecia), pagina 58 21. ARDARA (Sassari), pagina 140 22. ASIA MINORE, pagine 36, 48, 81 23. ASIA OCCIDENTALE, pagina 65 24. ASINARA (Isola dell’…) – Portotorres (Sassari), pagina 138 25. ASSIRIA (Asia anteriore), pagina 35 26. ATARGATIS (Siria), paagina 88 27. ATENE (Grecia), pagine 46, 47, 51, 53, 57, 88 e 152 28. ATTICA (Grecia), pagina 60 29. AUXERRE (Francia), pagina 64 30. AVENY (Francia), pagina 39 31. AVEYRON (Francia), pagina 39 32. BAALBEK (Libano), pagina 152 33. BABELE, pagina 112 34. BABILONIA (Asia Anteriore), pagine 20, 21, 35, 47, 65 e 152 35. BAGHDAD (Iraq), pagina 5 36. BARBAGIA (Sardegna), pagina 112 37. BARCELLONA (Spagna), pagina 147 38. BASILICATA (Italia), pagina 112 39. BELLHAIE (Francia), pagina 39 40. BENDIS (Turchia), pagina 88 41. BEOZIA, pagina 37 42. BERITO (Fenicia-Libano), pagina 32 43. BETANIA (Giudea), pagina 63 44. BEURY (Francia), pagina 39 45. BIBLO (Fenicia-Libaano), pagina 32 46. BIQUECCA (Sassar), pagina 139 47. BITETTO (Bari), pagina 67 48. BOLOTANA (Nuoro), pagina 83 49. BONORVA (Sassari), loc. “Su Monte”, pagina 39; “Nuraghe Giove”, pag. 39. “Codinalzu, pag.39 50. BORISTENE (Dniepr), (Ucraina),pagina 51 51. BOSA (Nuoro), pagine 8,13,38 e 109 52. BOURY (Francia), pagina 39 53. BRASILE, pagina 117 54. CAGLIARI, pagine 27, 132, 143, 147, 148 e 150 55. CALABRIA, pagina 17 56. CALDARE (Sicilia), pagina 39 57. CAMPANIA, pagine 84 e 112 58. CAMPOBASSO, pagine 93,98,100, 101 e 137 59. CAMPU DE FURRU (Sassari), pagina 138 60. CAMPU LONGU (Sassari), pagina 1129 61. CANAAN (Fenicia, Siria Meridionale e Palestina), pagine 19, 20, 21, 35, 63, 142 e 143 62. CAPIZZI (Messina), pagine 8, 116 e 137 63. CARAIBI, pagina 14 64. CARAVAGGIO (Bergamo), pagina 89 65. CARIA (Turchia), pagina 57 66. CARTAGINE (Fenicia, attuale Tunisia)pagine 16, 127, 128, 141 e 143 67. CASTELLUCCIO (Sicilia), pagina 39 68. CATALOGNA (Spagna), pagine 145, 147 e 148 69. CATANIA, pagine 8, 17, 77, 78, 93, 137, 143 e 144 70. CELTI (Gallia, Bretagna, Irlanda ed Iberia), pagine 63 e 68 71. CIMMERI (Antica popolazione della Crimea), pagina 56 72. CINA, pagine 75 e 76 73. CIPRO, pagine 88 e 152 74. CITERONE (Fiume …)-(Grecia), pagina 49 75. CIVITAVECCHIA, pagina 128 76. COLOMBIA, pagina 75 77. CORINTO (Crecia), pagine 58 e 60 78. CORSICA, pagine 19 e 128 79. COSTANTINOPOLI (Turchia), pag. 77 80. CRETA (Isola di …) - (Grecia), pagine 53 e 102 81. CROISARD (Bretagna), pagina 39 82. CUBA, pagina 117 83. CUZCO (Perù), pagina 78 84. DALMAZIA, pagina 100 85. DAMPMESNIL (Francia), pagina 39 86. DAMPONT (Francia), pagina 39 87. DEIR EL MEDINA (Egitto), pagina 11 88. DELFI (Grecia),pagine 45 e 54 89. DODONA (Grecia), pagina 57 90. DOGLIANZA (Cagliari), pagina 82 91. DONIGALA (Cagliari), pagina 82 92. DORGALI (Nuoro), pagina 114 93. DUALCHI (Nuoro), loc. “Cuvas”, pagina 20 94. EGEO (Isole dell’…). – Cnosso, Festo e Mallia), pagine 37, 59, 60 95. EGINA (Grecia), pagina 60 96. EGITTO, pagine 6, 8, 11, 12, 16, 2°, 21, 25, 26, 36, 65, 68, 75, 83, 88, 132, 152 e 154 97. ELEUSI (Grecia), pagine 88, 98 e 107 98. ELIDE (Grecia), pagine 46, 48, 52 e 57 99. ELIGA (Sassari), pagina 139 100. ELIGOI (Sassari), pagina 139 101. ELIOPOLIS (Siria), pagina 152. 102. EREK (Accadia), pagina 30 103. ETIOPI, pagina 56 104. ETNA (Catania) pagina 77 105. EUBEA (Grecia), pagina 60 106. EUROPA, pag. 132 107. FARO (Sicilia), pagina 58 108. FAYYUM (Gouroub-Africa), pagina 53 109. FENICIA (Asia Minore), pagine 21, 26, 32, 70, 141, 143, 110. FENICIA PUNICA (Asia e Africa), pag. 33 111. FINLANDIA, pagina 14 112. FIRENZE (Toscana), pagina 99 113. FLUMINARIA (Sassari), pagina 140 114. FOCIDE (Grecia), pagina 57 115. FORLIMPOPOLI (Forlì), pagine 15, 102, 103 e 144 116. FRAGUESA (Sassari), pagina 139 117. FRANCIA, pagine 5 e 39 118. FRIGIA (Asia Minore), pagine 44, 51 e 66 119. GALLIA (Europa Occidentale), pagina 143 120. GALLURA (Sardegna), pagine 12 e 32 121. GARD (Francia), pagina 39 122. GENOVA (Liguria), pagine 143 e 147 123. GERIDU (Sassari), pagina 139 124. GERMANIA. Pagine 63 e 143 125. GERUSALEMME (Israele), pagine 22 e 152 126. GIAPPONE, pagine 14, 102 e 116 127. GINEPRI – Bosco dei – (Sassari), pag. 147 128. GIUDA (Regno di …) - (Israele), pag. 29 129. GIUDEA (Asia Occidentale), pagine 21, 111, 152 130. GRAN BRETAGNA, pagina 5 131. GRECIA, pagine 8, 13, 17, 19, 35, 36, 43, 44,48, 58, 51, 52, 56, 57, 60, 65. 76, 83, 88, 132, 143, 152 e 154 132. GUBBIO (Perugia), pagine 6, 7, 8, 13, 17, 70, 71, 80, 93, 132, 137, 143, 144 e 152 133. GUSPINI (Nuoro), loc. “Genna Prunas”, pagina 19 134. HAITI, pagine 69 e 117 135. IGLESIAS (Cagliari), pagine 120, 121 e 152 136. INDIA, pagine 4, 8, 62, 74, 75 e 132 137. INDONESIA, pagina 102 138. INGINO (Monte …) - (Gubbio), pagine 80 e 81 139. IONIO (Isole del Mar …), pagina 57 140. ISRAELE, pagine 8, 20 e 29 141. ITALIA, pagina 19 142. KARNAK EL ABU SIMBEL (Egitto), pagina 27 143. KOSSOVO (Iugoslavia), pagina 117 144. LACONIA (Grecia), pagina 57 145. LAZIO, pagina 112 146. LERNA (Lago di …) – (Grecia), pagine 44,45 e 73 147. LIBIA, pagine 16 e 59 148. LICEO (Atene, Grecia), pagina, 58 149. LOGUDORO, pagine 140 e 141 150. LOURDES (Francia), pagina 5 151. LUALDA (Sassari), pagina 139 152. MACOMER (Nuoro), loc. “Tamuli”, pagine 20 e 38 153. MALTA, pagina 5 154. MAMOIADA (Nuoro), pagina 114; loc. “Trunca Puddas”, pag. 33 155. MARNE (Francia), pagina 39 156. MASCARI (Rio …) – (Sassari), pagina 16 157. MATERA, pagina 63 158. MEDIO ORIENTE, pagine 8,17,20, 21, 30 e 132 159. MESOPOTAMIA, pagine 12,19, 20 e 100 160. MESSICO, pagina 132 161. MESSINA, pagine 17, 71, 88, 89, 91 e 143 162. MISIA (Asia Minore), pagina 58 163. MOLISE, pagina 98 164. MONGOLIA, pagina 143 165. MORBIHAN (Bretagna), pag.394 166. NAPOLI, pagina 47 167. NEANDERTHAL (Germania), pagina 75 168. NEBRODI (Sicilia), pagine 112 e 116 169. NILO - Valle (Egitto), pagine 4, 6, 7, 18, 70 e 137 170. NOLA (Napoli), pagine 6, 7, 8, 13, 17, 70, 71, 84, 93, 132, 137, 143, 144 e 152 171. NONOI (Sassari), pagina 139 172. NORA (Cagliari), pagina 21 173. NORAGUGUMENE (Nuoro), pagina 111 174. NORBELLO (Cagliari), loc. “Perda Cossu”, pagina 38 175. NOTO (Siracusa), pagine 8,13, 17, 71, 93, 97, 137, 143 e 144 176. NULVI (Sassari), pagine 8, 126, 127, 144 e 152 177. NURRI (Nuoro), pagina 152 178. OCEANIA, pagina 4, 8, 14, 16, 75 e 132 179. OISE (Francia), pagina 39 180. OLBIA (Grecia), pagina 51 181. OMAN (Asia Sud Occidentale), pagina 34 182. ONIFERI (Nuoro), pagina 114 183. ORIENTE SEMITICO, pagina 152 184. OROSEI (Nuoro), pagina 111 185. ORTIGIA (Sicilia), pagina 57 186. OTTANA (Sassari), pagina 139 187. OTTAVA (Rio …) - (Sasari), pagina 16 188. OZIERI (Sassari), pagine 8, 126, 127, 144 e 152 189. PAESTUM (Salerno),pagina 74 190. PALERMO, pagina 128 191. PALESTINA, pagine 21, 22, 29, 36 e 152 192. PALMI (Messina), pagine 71, 93 e 143 193. PATARA (Palermo), pagina 47 194. PAULILATINO (Cagliari), loc. “Goronna”, pagina 38, loc. “Perdu Pes”, pagina 39 195. PERU’, pagine 5, 14 e 132 196. PESSINUNTE (Galazia in Asia Minore), pag 88 197. PETRALIA (Palermo), pagina 110 198. PISA, pagine 120, 121, 127, 128, 130, 143 e 147 199. PLATAMONA (Sassari), pagina 139 200. PLOAGHE (Sassari), pagine 8, 126, 127, 144 e 152 201. PORTOTORRES (Sassari), pagine 12, 20 e 146 202. PROVENZA (Francia), pagina 147 203. QUERQUI (Sassari), pagina 139 204. QUITERNO (Sassari), pagina 139 205. RANDAZZO (Catania), pagina 93 206. RODI (Isola di …), pagine 57 e 60 207. ROMA, pagine 8, 13, 21, 56, 59, 62,66, 69, 77, 83, 106, 107, 117, 132, 134, 140, 141 e 152 208. ROMAGNA, pagine 102, 104 e 130 209. ROSARNO (Reggio Calabria) pagina 93 210. ROSSO (Mare …), pagina 75 211. SABINA, (Lazio) pagina 69 212. SAN FRATELLO (Messina), pagine 8 e 110 213. SAN VERO MILIS (Oristano), loc. “Perda Fitta”, pagina 19 214. SANLURI Cagliari), pagina 148 215. SANTA MARIA DI BETHLEM (Chiesa di …) - Sassari, pagine 129 e 130 216. SANTU LUSSURGIU (Oristano), pagina 114 217. SARDEGNA, pagine 5,12, 15, 17, 19, 25, 27, 32, 33, 3839, 70, 109, 112, 128, 130, 145, 147 e 148 218. SASSARI, pagine 6, 7, 8, 12, 17, 18, 20, 52, 70, 71, 76, 77, 80, 82, 93, 94, 101, 127, 128, 130, 132, 137, 138, 140, 146, 147, 148, 150, 151, 152, 154 219. SEDILO (Oristano), loc. “San Costantino”, pagina 38 220. SEMINARA (Reggio Calabria), pagina 93 221. SEMITI (Africa settentrionale e il confinante Oriente), pagina 30 222. SERRI (Nuoro), pagine 27 e 37 223. SETTEPALME (Sassari), pagina 139 224. SICILIA, pagine 17, 19, 57 e 112 225. SIDONE (Fenicia), pagina 32 226. SIENA (Toscana), pagina 94 227. SILANUS (Nuoro), pagina 114, loc. “Sa Pedra Longa”, pagina 38 228. SILO (Israele), pagina 152 229. SIMETO (Fiume …)-(Catania), pag. 77 230. SINISCOLA (Nuoro), pagina 114 231. SIRACUSA, pagina 57 232. SIRAI (Monte…) – (Sardegna), pagina 21 233. SIRCHIS (Sassari), pagina 138 234. SIRIA, pagine 21,22, 36, 65 e 152 235. SIURGUS DONIGALA (Cagliari), pagine 8,82 e 152 236. SIVIGLIA (Spagna), pagina 78 237. SOSSOINATE (Sassari), pagina 139 238. SPAGNA, pagine 124, 143 e 145 239. SPARTA (Grecia), pagina 57 240. SULCIS, loc. “Montessu” (Cagliari), pagina 20 241. SUMERI (Antica Mesopotamia meridionale), pagine 20, 21, 23, 30, 35, 36 e 88 242. SUNIO (Capo …) (Attica-Grecia), pagina 60 243. TAGGIA (Imperia), pagina 64 244. TANIGA (Sassari), pagina 139 245. TARTARIA PRECOPENSE (dal Mar Nero all’Oceano Pacifico), pagina 138 246. TATARI (Sassari), pagina 139 247. TEBE (Grecia), pagine 43 e 48 248. TEBE, (Egitto), pagina 11 249. TENO (Isola di …), pagina 60 250. TEOS (Grecia), pagina 48 251. TESSAGLIA (Grecia), pagina 57 252. THARROS (Oristano), pagina 32 253. TIBET, pagina 62 254. TIGRI (Fiume …)-(Asia Occidentale), pagina 5 255. TIN HINAN – Sahara Centrale – (Africa), pagina 39 256. TINDARI (Messina), pagina 112 257. TIRO (Fenicia-Grecia), pagina 32 258. TORPE’ (Nuoro), pagina 114 259. TORRALBA (Sassari), pagina 114 260. TORRES (Sassari), pagine 130, 138, 139, 140 e 143 261. TORTORICI (Messina), pagine 8 e 116 262. TOSCANA, pagina 112 263. TOURS (Francia), pagine 64 e 67 264. TOUSSE (Sassari), pagina 139 265. TRACIA (Bulgaria, Grecia e Turchia), pagine 43 e 44 266. TRAPANI, pagine 98 e 154 267. TREBIAND – Isole - (Oceania), pagina 19 268. TROADE (Asia Minore), pagina 57 269. TROIA (Asia Minore), pagine 58 e 59 270. TROU AUX ANGLAIS AUBERGENVILLE (Francia), pagina 39 271. TURRITANO – Rio – (Sassari), pagina 140 272. UR (Caldea) - (Mesopotamia, pagina 20 273. USTICA (Palermo), pagina 128 274. VITERBO, pagine 17, 71, 93, 94 e 144 INDICE TESTO Pag. v PRESENTAZIONE…………………………………………………………………….…4 v PREMESSA………………………………………………………………………………..6 v PREFAZIONE…………………………………………………………………………….8 Candelieri, Candelore, Ceri, Cilii etc.: la verità su una diffusa festa di popolo……………….8 Miti e Riti: sogni e segni senza tempo……………………………………………………….9 v FALLOFORIA E RELATIVI RITI……………………………………………………….11 Espressione simbolica di vigore e vita……………………………………………………...11 Origine e diffusione del falloforismo………………………………………………………15 v CULTI DELLA FERTILITA’…………………………………………………………….21 v LA NASCITA ED IL CAMMINO PERCORSO DAI RITI PRIMITIVI………………...23 v L’ANTICO EGITTO……………………………………………………………………..26 Iside ed Osiride……………………………………………………………………………26 v MITI NELL’ORIENTE SEMITICO……………………………………………………..28 Il Mito ed il Simbolo………………………………………………………………………28 v MITI DELLA SARDEGNA……………………………………………………………...32 Ierodulia in Sardegna………………………………………………………………………32 Monti A Koddi…………………………………………………………………………….33 Il Culto dell’Acqua e dei Morti……………………………………………………………..37 Simbolismo e tentativo d’interpretazione…………………………………………………..38 Culti di fecondità e fertilità………………………………………………………………...40 v LA GRECIA………………………………………………………………………………43 Epifanie e occultamenti di un dio nato due volte…………………………………………..43 L’arcaicità d’alcune feste pubbliche………………………………………………………...46 Euripide e le orge dionisiache……………………………………………………………...48 Dopo che i Greci riscoprirono la presenza del dio…………………………………………52 v ROMA…………………………………………………………………………………….56 v IL CULTO DELLE FORESTE E LE DIVIVITA’ ARBOREE………………………….62 Introduzione………………………………………………………………………………62 Diana e gli alberi…………………………………………………………………………..62 Adone……………………………………………………………………………………..65 Attis……………………………………………………………………………………….66 Dioniso e Osiride………………………………………………………………………….66 La antiche divinità come animali…………………………………………………………..68 Considerazione……………………………………………………………………………68 v SIMBOLOGIA ALLUSIVA……………………………………………………………...73 v LA DANZA………………………………………………………………………………75 v LE CANDELORE DI CATANIA………………………………………………………..77 v LA FESTA DEI CERI DI GUBBIO……………………………………………………...80 I Ceri………………………………………………………………………………………80 v LA PROCESSIONE DEI CERI DI SIURGUS DONIGALA……………………………82 v LA SAGRA DEI GIGLI DI NOLA………………………………………………………84 Struttura dei Gigli.…………………………………………………………………………85 v LA VARA DI MESSINA………………………………………………………………….88 v LA VARIA DI PALMI (Messina)………………………………………………………….93 v LA MACCHINA DI SANTA ROSA DI VITERBO……………………………………...94 v I CILII DI NOTO………………………………………………………………………...97 Struttura degli ingegni…………………………………………………………………….100 v LA FESTA DELLA SEGAVECCHIA DI FORLIMPOPOLI…………………………...102 v LA FESTA DI SAN GIOVANNI………………………………………………………..106 v IL CARNEVALE DI BOSA……………………………………………………………..109 v LAFESTA DEI GIUDEI………………………………………………………………...110 Pag. v LA FESTA DEL MUZZUNI……………………………………………………………112 v LA FESTA DI SANT’ANTONIO ABATE……………………………………………...114 v ALTRE FESTE RELIGIOSE……………………………………………………………116 v ORIGINE DEI CANDELIERI, MISTERO E VERITA’ SU UN ANTICO RITO……..120 Il Candeliere……………………………………………………………………………...123 La Chiesa di Santa Maria…………………………………………………………………129 La Madonna Dormiente…………………………………………………………………130 v ANALOGIE E SIMILITUDINI………………………………………………………...132 v LA TRANSIZIONE DALLE CREDENZE PAGANE ALLA RELIGIONE E I MITI SALVATI, OSCURATI O ESTINTI………………………………………...134 v ANCORA QUALCHE ALTRA CONSIDERAZIONE SULLE SAGRE DESCRITTE..137 v ORIGINI DI SASSARI………………………………………………………………….138 Notizie sui primi abitatori………………………………………………………………..138 Cristiani nati……………………………………………………………………………...139 Turritani…………………………………………………………………………………140 Fenici e romani.………………………………………………………………………….141 Cananei…………………………………………………………………………………..142 v I GREMI………………………………………………………………………………..145 v LA PARTECIPAZIONE LAICA ALLA “DISCESA” DEI CANDELIERI……………150 v CONCLUSIONI...………………………………………………………………………152 v CONSIDERAZIONI FINALI………………………………………………………….153 v DIZIONARIETTO DEI PERSONAGGI E DEI TERMINI MITOLOGICI CITATI..155 v BIBLIOGRAFIA STAMPATA E ON LINE…………………………………………...166 v INDICE TOPONOMASTICO…………………………………………………………172 v EVENTUALE APPENDICE O ANNOTAZIONI…………………………………….182 INDICE ILLUSTRAZIONI v MONTI A KODDI……………………………………………………………………….31 v MENHIR………………………………………………………………………………….41 v MENHIR E UOMO VERDE…………………………………………………………….42 v CANDELIERE DI SASSARI E CANDELORA DI CATANIA………………………….79 v CERO DI GUBBIO E GIGLIO DI NOLA………………………………………………87 v VARA DI MESSINA EVARIA DI PALMI……………………………………………….92 v MACCHINA DI SANTA ROSA E CILII DI NOTO…………………………………….96 v LA SEGAVECCHIA DI FORLIMPOPOLI E IL CARNEVALE DI BOSA…………...105 v TUTTA PENE ED OROLOGIO AD ACQUA (LINGA DI SIVA E YONI)………….136 GRAFICI E TABELLE v LA SARDEGNA DAI TEMPI PREISTORICI ALL’ETA’ DEL FERRO……………….25 v ROTTE NAVALI E MOVIMENTI MIGRATORI NEL MEDITERRANEO ANTICO..72 v FESTE ESTINTE ED ESISTENTI ASSIMILABILI AI CANDELIERI DI SASSARI…118 v UBICAZIONE GEOGRAFICA IN ITALIA DEI SITI NEI QUALI SI’ CELEBRANO RITI SIMILARI A QUELLI DEI CANDELIERI DI SASSARI…………..……………..119 EVENTUALI APPENDICI O ANNOTAZIONI F I N E GLI AUTORI Due sinceri amici di gioventù, ora ultra settantenni, separati da lungo tempo dalle rispettive vicissitudini che non hanno però estinto l’affetto fraterno e la stima reciproca, si ritrovano. Al presente la vecchia amicizia si è rinsaldata e anima loro, l’aspirazione comune a creare qualcosa originale ed impegnativa che riempia le lunghe giornate d’anziani non domi. Cercano così di riscoprire e rivelare qualche verità dimenticata od incompresa, ricordando che Goethe così rispondeva a chi gli chiedeva qual è la cosa più difficile da vedere: “Vedere con gli occhi ciò che sta davanti agli stessi!”. (Goethe).